Tre da una parte, tre dall’altra. In mezzo il segretario Pd Pierluigi Bersani. A meno di un mese dalle elezioni, il Partito democratico convoca al Nazareno i suoi candidati sindaci per la presentazione ufficiale. Quelli che rispondono all’appello sono sei. Meno di un terzo. «Ovviamente – spiega il responsabile Enti locali Davide Zoggia aprendo la conferenza stampa – i nostri sono molti di più». Diciannove, per la precisione. Considerando solo i capoluoghi di provincia che andranno al voto. Più di due terzi dei candidati democrat, quindi, hanno dato buca al segretario. Nessun imbarazzo: «A causa di una campagna elettorale particolarmente breve – continua il dirigente – hanno preferito continuare la propria attività sul territorio. E noi del Pd siamo contenti».
Mentre Bersani e i sei candidati si concedono ai fotografi, in sala qualcuno si lamenta. «Che vergogna, nemmeno una donna». Effettivamente di candidate al femminile non ce n’è neppure una. Nessun caso, assicurano dal partito. «Nei comuni con più di quindici mila abitanti sosteniamo almeno 35 donne». Nelle città più importanti la percentuale scende. Nei 29 capoluoghi che andranno alla amministrative, il centrosinistra schiera solo cinque candidate sindaco donna. Alla faccia della parità di genere.
Il voto alle amministrative non può prescindere dal tema delle primarie. Un calvario, per il Partito democratico. A Genova le due candidate democrat sono state superate dall’indipendente Marco Doria. Nel recente passato il Pd aveva dovuto rinunciare anche a Cagliari, Napoli, Milano. A dirla tutta quest’anno il partito di Bersani è stato sconfitto anche nelle primarie di Palermo. Eliminati dal voto degli elettori sia Rita Borsellino, la prescelta di Bersani, sia il renziano Davide Faraone, l’unico candidato iscritto al Pd. Superati dall’ex Idv Fabrizio Ferrandelli. L’ennesimo esponente di centrosinistra, ma non del Pd, in corsa per una poltrona da sindaco. Eppure oggi è stato invitato a Roma anche lui. Assente giustificato. «Doveva intervenire alla conferenza stampa – raccontano – ma un grave problema di famiglia lo ha bloccato in Sicilia».
Nonostante tutto le primarie restano un principio da difendere. A detta dei dirigenti democrat, i risultati generali non sarebbero neppure così male. «Nelle venti città dove si sono fatte le primarie, in sedici casi ha vinto il Pd» rivela Zoggia. Risultato più che buono. Peccato che nei quasi trenta capoluoghi al voto, solo diciannove candidati sindaci siano esponenti del Nazareno. Più tardi è il segretario Bersani a rivendicare con orgoglio: «Le primarie le abbiamo inventate noi». Eppure ben due candidati sindaco del Pd – su sei presenti – non apprezzano il sistema. È il caso di Alessandro Tambellini, in corsa a Lucca, nominato quasi per acclamazione. «Non sono stato scelto con le primarie – ammette l’esponente democrat – ma ero stato designato da tutti i circoli del territorio». E poi c’è Salvatore Scalzo, il ventottenne che punta alla poltrona di primo cittadino a Catanzaro. Anche lui selezionato dalle segreterie dei partiti che lo sostengono. «Perché le primarie – ammette sconfessando la linea di Bersani – non sono un modello assoluto che funziona ovunque».
Al Nazareno prendono la parola anche i vincitori di due primarie finite al centro delle polemiche. Pistoia e Piacenza. Nel primo caso il partito locale si è spaccato. Il candidato democrat sconfitto Roberto Bartoli è stato escluso dalla lista Pd. E ha deciso di lasciare in polemica il partito. Portandosi dietro, racconta, oltre trecento dei mille iscritti. Nella seconda città, patria del segretario Bersani, il voto è stato accompagnato dalle accuse su presunte – e mai provate – compravendite di preferenze da parte del candidato dell’Italia dei Valori. Ovviamente oggi nessuno torna su quelle storie. Le primarie? «A Pistoia sono state un grande successo» spiega il vincitore Samuele Bertinelli. Curioso lo slogan scelto dal partito: «Pistoia di tutti». Insomma, di tutti meno di chi è stato epurato. «A Piacenza le primarie hanno avuto un esito molto positivo, esemplare» rivela il candidato Paolo Dosi. Dopo le polemiche sulla strana affluenza di elettori ai seggi, l’esponente Pd ammette candidamente: «Nonostante il freddo, ha votato oltre il 10 per cento dei nostri potenziali elettori». Una cifra record.
Il programma della conferenza stampa è semplice. Ognuno ha cinque minuti per raccontare la propria sfida. Sul palco sale il sindaco aquilano (ricandidato) Massimo Cialente. Forte del 70 per cento dei consensi ricevuto alle primarie («Avevo un bisogno quasi fisico di conoscere il giudizio dei miei cittadini»). Ciascuno imposta il suo intervento come meglio crede. Roberto Scanagatti, candidato a Monza, terza città della Lombardia per numero di abitanti, punta sulla Lega Nord. «La nostra è la città che prima ancora del Trota aveva messo in crisi i rapporti tra Pdl e Lega». Qualcun altro preferisce accusare il Pdl. Il lucchese Alessandro Tambellini elenca i governi di centrodestra che dal 1998 governano la città. Quasi tutti parlano di partecipazione, alleanze, progetti. C’è persino chi cita “L’apologo sull’onestà nel paese dei corrotti” di Italo Calvino.
Non potrebbe essere altrimenti. Dopo le ultime vicende leghiste, i temi della corruzione e dei finanziamenti pubblici ai partiti sono tornati improvvisamente di attualità. Ecco perché la parola chiave di quasi tutti i candidati sindaci Pd è una sola: sobrietà. Qualcuno promette che appena eletto ridurrà le indennità degli assessori. Quasi tutti assicurano di aver allestito campagne elettorali al risparmio. «Abbiamo fatto una campagna di una sobrietà francescana» rivela il pistoiese Bertinelli. «Accettando solo contributi da parte di persone fisiche. Tetto massimo di ogni donazione, mille euro. Ma durante le primarie non si poteva versare più di 250 euro». «Nel nostro caso – spiega il lucchese Tambellini – abbiamo preso contributi minimi. Un ragazzo ha versato solo cinque euro, il valore della sua ricarica telefonica».