È il 1947 quando Carlo Levi inizia a scrivere L’orologio (uscirà nel 1950), il saggio sulla sconfitta degli azionisti consumata nella seconda metà del 1945 con la rapida parabola del governo presieduto da Ferruccio Parri.
L’Orologio è il romanzo della delusione, del “ritorno a casa” forzato di chi pensava di fare la rivoluzione ed è stato messo alla porta. A lungo è stato letto come l’autobiografia della sconfitta azionista perché partito dell’anti-Italia.
Forse quel libro ha anche qualcosa da insegnare ai leghisti, se hanno la pazienza e l’umiltà di farsi delle domande. In Via Bellerio farebbero bene a leggerlo. Non solo per prendere le misure con la sconfitta, ma anche per avere consapevolezza del fatto che non c’è tratto più “italiano” della certezza della propria furbizia e del carattere taumaturgico dell’autosupposta “differenza”. (db)
Carlo Levi, Quando siamo crollati*
Eravamo partiti che volevamo la rivoluzione mondiale, poi ci siamo accontentati della rivoluzione in Italia, di alcune riforme, e poi di partecipare al Governo, e poi di non esserne cacciati. Eccoci ormai sulla difensiva: domani saremo ridotti a combattere per l’esistenza di un partito, e poi magari di un gruppo o di un gruppetto, e poi, chissà, forse per le nostre persone, per il nostro onore e la nostra anima: cose sempre più piccole e più lontane, e un’astratta passione sempre uguale. È triste, ma vedrai che andrà così.
Ho avuto tempo di pensare e di riflettere, in questi mesi che ero da Putti, a curarmi la gamba. Siamo stati sconfitti, per molte ragioni che non dipendono da noi, ma anche per colpa nostra, che non sapevamo quello che si dovesse fare, e giocavamo a fare i Machiavelli, e abbiamo preteso di fare le riforme di struttura conservando o restaurando proprio quella struttura che volevamo riformare; accarezzando e facendo rinascere proprio quella burocrazia che volevamo distruggere, per affidarle la propria soppressione: stupiti che non accogliesse la nostra preghiera di suicidarsi per farci piacere (…)
So bene che in certe condizioni non si deve guardare per il sottile, che ci si deve servire di tutto quello che può essere utile, che si può prendere il denaro degli industriali per espropriarli, che si possono trovare, lungo la strada, i più strani alleati e compagni di viaggio, salvo poi a buttarli nel fosso alla prima occasione.
Ma ci deve essere una strada; tanto più si può essere spregiudicati, quanto più si sa quello che si vuole, e si è chiari e intransigenti. Noi lo sappiamo: ormai la battaglia politica è perduta. Questo è solo il principio e non c’è nulla da fare.
(…)
Ora siamo alla fine. Bisognerà rifare tutto da capo e, questa volta, senza fretta, senza illusioni, giorno per giorno, senza eroismi, ma con le idee chiare.
da: Carlo Levi, L’orologio, Einaudi, Torino 1950, pp. 159-160 e p. 170.