Effetto crisi: brevetti italiani aerospaziali in svendita

Effetto crisi: brevetti italiani aerospaziali in svendita

I giornali l’hanno ribattezzato «Una casa su Marte». È uno degli ultimi successi italiani nella conquista dello spazio. Nome ufficiale Cosmic (Combustion synthesis under microgravity conditions), è l’ambizioso progetto coordinato dal dipartimento di ingegneria chimica e materiali dell’Università di Cagliari. Finanziato due anni fa dall’Agenzia spaziale italiana con 500mila euro, ha già permesso di depositare diverse domande di brevetto. L’obiettivo degli scienziati sardi è quello di sfruttare le risorse disponibili sulla Luna, su Marte e su diversi asteroidi per aprire nuove strade all’esplorazione umana del cosmo. Ad esempio si studia come ricavare ossigeno e azoto per ricreare aria respirabile, ma anche come ottenere materiali per costruire i primi insediamenti per esseri umani sul Pianeta rosso.

Un progetto tecnologico avanzatissimo, che molte agenzie spaziali internazionali ci invidiano. Eppure è rimasto senza finanziamenti. A sollevare la questione è l’ex presidente della Regione Sardegna Mauro Pili, oggi deputato del Pdl, che in una recente interrogazione al governo ha stimato in circa 10 milioni di euro i fondi necessari per estendere le ricerche al triennio 2012-2014. Richiesta inutile, racconta oggi sconsolato. I finanziamenti non si trovano. E così lo studio rischia di finire in mani straniere. «La Nasa – spiega oggi Pili – ha già espresso un formale interesse per il progetto». A breve Cosmic potrebbe trasferirsi oltreoceano.

È il triste destino del comparto aerospaziale italiano. Una delle realtà più attive e apprezzate a livello mondiale. «Perché come contributori dell’Esa (l’Agenzia spaziale europea, ndr) saremo anche al terzo posto dopo Francia e Germania – spiega un operatore del settore – ma molto spesso otteniamo delle collaborazioni in esclusiva con la Nasa che a Parigi se le sognano». Un’eccellenza e una leadership tecnologica riconosciuta in tutto il mondo, tranne che in Italia. E così mentre i fondi destinati all’Agenzia spaziale diminuiscono di anno in anno, le migliori aziende del settore vengono svendute all’estero. Spesso alle dirette concorrenti.

L’ultimo trionfo aerospaziale italiano risale a pochi mesi fa. Lo scorso 13 febbraio è stato lanciato con successo il razzo vettore europeo Vega. Partito dalla base spaziale di Kourou, nella Guyana francese, è un orgoglio della nostra industria. La società responsabile dell’impresa è Elv, realtà creata appositamente per il progetto e partecipata al 70 per cento dal gruppo Avio e al restante 30 per cento dell’Agenzia spaziale italiana. Sono nostri gran parte degli ingegneri che hanno dedicato al lanciatore Vega dieci anni di progettazioni e studi. E nostro è il finanziamento di 500 dei 700 milioni di euro investiti nel programma. Vega ha trasportato in orbita nove satelliti. Il principale, Lares, è un altro successo italiano. Progettato dall’Università La Sapienza di Roma, studierà in orbita alcuni aspetti della relatività generale. «Per la prima volta – si legge in un’interpellanza parlamentare presentata qualche giorno fa dal deputato Pd Ludovico Vico – il nostro Paese ha mostrato a tutto il mondo di aver raggiunto una capacità a livello scientifico, tecnologico e industriale in grado di gestire un sistema di grande complessità come quello del lancio di un vettore spaziale che solo la Francia in Europa poteva finora vantare».

Tra qualche mese l’eccellenza italiana nel settore aerospaziale potrà dirsi completa. Nel giro di un anno sarà proprio il lanciatore Vega a portare in orbita IXV (Intermediate eXperimental Vehicle): un veicolo spaziale progettato per il rientro in atmosfera. Al momento in avanzata fase di realizzazione nella sede torinese di Thales Alenia Space Italia. Un altro coraggioso progetto che, come spiega Vico, consentirà «all’Italia di possedere un apparato industriale responsabile per l’intero ciclo di immissione in orbita bassa e rientro di veicoli spaziali».

Tanto orgoglio nazionale. E poco altro. La leadership italiana nel settore aerospaziale potrebbe presto di sparire. Colpa di quanto sta avvenendo in Europa «in termini di ridefinizione degli assetti proprietari dei principali gruppi industriali» spiega formalmente l’interpellanza degli esponenti del Partito democratico. Detto in maniera più esplicita: le più importanti aziende del Paese stanno finendo in mani straniere. E il tema non stupisce più nessuno. Un esempio? L’interpellanza urgente che ha sollevato la questione era stata calendarizzata a Montecitorio giovedì scorso. Ma il governo non si è neppure presentato a rispondere. Non c’erano sottosegretari disponibili, è stato spiegato ai deputati interessati. Posticipata a questa settimana, la replica dell’esecutivo è stata ulteriormente rinviata al 3 maggio.

