L’accordo sull’articolo 18 è armonia o prova d’inciucio?

L’accordo sull’articolo 18 è armonia o prova d’inciucio?

Per qualcuno è una questione di ritrovata armonia. Una volta che i leader di partito Angelino Alfano, Pier Ferdinando Casini e Pierluigi Bersani hanno raggiunto un accordo di massima sulla riforma del mercato del lavoro, la coabitazione della strana maggioranza sarà tutta in discesa. Per qualcun altro è una questione di equilibri. Il segretario Pd è riuscito a ottenere quello che chiedeva a Palazzo Chigi in tema di articolo 18 – in caso di licenziamenti per causa economica il giudice potrà disporre il reintegro del dipendente – e di conseguenza quando il governo metterà mano alle prossime riforme il peso contrattuale dei democrat sarà molto più leggero. La terza ipotesi è la più suggestiva. I rappresentanti di Pd, Pdl e Terzo Polo avrebbero addirittura formalizzato un accordo. Sulla flessibilità in uscita prevista dalle nuove norme sul lavoro i berlusconiani hanno chiuso un occhio, aiutando di fatto i colleghi di centrosinistra. Quando si tratterà di affrontare i nodi legati alla riforma della Rai e della giustizia, gli uomini di Bersani restituiranno il favore. Un inciucio. Per dirla con le parole di buona parte dell’opposizione. E per gli amanti della dietrologia c’è anche Monti che all’intervista alla Stampa non ha negato che la grande coalizione «potrà esserci anche in futuro, se sarà utile».

L’ultima intesa siglata dai partiti che sostengono il governo Monti ha scatenato i retroscenisti di Palazzo. L’accordo siglato da Alfano-Bersani-Casini sul mercato del lavoro ha dato il via a una serie di ricostruzioni più o meno fantasiose. Indiscrezioni alimentate dai sinistri particolari dell’ultimo rendez vous notturno. Un vertice segreto, consumato a notte fonda nello studio da senatore a vita di Mario Monti, a Palazzo Giustiniani. Con i tre invitati che si presentano al faccia a faccia attraversando i cunicoli sotterranei che da Palazzo Madama conducono allo stabile vicino al Pantheon. E le auto di servizio sostitute all’ultimo momento da utilitarie più anonime e informali – come quella che avrebbe portato Monti da Palazzo Chigi al luogo della riunione – per disorientare i cronisti in cerca di notizie. Roba da romanzo di spionaggio. 

Trovata l’intesa sulla riforma del lavoro, le indiscrezioni impazzano. C’è chi assicura che su Rai e giustizia la maggioranza sarebbe pronta a trovare la sintesi. Dimenticando gli scontri del recente passato (Alfano disertò uno dei più recenti vertici di maggioranza proprio dopo aver saputo che all’ordine del giorno ci sarebbero stati questi due argomenti). Ma a parlare con i diretti interessati non tutti sono d’accordo. «Diciamo la verità – spiega un berlusconiano – sulla vicenda dell’articolo 18 Bersani si era spinto un po’ troppo oltre. Alla fine il governo ha deciso di venirgli incontro per non rompere gli equilibri della maggioranza, ma questo non significa che ci sia stato necessariamente un accordo con Alfano». Per non parlare del ruolo del Quirinale. Anche le pressioni di Giorgio Napolitano hanno probabilmente influito nell’accelerazione impressa da Monti alla riforma del Lavoro (lo stesso presidente del Consiglio, racconta qualcuno, aveva indicato le feste pasquali come data ultima per chiudere il dossier). Tutto vero, certo. Eppure non sfugge che da qualche settimana a questa parte le polemiche su Rai e ddl anticorruzione siano lentamente finite nel dimenticatoio. «Questo è un dato di fatto – continua il berlusconiano – Sembra quasi che Bersani non voglia portare in campagna elettorale questi due argomenti. E questo per noi è un bel favore».

Proprio le amministrative di maggio hanno un significato particolare. Il confronto sulla riforma Rai sarà probabilmente congelato fino alle consultazioni elettorali. A dare una mano al governo è il calendario. Lo scorso 28 marzo è scaduto il consiglio di amministrazione presieduto da Paolo Garimberti (che resta comunque in carica per l’ordinaria amministrazione). L’8 maggio – ad amministrative concluse – si riunirà l’assemblea degli azionisti. «Allora – racconta un esponente Pd che segue in prima persona la vicenda – si capiranno le intenzioni del governo». Il Pd è pronto a rinunciare alla nuova governance della tv di Stato per venire incontro alle richieste berlusconiane? «Maddeché» commenta tranchant il dirigente democrat. «Al momento le posizioni tra noi e Pdl sono ancora molto distanti. Noi restiamo della nostra idea: se il governo chiederà di procedere alle nomine con la legge Gasparri non ci presteremo al gioco». E lo scambio di favori tra i partiti della nuova maggioranza? «Non scherziamo. Questa cosa non esiste».

Sarà. A confermare o meno l’esistenza di un’intesa tra Pd e Pdl ci penserà il Parlamento. Tra meno di due settimane arriverà in commissione il disegno di legge anticorruzione (l’altro grande tema di confronto tra i due principali partiti). Il ministro della Giustizia Paola Severino oggi ha incontrato i rappresentanti della maggioranza per discutere di corruzione, responsabilità civile dei giudici, intercettazioni. A breve depositerà gli emendamenti del governo al provvedimento anticorruzione. Contemporaneamente inizierà il suo iter parlamentare il ddl sulla riforma del lavoro. «Se Pd e Pdl alzeranno la voce in commissione – spiega un deputato – e proveranno a strappare qualcosa di più di quanto non siano riusciti a fare durante i vertici di maggioranza, si rischierà un nuovo scontro». In quel caso sarà chiaro che tra Alfano e Bersani non c’è stato alcun accordo. Altrimenti? «Se anche alle Camere filerà tutto liscio senza polemiche, la situazione sarebbe davvero curiosa».

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