«Vuole sapere la verità? Da professionista guadagnavo molto di più. E quando giravo per strada ero anche più rispettato». Vincenzo D’Anna è un biologo. Fino a poco tempo fa gestiva alcuni laboratori di analisi nel casertano. Poi, la primavera di due anni fa, è arrivata “la chiamata”. Convocato a Montecitorio per prendere il posto del dimissionario Stefano Caldoro, fresco presidente della Regione Campania.
Il coronamento del sogno di una vita? Macché. Diventare deputato della Repubblica oggi non fa più tendenza. Un tempo lo scranno parlamentare era motivo di orgoglio e prestigio. Oggi si fa fatica persino a trovare due ingressi allo stadio. E se qualcuno ti riconosce per strada rischi pure di prendere gli insulti. «Colpa della campagna denigratoria che è montata in questi anni» si lamentano in tanti. La diretta conseguenza della caccia alle streghe sulla Casta. I più autocritici se la prendono con qualche collega: «Tutti questi scandali sui finanziamenti pubblici ai partiti…». Altri no: «La colpa è di voi giornalisti: avete contribuito a rovinare l’immagine di questa istituzione».
E così a Montecitorio c’è la fila per lasciare il Palazzo. Uno dopo l’altro i deputati abbandonano silenziosi l’Aula. C’è chi sceglie di fare il sindaco, chi preferisce fare l’assessore. Qualcuno opta per un ente pubblico, qualcun altro per un’azienda di Stato. C’è chi ha preferito la Consob e chi il Consiglio superiore della magistratura. Il deputato no. Quello non lo vuole fare quasi più nessuno. Alla Camera resta solo chi non ha alternative.
«Il bilancio di questi quattro anni? – si confidava l’altro giorno un pidiellino alla prima esperienza parlamentare – Totalmente negativo». Chi aveva pensato di modernizzare il Paese si è dovuto scontrare con le dure gerarchie della politica. «Prima di essere eletto ero convinto che avrei cambiato l’Italia. Invece mi tengono qui a premere un bottone». Intanto settimana dopo settimana cresce il numero degli ex deputati. Due giorni fa ha lasciato Montecitorio la berlusconiana Valentina Aprea. Presidente della commissione Cultura, era alla Camera dal 1994. Ha preferito fare l’assessore all’Istruzione in Lombardia. Un mese prima se n’era andato l’ex ministro Luigi Nicolais, direzione Consiglio Nazionale delle Ricerche. Dall’inizio della legislatura hanno preferito sedersi su un’altra poltrona in quaranta. Dopo Pdl, Pd e Lega Nord, quello dei fuoriusciti è il partito più rappresentato.
Abbandonano in tanti. E certe volte non si riesce neppure a trovare un sostituto. La vicenda più curiosa riguarda l’ex onorevole Adriano Paroli. Lo scorso gennaio il pidiellino ha dato l’addio a Montecitorio per fare il sindaco della sua città, Brescia. Antonio Verro, il primo dei non eletti nella stessa circoscrizione, chiamato al suo posto, non ha retto neppure due settimane. Il primo febbraio si è dimesso per rimanere nel Cda della Rai. Marco Airaghi, il terzo, è durato un paio di mesi. Proprio ieri ha lasciato anche lui la Camera, preferendo conservare l’incarico di direttore generale dell’Agenzia Industrie Difesa. Ogni nomina, un rifiuto.
Nonostante tutto, qualche romantico è rimasto. «Io sono ancora orgoglioso di questo ruolo – continua D’Anna – il Parlamento rappresenta il presidio della democrazia». «Non scherziamo – continua Ia berlusconiana Isabella Bertolini – essere un parlamentare della Repubblica resta sempre un privilegio». Ma con tutta l’antipolitica che si respira in giro il tesserino da deputato è meglio tenerlo in tasca. «La gente ti guarda storto, è vero – si sfoga un deputato – Per non parlare di tutti quelli che ti scrivono “vergogna” sulla pagina di facebook. Ma io pago 100mila euro di tasse all’anno. Di cosa mi dovrei vergognare?».