«Le nostre aziende sono ricche di know how e di brevetti – racconta al telefono il presidente dell’Agenzia spaziale italiana Enrico Saggese – E così diventano facile preda di gruppi stranieri». È il caso di Alenia Spazio, una delle principali realtà italiane del settore. Oltre 7mila dipendenti in tutto il mondo, leader europeo per i sistemi satellitari. Dal 2006 – dopo la fusione con la francese Alcatel Space e l’ingresso dei transalpini della Thales – è diventata la Thales Alenia Space. Controllata al 67 per cento da Thales e al 33 per cento da Finmeccanica.

Il risultato? «La predominante presenza francese del gruppo sta nei fatti contrastando il mantenimento delle elevate competenze nazionali sistemiste e progettuali di questa azienda» spiega Vico. Al centro delle polemiche il progetto del veicolo IXV «contrastato dal Cnes (l’Agenzia spaziale francese, ndr) che non vuole lasciare all’Italia maggiori competenze su una tematica che può contenere aspetti strategici». In altre parole, il programma del veicolo spaziale per il rientro in atmosfera rischia di essere ridimensionato per il suo “valore” militare. «Il confine tra il settore civile e quello della difesa è spesso di difficile distinzione» spiega Saggese. «Concettualmente e tecnologicamente, ad esempio, non c’è alcuna differenza tra un lanciatore tipo Vega e un missile balistico». Nel caso di IXV «si tratta di un veicolo di rientro in grado di esplorare una zona tra i 50 e i 200 km di altezza. Situazioni al limite della nostra conoscenza». Una novità assoluta. Un progetto che non può essere visto di buon occhio dai nostri diretti concorrenti. «Insomma – sintetizza Saggese – i francesi vogliono esplorare alcune realtà. Ma vogliono anche che non vengano esplorate quelle per cui non sono ancora pronti».

E poi c’è il caso della Compagnia Generale per lo Spazio, ex Carlo Gavazzi. Acquistata dai tedeschi della OHB, con l’obiettivo del governo di Berlino «di riequilibrare la presenza francese nel settore spazio». A rischio anche il futuro del gruppo Avio, «leader nella progettazione e produzione di componenti e sistemi per la propulsione aerospaziale». Cinquemila dipendenti in tutto il mondo, di cui oltre 4mila in Italia. Partecipato all’81 per cento dal fondo investimenti Cinven, principalmente inglese, e al 14 per cento da Finmeccanica. Al suo acquisto sarebbero interessate per la parte lanciatori spaziali la francese Snecma («altro leader europeo di questo settore, spesso diretto concorrente di Avio») e per la parte aeronautica Safran e General Electric. «La vendita del settore spazio di Avio al suo diretto concorrente Snecma – spiegano i parlamentari democrat – porterebbe in poco tempo all’annullamento delle capacità progettuali e sistemiste acquisite in questi anni grazie al progetto Vega e quindi al grande sforzo finanziario dell’Italia». «Certo – commenta con amarezza Saggese – se anche Avio finisse in mani straniere diventerà complicato…».

Intanto il budget a disposizione dell’Agenzia spaziale italiana continua a ridursi. Stando alla denuncia di Ludovico Vico, fino a una decina di anni fa le risorse a disposizione dell’Agenzia spaziale italiana erano di circa 800 milioni di euro l’anno. Ormai sono al di sotto dei 500 milioni. E la maggior parte – circa il 70 per cento – è destinata all’Esa, l’Agenzia spaziale europea. «Una cifra assolutamente non adeguata – spiega Vico – che rischia di ridurre sempre più il ruolo italiano in sede europea». Più diplomatico il presidente dell’Agenzia spaziale italiana Enrico Saggese: «La nostra speranza – racconta – è che a breve possano essere ristabilite quantomeno le risorse di tre anni fa: 600 milioni di euro l’anno». Spesa non indifferente, specie in tempi di austerity. Ma «relativamente contenuta».

Soprattutto se paragonata ad altre realtà. È difficile fare una comparazione con le nostre dirette concorrenti europee Francia e Germania. Al contrario della nostra, infatti, le loro agenzie spaziali si occupano sia di ricerca che di attività industriale. «Ma a parità di Pil – continua Saggese – le loro risorse sono almeno il doppio delle nostre. Se non il triplo». E nel mondo? «La Nasa ha un bilancio di 18 miliardi di dollari annui, contro i 7-8 totali dell’Esa». Il Giappone sfiora i 2 miliardi l’anno. «La Cina – continua Saggese – ha un bilancio vicino a quello americano. Pechino ha un attività spaziale notevole, ma per gran parte sconosciuta e non facilmente identificabile». 

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