A Sud del deserto del Sahara, sotto Kenya e Uganda, c’è la Tanzania, lo Stato dell’Africa Orientale dove la Lega Nord ha cercato di investire quattro milioni e mezzo di euro. Si affaccia sull’Oceano Indiano, dove si trova l’arcipelago di Zanzibar, che dal 1964, anno dell’indipendenza, si è unito alla Repubblica tanzaniana. Con il Kilimanjaro e la Great Rift Valley, è nota agli italiani soprattutto come meta turistica. Nei grandi parchi verdi, popolati di zebre, leoni ed elefanti, si aggirano ogni anno molti appassionati di safari.
La popolazione è di circa 43 milioni di persone, il gruppo etnico principale è quello dei Bantu e la lingua ufficiale è lo swahili. La religioni predominanti sono islam e cristianesimo, oltre a diverse credenze indigene. La città più importante, ed ex capitale, è Dar es Salaam, con oltre 2 milioni di abitanti. La capitale attuale è Dodoma, nell’entroterra del Paese.
Per i primi decenni di indipendenza, la Tanzania ebbe un assetto economico fondato su una forma di socialismo agricolo chiamato Ujamaa, e un sistema politico basato sul partito unico, il CCM (Partito della rivoluzione). All’inizio degli anni Novanta, il presidente Ali Hassan Mwinyi, succeduto a Nyerere, mise in atto profonde riforme, abbandonando gradualmente l’impianto socialista dell’Ujamaa e introducendo il multipartitismo. Le successive consultazioni elettorali (1995, 2000, 2005 e 2010) confermarono comunque il CCM al governo del Paese. Il presidente in carica, al secondo mandato, è Jakaya Kikwete. Il 7 agosto del 1998 l’ambasciata americana di Dar es Salaam venne colpita, quasi simultaneamente a quella di Nairobi, da un attentato nel corso del quale morirono undici persone e 85 rimasero ferite. L’attacco venne rivendicato da Osama Bin Laden. In risposta, l’allora presidente degli Stati Uniti Bill Clinton ordinò il bombardamento di obiettivi militari in Sudan e Afghanistan.
Secondo la Banca mondiale, la Tanzania è tra i Paesi più poveri del mondo, con una aspettativa di vita di 53 anni e una mortalità infantile di 65 ogni mille nati. Il 51% della popolazione guadagna meno di 1 dollaro al giorno.
Tra il 2000 e il 2008 il prodotto interno lordo è cresciuto con una media del 7% annuo. L’economia tanzaniana è quasi completamente dipendente dall’agricoltura, che impiega l’80% della forza lavoro e provvede all’85% dell’export. Anche se, per via della topografia e delle condizioni climatiche, le terre coltivabili sono solo il 4 per cento del totale. Altri settori rilevanti sono gli allevamenti e le risorse forestali, da cui si ricavano grandi quantità di essenze pregiate.
Le industrie sono per la maggior parte statali e contribuiscono per il 17,8% del Pil annuo, impiegando però solo il 3% della forza lavoro. L’Italia è tra i partner commerciali principali, insieme alla Gran Bretagna, Germania, Giappone, Iran, Danimarca e Paesi Bassi. Anche il settore petrolifero rappresenta un comparto strategico per l’economia del Paese, soprattutto per la raffinazione del petrolio. E negli ultimi anni sono stati scoperti dei giacimenti di gas naturale nel delta del fiume Rufiji. In Tanzania esiste un piccolo gruppo di imprenditori italiani che hanno investito nel commercio, nei trasporti, nel settore minerario, nelle costruzioni e anche nel turismo, puntando negli ultimi anni sulla costruzione di villaggi vacanze nell’isola di Zanzibar.
Nel 1997, per facilitare gli investimenti stranieri, è stato creato il Tanzania Investment Center (Tic). Il centro rilascia dei certificati per i progetti approvati che prevedono un investimento minimo di 300mila dollari, se di proprietà estera, e di 100mila dollari, se di proprietà nazionale. Certificati che garantiscono una serie di incentivi fiscali agli investitori. Tra i vantaggi per gli investitori, tariffe di importazioni ridotte sui beni capitali, una favorevole detrazione per deprezzamento sui beni capitali e il diritto di trasferire all’estero il 100% di profitti e capitale in valuta.
L’Italia e la Tanzania hanno firmato nel 2001 un Accordo bilaterale di protezione e promozione degli investimenti reciproci. Inoltre, è stata recentemente approvata dal Parlamento la legge istitutiva delle cosiddette “Special Economic Zones”, dislocate in 25 regioni del Paese, dove vige un regime fiscale privilegiato oltre all’esenzione dai dazi doganali, e alle quali in futuro dovrebbe essere fornita una adeguata dotazione in infrastrutture per facilitare gli investimenti.
Nel Paese dei Masai, Francesco Belsito avrebbe deciso di puntare sui diamanti le banconote degli elettori leghisti. Ricevendo, però, un il cartellino rosso della Federal Bank of Middle East Bank Ltd. L’ormai ex tesoriere non avrebbe rispettato le norme sulle transazioni di diamanti, messe a punto per garantire che i proventi della pietre preziose non finiscano per finanziare i conflitti africani. La Fbme Bank Ltd non ha accettato che Belsito portasse a termine l’operazione come semplice amministratore del conto corrente e ha richiesto la garanzia diretta dell’intestatario, in questo caso la Lega Nord. Rispedendo al mittente i 4 milioni e mezzo di euro.