Martelli: «Bossi non è Craxi e io non mi sento Maroni»

Martelli: «Bossi non è Craxi e io non mi sento Maroni»

«Paragonare le indagini e gli scandali che hanno coinvolto gli amministratori della Margherita e della Lega Nord con Mani Pulite e Tangentopoli è fuorviante. Allora i magistrati illuminarono una rete di illegalità compiute dai partiti, oggi emergono appropriazioni indebite e ruberie a danno dei partiti. L’unico punto che accomuna due mondi profondamente differenti è la legge criminogena sul finanziamento pubblico delle formazioni politiche, frutto dell’illusione statalista e terreno fertile per apparati famelici».

Claudio Martelli, figura di spicco della storia del Partito socialista, spiega perché non accetta di equiparare la tempesta politico-giudiziaria che travolse la prima Repubblica e la crisi di legittimazione che colpisce gruppi e protagonisti dell’Italia di oggi. A coloro che evocano analogie fra le fasi drammatiche dell’esperienza del Psi guidato da Bettino Craxi e la parabola del Carroccio di Umberto Bossi, l’ex Guardasigilli risponde rivendicando il carattere politico dei suoi dissensi dall’allora segretario del Garofano: «A parte brandire una ramazza e recarsi in Procura per collaborare con i giudici, quale alternativa propone Roberto Maroni rispetto al Senatùr?»

È possibile porre sullo stesso piano Tangentopoli e le vicende Lusi e Belsito?
«Il parallelo è fuorviante e poco corretto, e mi sembra influenzato soprattutto dalla ricorrenza ventennale di Mani Pulite. Le realtà messe in luce dalle due indagini sono completamente differenti se non antitetiche. L’architrave dei capi di imputazione che nei primi anni Novanta venivano mossi ai partiti e ai loro rappresentanti era il finanziamento illecito, le forme illegali e occulte con cui le forze politiche si erano mantenute. Su quella base furono scoperti rapporti malsani tra vita pubblica e affari, e scoperchiati i fenomeni di corruzione e concussione. Nelle vicende più recenti, il cuore delle accuse è l’appropriazione indebita ai danni del partito, una sottrazione di risorse destinate a gruppi e movimenti da parte di amministratori infedeli per finalità private, familistiche e clientelari. Sotto l’insegna generica della questione morale coesistono dunque due universi lontani, direi opposti».

Non riscontra proprio nessun denominatore comune?
L’unico elemento unificante è la legge che attraverso gli abnormi rimborsi elettorali e in forma più ipocrita delle norme del 1974 impone il finanziamento pubblico dei partiti. Un provvedimento criminogeno, poiché destinando immense risorse statali alle forze politiche incentiva la voracità dei loro apparati, il loro impulso a ingigantirsi e riprodursi cercando denaro anche illecitamente. Una disposizione concepita in aperta e clamorosa violazione del referendum che nell’aprile 1993 aveva abrogato le sovvenzioni di gruppi e movimenti a carico della collettività. E mi chiedo perché la Consulta non sia intervenuta per vietare una simile ferita alla legalità costituzionale. Anziché alimentare i costi di oligarchie sempre più pesanti sottraendo coercitivamente liquidità ai contribuenti, dobbiamo introdurre un modello di contribuzione volontaria, libera e individuale, anche immaginando detrazioni fiscali ragionevoli, come per i versamenti alla ricerca o alle confessioni religiose. Ma è doveroso cancellare un meccanismo illogico e perverso che assegna rimborsi sproporzionati sulla base dei voti ottenuti. Poi sarà possibile discutere di garanzie minime e di diritto di tribuna per le forze in campo, assicurando pari opportunità di accesso ai media.

Pierluigi Bersani osserva che in questo modo la politica si ridurrebbe a monopolio dei più ricchi.
Ritengo che il segretario del Pd capovolga volutamente la realtà, e dimentichi che Silvio Berlusconi è potuto diventare un assoluto protagonista della vita pubblica in presenza del finanziamento pubblico che ha contribuito a reintrodurre e a conservare. Bersani dimentica che Barack Obama è riuscito a conquistare la Casa Bianca contro ogni previsione e scetticismo proprio raccogliendo una valanga di donazioni limitate, sconfiggendo da outsider Hillary Clinton, appoggiata dall’establishment democratico, nel corso delle primarie, e poi i repubblicani foraggiati da potenti lobby nella battaglia decisiva. Ricordo infine che le associazioni di operai, braccianti, artigiani e le prime organizzazioni socialiste attive alla fine dell’Ottocento non si sognarono mai di invocare le elargizioni di denaro da parte dello Stato. Ma crearono e finanziarono autonomamente e volontariamente leghe, sindacati, cooperative, casse di mutuo soccorso, partiti: fu un esempio straordinario di emancipazione e di vitalità proprio da parte dei ceti disagiati e oppressi. Una vicenda fin troppo eloquente per una sinistra divenuta vittima di una tragica illusione statalista, in tutti i campi. Anche sul terreno del rinnovamento indispensabile del Welfare e della devoluzione di alcuni suoi compiti a quel Terzo settore che negli Usa costituisce l’8 per cento del Pil, anche grazie alla defiscalizzazione delle attività socialmente rilevanti.

