Hanno provato a smarcarsi dal governo tecnico, ma non ci sono riusciti. Adesso, complici gli scandali della Lega, le polemiche sui finanziamenti pubblici e la crescente ondata di antipolitica, i partiti sono costretti a riallinearsi alla figura di Mario Monti. Anzi, a nascondersi dietro il Professore. Diventato improvvisamente un riparo contro il rischio di delegittimazione.
Per motivi elettorali – e forse anche di orgoglio – nelle scorse settimane sia Pd che Pdl avevano preso le distanze dal governo dei tecnocrati. Dei distinguo del segretario pidiellino Angelino Alfano si è scritto molto. A inizio marzo il delfino di Silvio Berlusconi aveva disertato uno dei vertici di maggioranza a Palazzo Chigi costringendo Monti ad annullare la riunione. Un avvertimento al governo per aver inserito all’ordine del giorno temi “scomodi” come la giustizia e la riforma della Rai, si raccontò allora. Anche se qualcuno continua a sostenere che Alfano avesse cercato lo scontro con Monti per legittimarsi gli occhi del partito. Un modo per smentire il Cavaliere, che ne aveva da poco messo in discussione le qualità, sottolineando la mancanza di un «quid».
Ad allontanarsi da Monti, Pierluigi Bersani ci aveva provato qualche settimana dopo. In occasione dei primi passi della riforma del Lavoro. Pressato dal sindacato e da buona parte del partito, il leader democrat aveva posto una lunga serie di veti e paletti all’esecutivo. Anticipando alla stampa di essere irremovibile su alcune questioni, a partire dalle modifiche all’articolo 18, pena la sconfessione del governo in Parlamento. Una presa di posizione che aveva costretto il presidente del Consiglio a modificare sostanzialmente il provvedimento.
I partiti hanno preteso autonomia dal governo tecnico. Hanno volutamente – e legittimamente – preso le distanze dall’esecutivo di Mario Monti. Complice anche la dichiarazione del Professore nel suo viaggio in Estremo Oriente («se c’è stato segno di scarso gradimento è stato verso altri protagonisti del processo politico, non certo del governo»). Ma si sono accorti di essere troppo deboli per smarcarsi definitivamente. Un esempio? L’ultima sparata sul finanziamento pubblico. «Abolirlo sarebbe un errore drammatico» hanno confermato ieri Alfano, Bersani e Casini. Scatenando una lunga serie di polemiche. Dopo i recenti scandali, i rapporti tra il Paese e i partiti sono ai minimi storici. «Il sistema politico rischia l’implosione» ha avvertito dalle colonne di Repubblica il presidente della Camera Gianfranco Fini. Non a caso a poche settimane dalle amministrative il rischio astensione resta altissimo. Una situazione pericolosa, tanto che qualche ora fa è dovuto intervenire in difesa della classe politica anche il Capo dello Stato. «Non bisogna demonizzare i partiti – il monito di Giorgio Napolitano – perché non sono il regno del male».
Ecco così che l’unica strada percorribile resta quella che porta a Palazzo Chigi. E al riavvicinamento con il presidente del Consiglio. Questa sera Alfano, Bersani e Casini saranno di nuovo a cena con Monti. Un vertice di maggioranza in cui si discuterà di riforma del lavoro e di misure per la crescita. Con un’atmosfera che forse non si vedeva da tempo. Tutti pronti, disponibili, propositivi. I leader di Pd e Pdl si presenteranno all’incontro con due cartelline sotto braccio. Piene zeppe di progetti e suggerimenti. Nonostante le divisioni – specie sul tema del lavoro – non ci sarà alcuno scontro. Anzi, Bersani ha già fatto sapere: «Bisogna discutere ma si deve arrivare a una soluzione. E su questo non ho dubbi: si arriverà a una soluzione». Mentre qualcuno già ipotizza l’ingresso di ministri politici nell’esecutivo tecnico del professore (ipotesi piuttosto surreale) il vicesegretario del Pd Enrico Letta propone di istituire un Consiglio dei ministri parallelo. Un organo composto da esponenti di governo e leader politici che si riunisca con cadenza settimanale. Insomma, in Parlamento sono tutti alla ricerca di una nuova convergenza con l’esecutivo dei tecnici.
Il paradosso è che per risollevare la propria immagine, il mondo politico è costretto a ri-accodarsi a Monti proprio nel momento di minor appeal del governo tecnico. In calo nei sondaggi, l’esecutivo è alle prese con il difficile passaggio della riforma del mercato del Lavoro. Uno dei dossier più complessi. Per venire incontro alle esigenze di ognuno, alla fine Monti ha finito per scontentare tutti. Finendo inevitabilmente per attirare più di una critica sull’operato del governo.
E così a beneficiare maggiormente della debolezza dei partiti potrebbe essere proprio il presidente del Consiglio. Con il rinnovato sostegno della sua maggioranza, Monti è libero di tornare a seguire le riforme in cantiere senza troppi condizionamenti. Difficile non leggere in questo modo il suo ultimo avvertimento alla maggioranza. A poche ore dal vertice Monti ha richiamato Pd, Pdl e Terzo Polo alla disciplina: «Le tensioni delle ultime settimane – le sue parole al termine dell’incontro con il premier finlandese stamattina Roma – dimostrano che non possiamo e non dobbiamo abbassare la guardia. Occorre continuare a lavorare per porre le finanze pubbliche su una base più sana e proseguire nelle riforme».