Dare del fascista a Beppe Grillo nasconde il fascista che è in noi

Dare del fascista a Beppe Grillo nasconde il fascista che è in noi

Giù le mani da Grillo, verrebbe da dire subito senza troppe cerimonie. Giù le mani, soprattutto, dall’idea decisiva e democratica di rispettare tutte le opzioni in campo.

Partiamo pure dalla fatica. La fatica del far politica. O del far anti-politica, come qualcuno – anche propriamente – definisce la strategia del comico ligure. Soldi pochi, rimborsi zero, molto del tutto su base volontaria, grande uso di internet, del passaparola fisico ed elettronico, e poi i comizi del Verbo (il popolo lo chiama anche così) a riassumere tutte le storie. Basterebbe questo per dire che tutti i voti che Grillo un bel giorno dovesse avere, se li sarà sudati e meritati (per la squisita equazione tra impegno messo e favori avuti: più o meno zero). Se permettete, in tempo di rimborsi milionari facili facili, fare le pulci alla politica dei grillini è da sganasciarsi dal ridere.

Si dimentica, forse con fretta degna di miglior causa, ciò che alimentò il dibattito per molti degli anni successivi alla discesa in campo del Cavaliere e cioè che la televisione (vero o falso che fosse) avesse contribuito in maniera decisiva al suo primo successo elettorale, quello del ’94. E’ opportuno sottolinearlo nel momento in cui, da più parti, e parti neppure poco attrezzate intellettualmente, ci si richiama al fascismo per spiegare la deriva demagogica di Beppe Grillo, sol perché, al comico barbuto, tutti, indistintamente, appaiono come «farabutti». La forza delle sole parole rispetto alla potenza di un mezzo espressivo e dirompente come la televisione: possibile azzardare un paragone?

E non pare stravagante, anche in questo caso, ricordare l’altro grande attore politico di questi anni, Umberto Bossi, al quale non faceva (e non fa) certo difetto una dose altissima di demagogia politica, populismo allo stato brado, eppure mai nessuno si sognò di paragonarne i tratti politici al ventennio, anche perché – in modo molto furbo e in qualche misura convinto – il Senatùr si propose da subito come «sincero antifascista». Basterebbe lo dicesse anche Grillo per sgombrare una similitudine che pare più una paracazzata?

Si afferma sempre di più il mestiere del «delegittimatore». Colui il quale, in base a un interesse personale o politico, comincia quel lavoro sotterraneo di abbattimento dell’altrui credibilità. Nel caso di Beppe Grillo, non potendolo fare sulla base di qualche ruberia, di qualche mutanda, sul non aver mai lavorato nella vita, su qualche nipotino piazzato ora qui ora là, e su tutto il resto che possiamo agevolmente leggere sui giornali, si usa la tecnica dell’infamia storica, quel riferimento al fascismo che naturalmente scuote le coscienze in sé. Come se il presentarsi alle prossime elezioni da parte dei grillini comportasse – automaticamente – un rischio grave per la democrazia, un prezzo quindi enormemente alto e insopportabile.

È una tattica frusta, che lascia il tempo che trova. E, attualmente, del tutto controproducente. Più le forze politiche si accaniscono in questo modo contro Beppe Grillo, più il nostro godrà di un favore che andrà ben oltre le sue legittime aspettative.

E poi, c’è un che di fascista, proprio di fascista, nell’avvelenare così il pozzo. Le liste di Grillo si presenteranno democraticamente alle elezioni senza altra forza che la loro proposta politica (magari vogliamo parlare di quello, se esiste, se ha una sua profondità, se invece è il nulla incapsulato?). La gente, gli italiani, il popolo, quel giorno si ritroveranno alle urne, dove potranno scegliere del tutto autonomamente e in assoluta serenità quale formazione politica votare. Tutti i voti che andranno ai grillini avranno la certificazione più piena e democratica da parte della Repubblica Italiana. Nessuna deriva, nessun pericolo fascista.

Personalmente, mi ritrovo pienamente nelle parole di Peppino Caldarola: «Anche lui (Grillo) finirà come gli altri: una straordinaria bolla elettorale e poi l’emergere di contraddizioni insolubili. Il fatto che gli elettori o scelgano, o lo sceglieranno, rivela non una perdita di fiducia nella democrazia ma una totale sfiducia nei partiti attuali».