«Ma scusa, niente niente questo Facebook non è il libro delle facce ma il libro dei fessi?». Antonio Ghirelli ci scherzava, ma mica tanto. Sorrideva e dagli occhiali grandi s’affacciava al mondo con la curiosità di un ragazzo. Parlava del mondo dei social network lui, quasi novantenne, ed eravamo attovagliati al “Leon d’Oro”, ottimo ristorante napoletano di piazza Dante. «E questo odore di cipolla? Ma avete cucinato la genovese?».
Affermare che discutevamo a tavola sarebbe un atto di presunzione: seduti uno accanto all’altro c’erano lui e l’editore-boxeur Tullio Pironti. Dunque che volevi fare? Ascoltare. Parlavano della città, di quei vicoli frequentati da giovanotto. Di quella certa idea di Napoli, diventata poi libro (Mondadori, 2010) e della vita, dell’amore: alla moglie Barbara, Ghirelli dedicò splendide pagine (“Una moglie incantevole”, Pironti, 2010). «Sei bella, quindi non sposarti mai» disse alla signorina al mio fianco. E sorrise, sornione. Generoso Ghirelli: l’ho visto consigliare affettuoso bibliografie a giovani laureandi; regalare (già) prefazioni a scrittori esordienti; raccontare a noi giovani cronisti di Pertini, «il partigiano come presidente» ch’egli accudì in qualità di portavoce al Quirinale e dal quale dovette staccarsi per colpe non sue (l’affare Donat Cattin). Poi lo sport.
Una serie di aneddoti incantevoli, raccontati con leggerezza, sempre legati all’attualità e soprattutto senza la pesantezza tipica della narrazione in tanti senatori del giornalismo italiano. E quel modo di essere napoletano, sempre: «Non è soltanto una città, ma un’idea, un’immagine, uno spirito che corre per il mondo» scriveva. E tu, caro Antonio, sei stato davvero lo spirito più limpido di questa città, un autentico arci-napoletano