PARIGI – La battaglia per l’Eliseo si combatte anche sul piano delle imprese. Fra Nicolas Sarkozy e François Hollande si sta consumando una guerra silenziosa che ha poco a che fare coi proclami elettorali. Il presidente uscente e il suo principale rivale socialista stanno cercando di tranquillizzare gli imprenditori stranieri che temono un innalzamento delle tasse dopo il voto. Finora sia Sarkozy sia Hollande hanno pensato a misure per l’incremento delle imposte indirette, come la tanto discussa “Iva sociale”, parlando solo marginalmente di tagli a favore delle imprese estere.
In una Parigi in fibrillazione per la tornata elettorale di domenica prossima, non ci sono soltanto i francesi a seguire in modo assiduo le ultime battute delle campagna. Il candidato socialista è avanti di alcuni punti, secondo l’ultimo sondaggio di Csa, mentre France24 afferma con certezza che, se viene mantenuto questo slancio, per Sarkozy non ci sarà nulla da fare. Dal quartier generale dell’Ump, il partito dell’attuale presidente, si dicono tranquilli e stanno puntando a chiudere in salita per poi giocarsela tutta al secondo turno, previsto per il 6 maggio.
La chiave di volta potrebbero essere le imposte sulle imprese. Hollande è dato in vantaggio soprattutto nella classe dirigente imprenditoriale, complici i suoi studi all’Hec, la più importante business school parigina. Nel Medef (Mouvement des Enterprises de France), l’equivalente della Confindustria italiana, sono sempre più le parti che, più o meno ufficialmente, appoggiano Hollande. Colpa di un Sarkozy che «in cinque anni ha fatto ben poco per noi», dicono a Linkiesta diversi esponenti del Medef.
Eppure, i più intimoriti sono gli imprenditori stranieri. Mentre il Regno Unito ha provveduto ad abbassare la corporate tax nei prossimi anni, la Francia non ha in mente un’operazione analoga. «Hanno parlato solamente di una evasiva “riduzione delle tasse per le imprese”», fa notare Maurice, funzionario del Medef. «Avvertiamo un sentimento di attesa per gli imprenditori esteri, che potrebbero optare per scelte diverse da quelle che hanno tenuto finora», dice l’ultimo rapporto sulle imprese proprio stilato dal Medef. Colpa di alcune dichiarazioni delle scorse settimane.
Il primo è stato Sarkozy. A metà marzo ha sostenuto che le imprese della web-economy dovrebbero pagare le imposte in Francia. «È inaccettabile che ottengano un fatturato di diversi miliardi di euro in Francia senza pagare le tasse», ha detto. Di qui, il putiferio. Facebook, Google, Twitter e le big del settore hanno rimarcato che il rapporto è già egualitario in quanto, se da un lato è vero che non pagano le imposte sui ricavi pubblicitari, è altrettanto vero che creano posti di lavoro. Ma i timori esistono. Specie perché Hollande, due settimane fa, ha dichiarato che «vuole fare qualsiasi cosa per proteggere le imprese francesi e mantenere tutta l’occupazione possibile nel territorio francese». Che sia un nuovo modello di colbertismo, a base di dazi e imposte per le imprese estere, ancora non si sa.
Uno studio dell’Institut Montaigne di alcuni giorni fa ha evidenziato che «un rischio esiste». Il timore che un nuovo vento di protezionismo possa prendere il sopravvento è concreto. In un sondaggio condotto a fine marzo proprio dal Montaigne, il 45,8% dei direttori finanziari di imprese estere operanti in Francia pensano che saranno innalzate le imposte, il 24,5% pensa che saranno abbassate e la restante quota ritiene che saranno stabili. E un risultato analogo lo ha fornito l’analisi dell’Observatoire français des conjonctures économique (Ofce), il centro di ricerca di Sciences Po. Per entrambi, è arrivata la bocciatura a entrambi i programmi elettorali, sia quello di Sarkozy sia quello di Hollande.
«Sarebbe un errore tassare le imprese straniere». È questo il monito dell’Ofce.E dire che il tessuto connettivo delle società estere in Francia è da anni uno dei punti di forza del Paese. Chi non ha dubbi sulla solidità dell’attrattività della Francia è David Appia, numero uno dell’Invest in France agency (Ifa). «Nel 2011, per il secondo anno consecutivo, sono aumentati gli investimenti esteri nel nostro Paese, specialmente nei campi dove l’innovazione è fondamentale, come il settore farmaceutico, quello aerospaziale e quello chimico». Solo nel 2011 sono stati allocati 58 miliardi di dollari, per 698 investimenti diretti di imprese estere in Francia. Il 21% di essi sono dovuti a società statunitensi, che hanno allocato risorse in via prevalente in due settori: biotecnologie e aerospazio. Appia ricorda che «negli ultimi cinque anni i nuovi investimenti sono stati circa 3.400, numeri che hanno garantito oltre 155.000 nuovi posti di lavoro». E il trend ha ripreso a correre, dopo un 2008 e un 2009 congelati dopo il fallimento della banca americana Lehman Brothers. Proprio per questo, «tassare o aumentare il protezionismo sarebbe la cosa peggiore da fare», ammonisce il dirigente pubblico francese.
A gettare un’ombra ci ha pensato però il Crédit Agricole, uno dei maggiori gruppi bancari transalpini. In un report di fine marzo ha spiegato che una politica più nazionalista sotto il profilo imprenditoriale «è un pericolo costante e che rischia di precludere il mantenimento di questo status particolare di cui gode la Francia». Il colosso bancario non ravvede particolari differenze fra i due programmi e poco importano le dichiarazioni contro l’universo della finanza. «Nelle campagne elettorali è logico che si punti sempre a idee populiste», fa notare il Crédit Agricole. Quello che stupisce è invece «il clima nazionalista e neo-colbertista che stanno avendo tutti i candidati». E così, in attesa di sapere l’esito delle urne, Sarkozy e Hollande sembrano essere sempre più le due facce della stessa medaglia.