“La Merkel sbaglia tutto” ora a Bruxelles è panico

“La Merkel sbaglia tutto” ora a Bruxelles è panico

BRUXELLES – «Noi ai tedeschi l’avevamo detto, e ora eccoci qua». Un diplomatico europeo, che ovviamente non vuole comparire, allarga le braccia e descrive così il clima di sgomento e confusione in cui si trova l’Ue mentre i Bonos spagnoli si impennano oltre il 6%, trascinandosi dietro lo spread tra i Btp italiani e i bund tedeschi. L’atmosfera che si registra in questi giorni a Bruxelles in effetti è dominata da qualcosa che ricorda da vicino il caos, dopo il fallimento della politica in salsa tedesca che ha imposto il severissimo patto fiscale che strangola le economie più deboli e ha impedito, a fine marzo a Copenaghen, un vero rafforzamento del firewall, il muro parafiamme, limitandosi a trucchi contabili. Il fuoco d’artificio del finto firewall da «un triliardo di dollari» (ottenuti sommando per lo più soldi già spesi ai 500 miliardi di euro del nuovo fondo salva-stati Esm) non ha ingannato nessuno. «La Germania – scriveva giorni fa il New York Times – ha bloccato tutte le misure che avrebbero spento l’incendio». E il tormentone rischia di ripartire, in vista anche della cruciale riunione del Fondo monetario internazionale a fine settimana.

A fare da catalizzatore degli umori, nerissimi, sparsi per l’Ue è, come spesso accade il Parlamento Europeo. Con un’iniziativa capeggiata dall’energico ex premier belga Guy Verhofstadt, ora presidente del gruppo degli euroliberali, è riuscito a imporre, domani, un dibattito in aula a Strasburgo sulla (pessima) gestione della crisi dell’euro, convocando il presidente della Commissione José Manuel Barroso e invitando anche il presidente della Bce Mario Draghi il quale però, significativamente, ha declinato. Verhofstadt si è fatto in qualche modo portavoce di quello che molti, moltissimi a Bruxelles pensano: «i leader Ue – ha dichiarato – possono ripetersi tra di loro quanto vogliono che il peggio della crisi è passato, ma dovrebbero tornare alla realtà. La maggior parte delle misure prese finora stanno mostrando ancora una volta la loro natura a corto termine, incluso il finto firewall». Per il belga, «i deludenti risultati della passata indecisione stanno già producendo i loro effetti. I leader Ue devono ora spiegare la realtà cui tutti assistiamo».

A Strasburgo il dibattito in aula sarà intenso e a farne le spese sarà il sempre più debole Barroso, con una sorta di scontro tra istituzioni Ue. A dire il vero, la stessa Commissione, in un documento interno, aveva avvertito prima di Copenaghen che senza un muro parafiamme sufficiente sarebbe stato molto difficile placare i mercati, salvo poi cedere di fronte alla rigida posizione tedesca. E dire che con Bruxelles erano praticamente tutti d’accordo salvo Berlino e qualche suo alleato ultra rigorista, Finlandia in testa. La Francia aveva chiesto un firewall da un miliardo di euro, e ora rischia di trovarsi in difficoltà anch’essa man mano che sale la pressione su Spagna e Italia. Una muraglia più robusta avevano chiesto, ovviamente, questi due stati, con loro vari altri soprattutto del sud, ma anche l’Irlanda, così come l’Ocse e l’Fmi. Dopo Copenaghen, per qualche giorno Bruxelles era stata dominata dall’illusione che il gioco delle tre carte per conteggiare insieme ai 500 miliardi di euro disponibili (in tre anni) nelle casse dell’Esm, il futuro fondo salva-stati permanente in vigore del luglio, anche 200 miliardi già spesi dal vecchio fondo (Efsf) – anziché i 240 miliardi non ancora utilizzati, come chiesto dalla maggioranza degli stati dell’eurozona e dalla Commissione – avrebbe convinto gli investitori e il Fmi.

Una pia illusione, come si è visto, e ora le polemiche interne dell’Ue potrebbe rafforzarsi se, come appare molto probabile, il prossimo fine settimana l’organismo di Washington varerà un aumento di capitale inferiore ai 500 miliardi di dollari prospettati dal suo direttore generale Christine Lagarde. Si parla ora al massimo i 300-400 miliardi. «E’ la risposta – commenta un diplomatico europeo – alla buffonata di Copenaghen. I partner internazionali, Usa in testa, ci avevano chiesto un vero sforzo, e invece siamo ricorsi a trucchi contabili». Berlino, però, non cambia parere, ieri sul Wall Street Journal il membro tedesco della Bce, Jörg Asmussen, ha anzi sostenuto che «l’Europa ha fatto la sua parte», e che ora «sarebbe da aspettarsi che altri azionisti Fmi si facciano avanti e facciano i loro contributi per aumentare le risorse del Fondo».

L’allarme dell’Europarlamento e non solo è anche sulla disastrosa ricetta dell’austerity a tutti i costi imposta da Berlino ma anche dalla Commissione e purtroppo seguita anche dal premier di madrid Mariano Rajoy. I tedeschi però non ci sentono. «L’austerity in Europa – afferma Asmussen – potrebbe colpire la crescita a breve termine, ma su un periodo più lungo, finanze pubbliche più solide rilanceranno la fiducia delle famiglie e delle imprese, stimolando nuova attività». Il mantra, insomma non cambia, almeno fino al prossimo summit d’emergenza.  

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