Il G8 di Genova torna undici anni dopo e l’Italia, tutto sommato, non risponde. Ci prova Daniele Vicari a riportare il tema in prima pagina, con il film “Diaz”, ma la pellicola non lascia il segno e non crea dibattito. Sì, qualcuno ne ha scritto. Ma l’indifferenza regna sovrana.
E, sul punto, il regista non è esente da responsabilità. Daniele Vicari non smentisce le sue origini e più che un film confeziona una sorta di documentario sulla parte finale di quel G8. La pellicola tiene sullo sfondo la morte di Carlo Giuliani, gli scontri del giorno prima, le polemiche politiche e tiene acceso l’occhio di bue sulla scuola Diaz: centro stampa alternativo allestito dal movimento No Global e all’occorrenza ostello di fortuna per chi in quei giorni non aveva un posto dove dormire. Pochi i controlli e quindi – come ammette un no global nel film rispondendo a un poliziotto – «non possiamo escludere che vi abbia dormito anche qualche black bloc».
L’assenza di Giuliani dal film ha fatto arrabbiare tutti, i no global (su tuti Agnoletto) come anche i tantissimi che mai e poi mai hanno considerato un martire della libertà il ragazzo ucciso mentre stava scagliando un estintore contro un carabiniere. La scelta di Vicari, sul punto, può essere condivisibile. Gli scontri di piazza c’entrano poco con quel che accadde alla Diaz il sabato notte quando il G8 era stato ufficialmente chiuso. O, in ogni caso, la rezione fu sproporzionata.
Il film mostra in maniera cruda quel che tutti hanno potuto immaginare e che poi è emerso anche dalle carte giudiziarie: un massacro in piena regola da parte delle forze dell’ordine su giovani e meno giovani inermi e che stavano dormendo nei loro sacchi a pelo, in una notte delle notti più buie della nostra giovane repubblica. Vicari mostra anche quel che accadde nella caserma di Bolzaneto.
Ma, dopo undici anni, un film può ridursi a svolgere una funzione “storica” (ammesso, e ovviamente non concesso, che la storia possa essere raccontata seguendo un unico punto di vista) senza porsi nemmeno una domanda sul perché gli avvenimenti abbiano seguito un determinato corso? Su quel G8 si è detto e scritto di tutto. Ci sono le ragioni e i torti di ogni fazione. Sicuramente non furono cortei pacifici, anche se la stragrande maggioranza dei manifestanti sfilò pacificamente. Fu una guerra e ci fu un morto. Si è discusso e a lungo si discuterà della gestione dell’ordine pubblico. Ma alle 18 del sabato il G8 era bello che finito, ufficialmente chiuso.
Poi ci fu l’irruzione delle forze dell’ordine alla scuola Diaz. Perché? Chi la ordinò? Fu davvero un’operazione messa in piedi solo per far “sfogare” gli agenti? Fu una decisione autonoma dei vertici della polizia o ci fu la complicità del governo? La domanda, undici anni dopo, resta senza risposta. E il film, volendo essere magnanimi, tutt’al più abbozza alla formulazione di un’ipotesi. Ma tenendola in secondo piano. Da quel che emerge dalla pellicola fu una decisione autonoma della polizia che ore prima inviò un’auto in avanscoperta alla Diaz per farsi aggredire in modo da poter poi irrompere nella scuola senza l’autorizzazione del magistrato. E Vicari nel film ricorda le due bombe molotov ritrovate nella scuola che poi si scoprì furono introdotte dagli stessi poliziotti dopo l’irruzione.
Ma undici anni dopo, una cronaca dei fatti (per alcuni verosimile, per altri non, ma comunque basata sugli atti giudiziari) non può bastare per riaprire un dibattito nel Paese. Ed è qui la lacuna più grande del film, che peraltro non brilla neanche dal punto di vista strettamente cinematografico. È un’opera che non insinua dubbi, non pone interrogativi, non rivela una pista scomoda, non si pone in chiave problematica, un film che di fatto lascia lo spettatore con la propria convinzione di partenza, quale che sia. Un’opera che non lascia il segno. Ed è un vero peccato.