La storia dei vincitori e dei vinti del primo turno delle presidenziali francesi parla direttamente all’Europa e ha qualcosa da dire anche al nostro paese. La sconfitta di Sarkozy, appena attenuata dalla speranza di rivincita al secondo turno, segna non solo il declino di un leader arruffone e inconcludente ma anche lo svuotamento del suo bagaglio di idee su cui abbiamo troppo presto messo la sordina.
Sarkozy è un uomo di destra dai molti tradimenti: ha tradito il suo leader Chirac ricavandone un odio perenne ma all’indomani della sua elezione si caratterizzò, sbalordendo il suo mondo tradizionale e galvanizzando quello opposto, come il principale protagonista dell’idea del superamento culturale del dualismo destra-sinistra. Il suo primo discorso davanti alla folla plaudente dei sostenitori colpì per l’apertura mentale ma soprattutto per l’abbandono di quelle suggestioni di destra che pure lo avevano caratterizzato appena pochi mesi prima quando rivolse ai rivoltosi “islamici” delle banlieu frasi intollerabili.
Poco dopo, Sarkozy inaugurò anche la stagione del dialogo con la sinistra fino a chiedere a intellettuali e politici di quell’area, anche italiani, di partecipare con lui allo sforzo di creare una nuova Francia. Lo stesso matrimonio con la “gauchiste” Carlà sembrò andare nella stessa direzione. È durato pochissimo. Con il declino del presidente francese si è rivelato quanto fosse fragile il disegno di superare destra e sinistra e di dar vita a un crogiuolo di forze opposte unite dall’obiettivo di mettersi alle spalle il passato.
Queste elezioni ripropongono la destra e la sinistra nella loro integrità culturale, persino nella loro più tradizionale versione. Il risultato di Marina Le Pen indica anche come stia covando nell’Europa che conta, lo si è visto dappertutto, un’area culturale che si rivolge ormai direttamente alla destra estrema sia perché convinta dalla sua xenofobia sia perché attratta dal suo antieuropeismo. Credo che prima o poi accadrà anche in Italia, probabilmente più nella versione antieuropea che in quella xenofoba. Del resto non è antieuropea la piattaforma dei movimenti di opposizione più significativi e in particolare quello di Beppe Grillo?
Il voto francese parla con chiarezza anche alla sinistra italiana. Hollande può farcela, il suo competitor centrista Bayrou, quello che Fioroni e il mio amico Follini avrebbero voluto che il Pd sostenesse, vale elettoralmente molto poco, come tutte le forze centriste europee, e la stessa sinistra radicale ha un risultato importante con Malenchon ma non ha, come Vendola, l’ambizione di dare le carte a tutta la sinistra.
Hollande è un socialista. Lo è in modo esplicito, persino tradizionale, il suo partito ha attraversato la notte della sconfitta umiliante con Jospin, quando Le Pen padre lo superò al primo turno, e la delusione per la suggestione breve della stagione di Ségolène Royal. In tutto questo periodo il Ps è rimasto socialista, forse senza lo scandalo sessuale avrebbe avuto alla sua guida un leader fortissimo come Strauss-Khan, deve invece accontentarsi di un impiegato del socialismo, tranquillo e determinato e con lui probabilmente vincerà. Nel cuore dell’Europa la parola “socialismo” non fa venire quei brividi di repulsione che attraversano la sinistra italiana disposta a tutto pur di chiamarsi altrimenti.
Se Hollande vincerà dovremo fare i conti quindi con quattro fatti politici francesi di rango europee: la crescita dell’antieuropeismo, la fine della suggestione sul superamento di destra e sinistra, il fallimento del centrismo e, infine, la resurrezione della intramontabile socialdemocrazia. Da dove vogliamo cominciare per discutere?