I riflettori della crisi europea puntano sul cuore dell’Europa. La crisi politica in Olanda sta montando di ora in ora, risultando potenzialmente più significativa del primo turno delle elezioni presidenziali francesi. Infatti, l’Olanda è caduta sull’austerity, la stessa che aveva voluto e su cui aveva spinto, di comune accordo con la Germania. Il primo ministro Mark Rutte ha rassegnato le dimissioni nella mani della Regina Beatrix dopo essersi reso conto che la dialettica con i liberali di Geert Wilders, noto per le sue posizioni nazionaliste e contro l’integrazione europea, era naufragata. E ora si guarda a ciò che potrebbe accadere negli equilibri politici europei. L’asse rigorista guidato da Berlino vacilla sempre di più.
L’Olanda fa timore perché era proprio stato uno dei Paesi che più aveva spinto sul rigore di bilancio. In settembre, Rutte e de Jager avevano scritto, in una lettera pubblicata sul Financial Times, che «chi vuol far parte dell’eurozona deve rispettare gli accordi e non può sistematicamente violare le regole». Primo ministro e ministro delle Finanze avevano invocato la creazione di un alto commissario per la finanza pubblica europea. «Nel Patto di stabilità e crescita ci sono rigorose regole di bilancio, è ora che tutti le rispettino», scrivevano Rutte e de Jager. Una proposta che ora sa di beffa.
I conti pubblici sono a favore dell’Olanda. Come ha certificato oggi l’organo europeo di statistica, Eurostat, il rapporto deficit/Pil per il 2011 è stato migliore del 2010, 4,7% contro un precedente del 5,1 per cento. Peggio ha fatto il debito pubblico. Se nel 2010 è stato del 62,9% del Pil, nel 2011 l’Olanda è arrivata a toccare il 65,2 per cento. Proprio in virtù di questa performance negativa, Rutte e de Jager hanno spinto per un ridimensionamento della spesa pubblica, capace di adeguarsi al Fiscal Compact, il nuovo sistema di governance economica europeo. L’obiettivo del governo olandese era quello di riportare, già nel 2012, il rapporto deficit/Pil al 3 per cento. «Noi siamo contrari a queste politiche di bilancio senza senso, insane e inutili», ha risposto Wilders a Rutte. Di qui, la rottura del patto che garantiva la stabilità del governo.
Mentre i Paesi bassi discutono e parlano già di elezioni, forse già il prossimo 27 giugno, gli operatori finanziari passano al setaccio i conti olandesi. E così, emerge che se nel 2008 il debito pubblico era di circa 348 miliardi di euro, nel 2011 ha sfiorato i 393 miliardi. Il deficit è in calo, come anche la spesa pubblica. Eppure, questo non bastava. Occorrevano tagli maggiori, capaci di ridurre ulteriormente l’esposizione delle finanze pubbliche olandesi a un peggioramento della crisi dell’eurozona. Non è un caso che Rutte, discutendo del budget in assemblea plenaria, abbia parlato a lungo delle sfide future dell’Europa, soffermandosi più di una volta sul fatto che il tanto pubblicizzato firewall, cioè il fondo finanziario di protezione, non è abbastanza. «Occorre uno sforzo dei governi, ma deve essere ben coadiuvato da prospettive di crescita, perché con il solo rigore di bilancio non si può sopravvivere. Siamo in un nuovo mondo, con nuovi paradigmi e nuove sfide. Non dimentichiamolo», ha detto Rutte prima di vedere il suo esecutivo perdere i colpi sotto le accuse di Wilders.
La risposta dei mercati finanziari non si è fatta attendere. Nonostante la decisione del primo ministro fosse nell’aria da tre giorni, la reazione degli investitori è stata pesante. Sui mercati obbligazionari i Paesi Bassi sono stati fra i più sotto pressione, sintomo che gli operatori hanno ritenuto che le ricadute della crisi politica olandese possano essere ben più profondo di quanto si può sommariamente immaginare. E proprio oggi c’è stato uno dei test più significativi, dato che l’Olanda è andata in asta per collocare 2,5 miliardi di euro di titoli di Stato. Una cifra modesta, ma che rischiava di essere ben più significativa delle maxi aste a cui ci hanno abituato Italia e Spagna. Per fortuna, tutto è andato per il meglio.
La crisi europea ha già fatto le sue prime vittime, ma fino a ora il cuore dell’Europa era stato risparmiato. Grecia, Irlanda e Portogallo sono stati commissariati di fatto, rientrando sotto il controllo fiscale ed economico della troika composta da Fondo monetario internazionale (Fmi), Banca centrale europea (Bce) e Commissione europea. Atene, prima fra tutti, è stata oggetto di una ristrutturazione del debito sovrano che ha coinvolto 206 miliardi di euro su circa 365, ovvero tutto quello in mano ai creditori privati. La stessa via sembra essere quella intrapresa da Lisbona, mentre forse Dublino sarà riuscirà a salvarsi, seppur solo grazie a uno stratagemma contabile. Il tutto, secondo un numero sempre maggiore di analisti ed economisti, a causa di un giro di vite troppo stringente sull’austerity.
«Il rischio è quello di una disgregazione dell’asse fondamentale dell’Europa». Il commento di Deutsche Bank sulla crisi olandese non lascia molto spazio all’ottimismo, ma rispecchia la realtà dei fatti. Il vento nazionalista del Fronte nazionale di Marine Le Pen in Francia e il mero populismo di Geert Wilders in Olanda hanno una cosa in comune: sono contro la Germania e le sue posizioni in materia economica. Che di sola austerity si muoia, lo stanno dimostrando Grecia e Portogallo, ma pensare di ricostruire una base produttiva, in grado quindi di alimentare la crescita economica, nel giro di pochi mesi è senza senso. Occorrono anni e servono sforzi, fiscali e sociali. Ma questi lasciano scoperto il fianco all’attacco da parte di chi pazienza non ha e preferisce la via più facile, quella del populismo.
Se la crisi olandese, finora solo politica, dovesse crescere di tono, potrebbe trasformarsi in economica. Un Paese forte come l’Olanda, bloccato sulle decisioni fondamentali di finanza pubblica come il budget potenzialmente, è una mina vagante per un’Europa che ha ormai perso la bussola. Questo perché proprio l’Olanda è stato fra i promotori del Fiscal Compact, che ora rischia di deragliare. «È un problema non da poco, perché il contagio si sta espandendo anche ai Paesi finora sani», commenta più di un’analista. E in tanti si chiedono quando toccherà alla Germania. La risposta, guardando al calendario politico, è più facile di quanto si possa immaginare. Nel 2013 il cancelliere Angela Merkel cercherà di essere rieletto. Senza l’appoggio esterno di Francia e Olanda, sarà più difficile riconquistare gli elettori. E si potrebbero aprire le porte del populismo.