Il terzo incomodo (Le Pen o Mélenchon) deciderà le elezioni francesi

Il terzo incomodo (Le Pen o Mélenchon) deciderà le elezioni francesi

La Francia è vicinissima alle elezioni presidenziali, un passaggio che potrebbe segnare una svolta storica e rivoluzionare la Quinta Repubblica. Gli ultimi atti della partita si giocheranno in uno scenario mai così ricco di incognite e aperto agli sbocchi più diversi. Gli interrogativi si focalizzano su un capo di Stato in grave crisi, il cui progetto di rupture e di profonda innovazione appare come un ricordo sbiadito della campagna trionfale del 2007. Ma il crollo del sogno di Nicolas Sarkozy non garantisce una prospettiva di vittoria certa al Partito socialista di Francois Hollande, personalità troppo ondivaga e mai davvero amata dalla base e dai militanti della gauche. La ragione dello scetticismo che accompagna la sua corsa presidenziale risiede nel suo programma statalista e dirigista, imperniato sulla centralità delle istituzioni pubbliche nel governo dell’economia. Se conquisterà l’Eliseo, Hollande sarà in grado di realizzare la piattaforma su cui sta mobilitando e unificando le anime del Ps, o replicherà la clamorosa marcia indietro attuata nel 1984 da Francois Mitterrand con l’abbandono del massimalismo con cui aveva vinto tre anni prima?

L’unico elemento fuori discussione è il ruolo determinante che sull’esito del voto giocherà il terzo classificato al primo turno. Il probabile exploit del Fronte della sinistra di Jean-Luc Mélenchon, in ascesa grazie a un messaggio populista e giacobino molto apprezzato in questa fase di crisi, e il possibile successo del Front National di Marine Le Pen, desiderosa di agire da protagonista nell’arena costituzionale, potrebbero condizionare il ballottaggio influenzando l’elettorato indipendente tuttora indeciso e fluttuante.

A evidenziare per noi i riflessi di una campagna politica sempre più somigliante a una partita a scacchi, è il giornalista Michele Canonica, presidente del comitato di Parigi della Società Dante Alighieri e autore, con Sergio Romano e Marc Lazar, del libro “La Francia in bilico. Conversazioni italo-francesi su un modello contestato”, pubblicato da Marsilio. Una competizione aperta e complessa dunque, che secondo lo scrittore potrebbe anche concludersi alla tornata legislativa di giugno con una imprevista coabitazione tra un presidente di sinistra e una maggioranza parlamentare di centrodestra.

Quale è stato fin qui il tratto distintivo della campagna presidenziale?
La competizione per l’Eliseo è stata fortemente marcata dalla crisi economica globale che investe l’Europa e il modello sociale della Francia. Parigi presenta un deficit della bilancia commerciale di 70 miliardi di euro nel 2011, e in via di peggioramento, a fronte dell’avanzo di oltre 150 miliardi che vanta la Germania. Le esportazioni di prodotti francesi tradizionalmente forti appaiono in difficoltà, a causa dei costi elevati di fabbricazione, dovuti alle conquiste del Welfare d’Oltralpe, e di un euro molto solido. La commercializzazione del vino sui mercati internazionali registra un netto declino, non soltanto rispetto a storici concorrenti europei come l’Italia e la Spagna ma anche ad altri paesi produttori come il Sud Africa e il Cile, che risultano molto competitivi nel rapporto fra qualità e prezzo. Uno scenario economico e occupazionale allarmante, che si unisce allo scarso carisma dei due principali aspiranti alla guida del paese. Carisma che in un voto presidenziale a suffragio universale può contare più dello stesso programma.

Cosa accomuna Nicolas Sarkozy e Francois Hollande?
Entrambi appaiono come scelte di ripiego, poiché in un certo senso sostituiscono altri candidati che sarebbero stati più convincenti. Sul versante socialista penso a Dominique Srauss-Kahn, grande comunicatore, poliglotta, esperto sul piano economico e internazionale, molto stimato anche dagli avversari: un vero seduttore penalizzato dalle note vicende di frenesia sessuale. Per il fronte moderato mi viene in mente il primo ministro François Fillon, ottimo interprete della sensibilità borghese, dotato di credibilità e autorevolezza, e forte secondo tutti i sondaggi di simpatie ben superiori a Sarkozy, il quale viene generalmente percepito come un avventuriero arrogante e nevrotico, un “populista antipopolare” alla ricerca dell’amicizia dei più ricchi. Senonché, emarginando il presidente uscente e optando per Fillon, l’Ump avrebbe dovuto sconfessare la politica di cui è stata corresponsabile negli ultimi cinque anni. La designazione del candidato di centrodestra è stata una scelta obbligata.

