Qualcuna è arrivata via posta ordinaria, qualcuna via mail ([email protected]). Qualcuna via fax (al numero 0667609874), qualcuna addirittura consegnata a mano. Fra le centinaia di petizioni popolari sul finanziamento pubblico e i rimborsi ai partiti politici partite in Italia dai banchetti di associazioni, sezioni di partito, comitati civici e coordinamenti di lotta, almeno cinque proposte di raccolte di firme sono arrivate a Montecitorio. La Costituzione (articolo 50) prevede tutti i cittadini possano rivolgere petizioni alle Camere «per chiedere provvedimenti legislativi o esporre comuni necessità».
L’elenco di questa legislatura, consultabile sul sito della Camera, dal 2008 ad oggi registra la prima petizione a firma Salvatore Acanfora, datata 28 luglio 2008. Una petizione che volava alto: chiedeva «nuove norme in materia di adesione dei parlamentari ai gruppi e per contrastarne l’assenteismo, la riduzione delle loro indennità e la sua parziale destinazione a soggetti indigenti, l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, misure per assicurare il rispetto dell’articolo 67 della Costituzione e l’istituzione di una scuola superiore per i parlamentari e di un albo dei parlamentari di tutte le legislature repubblicane». Qualche mese dopo nello stesso anno, a settembre, una richiesta di «nuove norme in materia di finanziamento pubblico ai partiti» arrivava da Giovanni Bello di Ferrara, seguita da Fabio Ratto di Genova (novembre 2008) che auspicava invece nuove regole sulla «democrazia interna dei partiti».
E ancora, nel marzo dell’anno successivo Matteo La Cara da Vercelli, terra in cui è forte la presenza della Lega Nord, chiedeva in una petizione che il controllo sulla corretta erogazione dei rimborsi spettanti ai partiti politici per le consultazioni elettorali fosse «affidato ai prefetti». Infine, da Cancello Arnone, profondo sud, provincia di Caserta, terra di Gomorra, Francesco di Pasquale raccoglieva firme per «maggiore trasparenza nell’erogazione e nella gestione dei finanziamenti pubblici ai partiti». Tutte queste petizioni hanno avuto un determinato iter e sono state assegnate alla Prima commissione parlamentare (Affari costituzionali). E lì, nei cassetti della commissione sono rimaste, quelle raccolte di firme che rappresentavano un grido d’allarme dei cittadini al Palazzo.