Giunge, infine, l’ora della mediazione tributaria, il nuovo istituto, fortemente voluto e sponsorizzato dall’Agenzia delle entrate, per dare una svolta al rapporto tra fisco e contribuente, quando prende una piega conflittuale. A partire da questo mese di aprile, se un contribuente riceve una contestazione fiscale di valore non superiore a 20mila euro contro la quale intende fare ricorso, prima di adire il giudice tributario deve transitare per il tentativo di mediazione, pena l’inammissibilità del ricorso stesso.
Nel 2010, ultimo anno per il quale sono disponibili le statistiche ufficiali del Ministero dell’Economia e delle Finanze, i ricorsi presentati alle commissioni tributarie sono stati oltre 290mila e, poiché più della metà vertono su contestazioni inferiori a 20mila euro, l’intenzione sarebbe quella di sgravare la giustizia tributaria della maggior parte dei contenziosi e consentirle così di essere più celere nell’esaminare quelli più “pesanti”, tanto più oggi che siamo nell’era degli accertamenti esecutivi anche in pendenza di giudizio.
In realtà, questo istituto convince poco. In primo luogo, perché il mediatore non è un soggetto terzo, ma gli uffici legali di quella stessa Agenzia delle entrate che, nel procedimento amministrativo, è anche controparte del contribuente. Tanto è vero che è più corretto parlare di “reclamo amministrativo obbligatorio”, con quel che ne consegue, per altro, in termini di oggettivo rischio di incostituzionalità dello stesso, atteso che già in altre occasioni la Corte ha avuto modo di escludere la legittimità di un istituto amministrativo che si frappone, con i crismi della obbligatorietà a pena di inammissibilità, tra cittadino e autorità giurisdizionale competente.
Il direttore dell’Agenzia delle entrate, in sede di presentazione dell’istituto, ha ammesso che l’affidamento della mediazione tributaria a un vero mediatore terzo poteva essere una soluzione, ma avrebbe finito per rendere l’istituto una sorta di inutile doppione del contenzioso avanti le commissioni tributarie. Vero. È però vero anche che, così come è configurata, la mediazione – reclamo appare un altrettanto poco utile doppione degli istituti dell’autotutela e dell’adesione che, in contraddittorio tra contribuente e uffici, già consentono, se c’è reale disponibilità di dialogo, l’annullamento o la definizione pre-contenziosa delle contestazioni.
Dopodiché, piuttosto che essere disfattisti a priori, meglio essere ottimisti e pensare che l’istituto potrà davvero contribuire agli obiettivi di miglioramento del rapporto tra fisco e contribuenti e di deflazione dei contenziosi pendenti avanti la giustizia tributaria. Perché questo accada, tuttavia, i numeri ci dicono che è necessario da parte dell’Amministrazione finanziaria un cambiamento culturale non meno radicale di quello che, in questi mesi, con toni crescenti ed a tratti un po’ saccenti, i vertici dell’Amministrazione finanziaria vanno auspicando per i contribuenti.
Nel 2010, i giudici tributari di primo grado si sono pronunciati su oltre 168mila ricorsi di contribuenti contro accertamenti emanati dall’Agenzia delle entrate. I contribuenti si sono visti dare ragione il 36% delle volte (non è poco), l’Agenzia delle entrate il 39% (non è molto), mentre l’8% delle volte è finita pari (ossia con accoglimento del ricorso soltanto parziale) e il 17% delle volte il processo si è estinto prima del giudizio. Dal punto di vista delle somme in contestazione, i contribuenti hanno vinto il 30% degli importi e l’Agenzia delle entrate il 47%, mentre il restante 23% è relativo ai processi estinti. In altre parole, sia per numero di cause che per importi, quando il contribuente ricorre l’Agenzia delle entrate ha ragione meno della metà delle volte.
Insomma, se, per sconfiggere l’evasione fiscale, è necessario un nuovo approccio del contribuente ai propri doveri fiscali, sembra davvero di poter dire che, per non rendere la mediazione-reclamo un vuoto istituto, buono soltanto per rendere più difficoltoso l’esercizio del diritto di difesa del contribuente, è necessario anche un nuovo approccio dell’Amministrazione finanziaria nell’intendere il proprio ruolo. Magari succede, chissà. Magari no.