Il declino del sarkozismo è irreversibile o dobbiamo aspettarci un colpo d’ala da parte di una figura così imprevedibile e combattiva?
Sarkozy non sarebbe persuasivo se riproponesse le speranze di innovazione sollevate nella campagna del 2007. È reduce da una lunga esperienza al vertice del potere, non è più un outsider che lotta contro l’apparato, in grado di rivendicare una propria verginità e di dire “Ricominciamo da zero”. Ma per lui non tutto è perduto. La sua immagine volitiva e determinata consente di ipotizzare uno scatto di orgoglio, un colpo di reni capace di rimettere in discussione una corsa che per la prima volta nella storia della Quinta Repubblica vede il presidente partire sfavorito. A una simile impennata potrebbe contribuire il profilo abbastanza scialbo di Hollande, privo di esperienza di governo e incapace di suscitare vasti entusiasmi. Sarebbe un po’ come porre a confronto Silvio Berlusconi, che provoca sempre sentimenti di amore e odio catalizzando comunque le passioni dell’opinione pubblica, e Pierluigi Bersani, persona onesta e competente ma non trascinatore di folle.

Perché sarà fondamentale chi arriverà terzo al primo turno?
Una netta affermazione di Jean-Luc Mélenchon o di Marie Le Pen potrebbe produrre contraccolpi forse decisivi sul ballottaggio, orientando le scelte dell’elettorato indipendente e di quello centrista, entrambi non ideologici e fluttuanti, verso il candidato meno prigioniero delle rispettive ali estreme. Mélenchon è l’interprete ideale dell’universo che ribolle a sinistra del Ps, il federatore di ciò che resta del Partito comunista, dei trozkisti, delle femministe, degli ecologisti. Autentica novità di questa campagna, può essere considerato un nuovo tribuno della plebe, propugnatore di un programma estremista ignoto nell’Europa di oggi: progetto che vede al primo punto la tassazione al 90 per cento sul reddito dei più ricchi, contro i quali riesce a convogliare il rancore dei ceti più colpiti dalla crisi. Se Mélenchon conquistasse la terza posizione, spaventerebbe quell’elettorato incerto che sarà decisivo per la vittoria finale. Prenderebbe corpo la paura verso un Capo dello Stato socialista, fautore di un programma imbevuto di massimalismo dirigista e fortemente condizionato dall’apporto di un Front de gauche superiore al 15 per cento. Lo spettro di una Francia che diventasse la nazione europea più orientata a sinistra, soffocata da una tassazione intollerabile per i ceti medi produttivi, potrebbe convincere molti elettori centristi a votare per Sarkozy. Peraltro esiste il precedente del governo guidato dal socialista Pierre Mauroy tra il 1981 e il 1984, espressione della sinistra unita che per la prima volta nella Quinta Repubblica aveva conquistato l’Eliseo grazie a Francois Mitterrand. Quell’esecutivo, condizionato dal Partito comunista, aveva provocato con le sue politiche fiscali e interventiste una fuga massiccia di capitali all’estero. L’abile e spregiudicato Mitterrand lo sostituì con una nuova squadra capitanata da Laurent Fabius abbandonando del tutto il programma massimalista con cui aveva ottenuto la vittoria.

