Ginevra è la patria del diritto internazionale. Qui sono state stipulate alcune delle più importanti convenzioni internazionali e qui hanno sede la Croce Rossa Internazionale, l’Organizazzione Internazionale del Lavoro, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, il Cern, l’Unicef, la Wto e decine di altre organizzazioni. Eppure ottenere una laurea in diritto internazionale a Ginevra può creare seri problemi se poi si vuole diventare avvocati in Italia.
La storia di Gabriella F. è un esempio di inefficienza della pubblica amministrazione italiana. Laurea triennale con lode in Bocconi nel 2008, Gabriella consegue nel febbraio 2011 la specialistica in diritto internazionale ed europeo in Svizzera, all’Università di Ginevra. Il 27 settembre dello stesso anno trasmette al ministero dell’Istruzione l’istanza di riconoscimento del titolo di studio ottenuto all’estero. Avendo allegato, oltre ai titoli, anche il proprio curriculum e il dettaglio degli esami svolti, in base alla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea (che si applica in via convenzionale anche alla Svizzera) non ci sarebbero dovute essere complicazioni. Nell’attesa della risposta da parte del ministero, Gabriella F. a novembre si iscrive all’albo dei praticanti avvocati con riserva di ottenere entro sei mesi il riconoscimento del suo titolo di studio.
A gennaio 2012, il Ministero, in una nota, risponde che «il Consiglio Universitario Nazionale ha espresso parere favorevole, a condizione che la richiedente dimostri di possedere conoscenze adeguate nelle seguenti discipline: diritto processuale civile, diritto processuale penale, diritto processuale amministrativo». Il compito di verificare queste conoscenze è di una Commissione, non ancora creata, che quando verrà istituita comunicherà la data del colloquio.
Questa risposta genera sorpresa, perché la documentazione allegata all’istanza di riconoscimento diceva chiaramente che tali discipline erano già state affrontate, per di più nel triennio svolto in Italia, e preoccupazione. Infatti l’Ordine degli avvocati aveva già fatto sapere che se il riconoscimento non fosse avvenuto entro maggio 2012, Gabriella F. sarebbe stata cancellata dall’albo dei praticanti. Telefonando ripetutamente al ministero dell’Istruzione, Gabriella F. scopre che da più di un anno si attende la creazione della Commissione che l’avrebbe dovuta esaminare, e che nessuno sapeva quando questo sarebbe avvenuto. Probabilmente, le dicono, non entro il maggio 2012. A questo punto il 21 febbraio 2012 Gabriella presenta un’istanza di riesame al ministero, facendo rilevare che aveva già sostenuto gli esami nelle discipline contestate nella nota.
Per giorni telefona per avere informazioni sull’esito dell’istanza e per giorni dal ministero rispondono che il Consiglio Universitario Nazionale (Cun) non si è ancora riunito. Spazientita, comincia a preparare un ricorso al Tar contro il ministero dell’Istruzione, grazie anche all’aiuto degli avvocati dello studio per cui ha iniziato a lavorare. A inizio marzo comunica questa intenzione al ministero via telefono, sperando di indurre una più rapida risposta alla sua istanza di riesame.
Non ci sono significativi riscontri fino a quando, il 22 marzo, Gabriella F. notifica il ricorso al Tar del Lazio. Il 4 aprile le telefonano dal ministero per dirle che il Cun si era riunito il 21 marzo. Contraddicendo completamente quanto detto nella prima risposta, l’istanza di riesame viene accolta, valutando che il riconoscimento fosse possibile senza alcuna condizione. Un lieto fine per Gabriella F., che comunque ha dovuto pagare 600 euro di contributo unificato per notificare il ricorso al Tar, ma molti dubbi rimangono.
Il sospetto, secondo Gabriella, è che «senza la minaccia concreta di un ricorso al Tar, il ministero non avrebbe nemmeno preso in considerazione l’istanza di riesame (del resto non è obbligato a farlo)», e avrebbe aspettato che la Commissione citata dal Cun, chissà quando, venisse creata. Oltretutto si potrebbe pensare che alcune date sui documenti del Ministero siano state “aggiustate” per smentire un simile sospetto. Infatti o nel ministero dell’Istruzione il fatto che il Cun si riunisca o meno passa inosservato (il che spiegherebbe perché anche dopo il 21 marzo, nonostante la “minaccia” a voce di far ricorso e le numerose richieste di informazioni, dal ministero non avessero ancora comunicato nulla), oppure la riunione è avvenuta dopo le telefonate e dopo la notifica del ricorso al Tar, e si è deciso di mettere una data antecedente per fugare ogni dubbio.
Avendo accolto l’istanza di Gabriella F., il suo ricorso al Tar, già notificato ma non ancora depositato, diviene inammissibile per “carenza di interesse a ricorrere”. Così facendo il ministero impedisce che sulla questione si arrivi a sentenza, evitando la nascita di un precedente giurisprudenziale che difficilmente avrebbe potuto ignorare l’inefficienza del meccanismo di riconoscimento delle lauree ottenute all’estero. Inefficienza che era già stata oggetto di una sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea nel novembre 2003. A seguito della condanna dell’Italia, che poneva ostacoli al riconoscimento di titoli rilasciati da università straniere, è stato emanato il D.p.r. 189 del 2009 per disciplinare la materia. La toppa si è rivelata peggiore del buco. Gabriella F. ha rilevato in prima persona come la legge «non dica nulla su come si attua nella pratica la valutazione per il riconoscimento», e come «organi come il Cun si prendano il diritto di porre condizioni e istituire Commissioni non previste dalla legge. Il tutto con il benestare del ministero». E con buona pace della certezza del diritto.