«Ecco cosa succede a non curare in tempo un malanno grave. Si finisce male». L’ex comunista che c’era «quando stavamo a via dei Fiorentini e nel simbolo c’erano la falce e il martello» scuote la testa. Non è il solo. Aria pesante da fallout nucleare, al Partito democratico di Napoli. L’ultima cartuscella, tecnicamente leggera ma pesante come uno scoglio di mare, è arrivata nel venerdì nero di un partito che da un anno continua a sbattere, andare indietro e tornare a sbattere, come un robot giocattolo su un muro gigantesco: quello delle primarie 2011 per scegliere il candidato a sindaco di Napoli. Elezioni cui parteciparono 44mila persone, consultazioni congelate per sospetti brogli e ancora oggi senza un verdetto ufficiale.
Carta pesante è quella del Tribunale di Roma cui si era rivolto Nicola Tremante, segretario provinciale Dem uscito frettolosamente di scena dopo il disastro primarie e il successivo commissariamento – voluto da Pier Luigi Bersani – del partito napoletano, da un anno governato dal responsabile nazionale giustizia Andrea Orlando. Cos’è accaduto? Che Tremante, sentendosi defenestrato senza motivo e soprattutto senza una serie di passaggi formali, ha difeso la sua carica. Un anno dopo, dal tribunale, non dalla politica, è arrivata una sentenza che ha del paradossale: Tremante deve tornare al suo posto. Paradossale perché Orlando è sul punto di andar via: col congresso provinciale di maggio sarà concluso il suo faticoso compito da capitano Bellodi all’ombra del Vesuvio.
Una storia che aggiunge tinte forti al color ridicolo che nella fase delle primarie ha caratterizzato il Partito democratico di Napoli. Primarie senza un vincitore, senza un colpevole (ci furono brogli? Ci furono voti di scambio? Pressioni camorristiche?) e con tante matasse che Napoli, così come Roma, si sono guardate bene dal districare. Per Tremante, ex Dc, ex Ppi e Margherita, è una vittoria. Scrive il Tribunale motivando la sentenza: «È evidente che per un politico la forzata rimozione dall’incarico elettivo, avvenuta in maniera non conforme a statuto e senza adeguata motivazione ed il permanere stesso di un dubbio nell’opinione pubblica significano la fine della carriera politica; quindi questo stato di cose danneggia e continua a danneggiare l’immagine del Tremante, sia come persona che come politico». Orlando commenta: «Non bisognava ricorrere ai magistrati ma risolvere tutto nelle sedi di partito. È imbarazzante».
E mentre si rincorrono voci di una possibile convocazione della segreteria da parte del ripescato segretario, dalla Capitale spiegano che nulla cambierà: «Dopo aver ottenuto tre pronunce favorevoli – dice Nico Stumpo, responsabile organizzazione del partito – il Pd farà tutto quanto necessario fino al congresso già convocato per maggio per dare continuità all’egregio lavoro svolto da Orlando. Nessun reintegro è stato disposto. Anzi, il Partito democratico intende impugnare il provvedimento».
Ma se è così, perché queste facce cupe, perché questa tensione che si taglia con la sciabola? Cosa preoccupa tutti? È che le primarie del 23 gennaio 2011 non sono state solo una figuraccia politica sommata al redde rationem di un partito lacerato. Ci sono due inchieste aperte e si tratta di inchieste della Direzione distrettuale antimafia. Quel giorno di un anno fa, quando tra i quattro candidati, Umberto Ranieri, Andrea Cozzolino, Nicola Oddati (tutti del Pd) e Libero Mancuso (Sel) non fu decretato un vincitore – Cozzolino risultava il più votato – secondo gli inquirenti non si sarebbero mosse solo sezioni di partito e simpatizzanti ma ben altri “settori”.
Un’intercettazione tra il collaboratore di un politico di centrodestra e una persona di area Pd, ascoltati per un’altra vicenda che riguardava le elezioni comunali a Gragnano (comune del Napoletano di recente sciolto per infiltrazioni camorristiche) riferiva di un “patto” stretto nell’area Nord di Napoli, nei quartieri Miano e Secondigliano, per dividere a tavolino le preferenze delle primarie a sindaco del capoluogo campano fra uno o addirittura più candidati. Nell’inchiesta non giunta ancora a conclusione, condotta dal capo del pool anticamorra Rosario Cantelmo e dal pm Pierpaolo Filippelli, si ipotizza il reato di minacce aggravate dalla finalità camorristica.
L’indagine trova punti di contatto con un’altra inchiesta. Si tratta di un fascicolo incentrato sui rifiuti e le liste di disoccupati organizzati del progetto Bros (ovvero quelle persone formate da corsi regionali pagati con risorse dell’Unione europea per espletare servizio nel settore della raccolta differenziata). Nel 2011, nei giorni caldi della competizione politica interna al centrosinistra, si faceva largo l’ipotesi di una cooperativa sociale per la raccolta differenziata. E sulla promessa dell’inserimento dei Bros in una compagine societaria, sulla più classica delle promesse della politica, quella di «’o posto ‘e fatica», lavorano ora i magistrati.
E il Partito democratico di Napoli trema: un anno di commissariamento, il rinnovamento dei responsabili cittadini con giovani e forum tematici, la battaglia sul fronte legalità in provincia contro il centrodestra di Nicola Cosentino e Luigi Cesaro, un anno di lavoro e ricostruzione di strappi politici profondi. Ma dove mai la magistratura tornasse sulle primarie irrisolte e individuasse responsabilità precise, gravi e certo non politiche, tutto quel lavoro finirebbe, inevitabilmente, alle ortiche.