Potrebbe ripetersi lo stesso scenario nell’eventualità di una vittoria di Hollande?
Resta da vedere se al ballottaggio il popolo di Mélenchon sarà compatto nel riversare i propri voti sul candidato del Ps. La disciplina interna del Front de gauche è un’incognita, poiché gli elettori di Mélenchon non sono monolitici come i sostenitori del Pcf trent’anni fa: sono anarcoidi e poco controllabili, come testimoniò l’andamento della campagna vincente per il No al referendum sul trattato costituzionale europeo, di cui essi furono protagonisti in piena e oggettiva saldatura con la destra nazionalista. Molti di loro detestano Hollande, che reputano un moderato e un opportunista: e pochi credono che se venisse eletto tradurrebbe in realtà la sua piattaforma. Un convincimento in parte fondato, se si considera che alle primarie del Ps egli venne preferito a una socialista orientata nettamente più a sinistra, Martine Aubry, proprio in virtù della sua moderazione e della sua capacità, vera o presunta, di convincere gli indecisi.

E se il terzo posto fosse conquistato da Marine Le Pen?
In tal caso l’elettorato centrista potrebbe orientarsi su Hollande, temendo un Sarkozy che rincorre l’estrema destra in una realtà difficile di ordine pubblico e di crescente insicurezza, soprattutto nelle periferie urbane dove i bianchi poveri terrorizzati costituiscono un importante serbatoio di voti per il Front national. I temi sollevati dal Fn sono assai presenti nella vita quotidiana dei ceti popolari, anche se Marine Le Pen non ha saputo canalizzarli in una convincente proposta di governo. Beneficiaria dell’eredità politica del padre, Le Pen sembra avere perso gran parte dello slancio iniziale. Se in parte è riuscita a promuovere l’immagine legalitaria e istituzionale di una formazione finora emarginata dalla dialettica repubblicana, sui contenuti concreti si è rivelata abbastanza inadeguata. Si è incagliato così il processo di scongelamento, di sdoganamento del Front national, per il quale taluni invocano da tempo una sorta di “Fiuggi d’Oltralpe”.

Reputa possibile la contrapposizione tra una sinistra unita e un unico fronte di destra alle elezioni di giugno per l’Assemblea nazionale?
Sarebbe una vera rivoluzione. Se nella sinistra l’ipotesi non appare completamente peregrina, gli ostacoli sono tutti nel campo conservatore. La destra francese, per codice genetico e storia, è imbevuta dei valori dell’antifascismo e della Resistenza guidata dal generale Charles De Gaulle. E nella storia della Quinta Repubblica l’unico a favorire sul serio il Fn fu il socialista Francois Mitterrand, il quale gli regalò una trentina di deputati grazie all’introduzione nel 1985 di una legge elettorale proporzionale, scaturita dall’obiettivo di limitare l’ampiezza della prevedibile vittoria del neogollista Jaques Chirac. Altrettanto importanti saranno le scelte del centrista cristiano-democratico Francois Bayrou, da sempre ostile al tradizionale bipolarismo francese. Protagonista brillante nel 2007, portatore di un messaggio innovativo che lo proiettò al 18 per cento dei suffragi e che avrebbe potuto condurlo all’Eliseo se fosse giunto al ballottaggio, stavolta ha deluso per le sue continue oscillazioni e incertezze. Ed è probabile che il suo elettorato rifluisca nello schieramento di centrodestra. All’indomani del voto parlamentare di giugno, si potrebbe perfino concretizzare un’ipotesi di coabitazione fra un Capo dello Stato di sinistra e un governo di centrodestra. Oggi la gauche controlla il Senato e quasi tutte le regioni: un’investitura di Hollande ottenuta grazie a un exploit di Mélenchon provocherebbe forse un riflusso moderato alle legislative.

Le istituzioni della Quinta Repubblica vengono periodicamente elevate a modello per l’Italia…
L’architettura e il funzionamento delle istituzioni francesi hanno subito una mutazione profonda con l’introduzione del mandato quinquennale, non più settennale, del Capo dello Stato. L’inquilino dell’Eliseo non è più il “monarca repubblicano” che incarna l’unità nazionale, ma il leader di un partito che tendenzialmente controlla la maggioranza parlamentare. Sinceramente non so se un simile assetto avrebbe senso in una realtà dominata da spinte centrifughe come quella italiana, dove i cittadini sembrano apprezzare moltissimo il ruolo di arbitro svolto con particolare talento da Carlo Azeglio Ciampi e da Giorgio Napolitano.  

Marc Lazar, Sergio Romano con Michele Canonica

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