Individua analogie fra la realtà politica attuale e l’assetto partitico di vent’anni fa?
A sinistra vedo formazioni che si muovono nelle macerie della prima Repubblica e in piena continuità con il suo impianto. Il Partito democratico si presenta come erede del Pci e di una parte della storia della Dc: è sufficiente vedere la sua classe dirigente. Le novità sono tutte nel centrodestra, con Forza Italia e la Lega, “il più partito di tutti”: basato su una militanza dura e combattiva e sul radicamento nelle amministrazioni provinciali, connotato da una visione arcaica e tuttavia forte in un Nord avanzato e animato da una vocazione autonomistica secolare.

Accetterebbe un paragone tra la parabola del Carroccio e gli anni conclusivi del Partito socialista?
Solo una valutazione superficiale suggerirebbe una simile equiparazione. Non vedo affinità tra il Psi e la Lega Nord, né posso mettere sullo stesso piano Bossi e Bettino Craxi. Anche noi eravamo una forza improntata all’innovazione, ma possedevamo un bagaglio culturale di respiro internazionale e una forte consapevolezza dell’universalità dei diritti umani. Quando i magistrati cominciarono a scoprire l’illegalità e il malaffare anche nei confronti del Psi io era in una posizione difficilissima, assorbito da Guardasigilli nella lotta alla criminalità mafiosa che aveva assassinato Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Fui coinvolto completamente da quell’impegno e forse non mi accorsi della forza dirompente di Mani Pulite. Senza gridare al complotto mediatico-giudiziario, contestai alcuni metodi violenti utilizzati dal pool di Milano, a partire dalla carcerazione preventiva per estorcere confessioni, del tutto simili a quelli impiegati contro la malavita organizzata. E denunciai il carattere selettivo e discriminatorio di un’indagine che, grazie all’amnistia del 1989 e della depenalizzazione del 1994, andò a colpire esclusivamente i reati compiuti nell’arco di quei cinque anni e i partiti politici protagonisti di quella stagione.

Lei però era candidato ad assumere la guida di un Psi allo sbando per rinnovarlo e rilanciarne l’iniziativa. Proprio come Maroni oggi nella Lega.
Bossi non è Craxi e io non mi sento come Maroni. Le mie diversità di vedute con Bettino erano tutte politiche. Io propugnavo un orientamento mitterrandiano, di aggregazione delle forze socialiste e laiche per un’alternativa progressista e democratica che comprendesse anche gli eredi del Pci. Craxi, che inizialmente aveva accarezzato quella linea, preferì proseguire nell’alleanza di governo con la Democrazia cristiana. Mi domando quali siano le contrapposizioni politiche tra Bossi e Maroni. A parte brandire una ramazza in pubblico e recarsi in Procura per promettere collaborazione con i magistrati, posizione antitetica a quella del Senatùr che grida al complotto, quale è l’alternativa lanciata dall’ex ministro dell’Interno? Ministro che peraltro si è dimostrato un tipico rappresentante del centralismo romano, incapace di affrontare i flussi migratori e confondendo la questione umanitaria degli sbarchi in Sicilia di persone disperate provenienti dal Nord Africa con il problema dell’immigrazione clandestina.

Come si esce da quella che assomiglia sempre più a una crisi di regime?
Aboliamo subito i rimborsi elettorali ai partiti. Quindi realizziamo un disegno complessivo di riforme istituzionali e elettorali. Ma prima di decidere tra presidenzialismo e forma di governo parlamentare e fra maggioritario e proporzionale, introduciamo un’assoluta separazione fra tutti i poteri per sciogliere pericolose commistioni, come avviene da secoli nelle democrazie anglosassoni. È necessario impedire ai magistrati di transitare tranquillamente dalle aule di giustizia alle Camere e ai ministeri. Ed è essenziale stabilire la piena incompatibilità tra mandato parlamentare, inevitabilmente di parte, e responsabilità di governo, che esige competenza e imparzialità. 

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