Ha vinto l’Ungheria. La battaglia fra Viktor Orban, il primo ministro ungherese, e l’Unione europea ha visto prevalere Budapest. L’apertura formale di Bruxelles alle trattative per gli aiuti internazionali verso l’Ungheria fa esultare Orban, tornato in patria vittorioso. Del resto, dopo cinque mesi di stallo, Olivier Bailly, portavoce della Commissione europea, è stato chiaro: «Siamo disposti a discutere di un supporto finanziario per l’Ungheria, ma la condizione necessaria è che cambino la legge sulla banca centrale». Eppure, sotto questo versante l’unica concessione arrivata da Orban sono delle promesse.
Non sono bastate le raccomandazioni. Non sono bastate i moniti. Non sono bastate nemmeno le minacce. E non è bastato nemmeno il congelamento dei fondi per i prossimi due anni, circa 495 milioni di euro. Nella lunga guerra contro Budapest, l’Ue deve segnare un’altra sconfitta sul proprio tabellino. All’Ungheria di Orban sono bastate le promesse verbali per poter abbandonare Bruxelles con in mano il lasciapassare per il dialogo sul supporto finanziario, proprio come voleva il governo. Dalla Commissione europea hanno ribadito che «condizione fondamentale rimane la revisione della legislazione sulla banca centrale», sottolineando come il ruolo della politica monetaria deve essere sempre preservato e protetto dagli interessi politici. Proprio su questo versante il dialogo fra le parti era deragliato. Bruxelles ha infatti paura che possa venir meno l’indipendenza della Magyar Nemzeti Bank, cioè la banca centrale ungherese, in seguito alla nuova legge approvata nello scorso dicembre. Questa prevede una governance che fornisce più poteri al governo di Orban nella scelta del Consiglio monetario, una decisione che va contro quanto armonizzato nell’Unione europea.
L’apertura di oggi fa seguito alla richiesta che Budapest aveva avanzato a fine 2011. «Dobbiamo chiedere un ulteriore sostegno finanziario, dato che senza di quello è probabile che non ci siano margini di manovra per un ritorno alla sostenibilità del debito. L’altra opzione è il default», aveva detto Orban. Nel frattempo, tuttavia, il primo ministro ungherese portava avanti il processo di riforma della banca centrale, fra le ire di Bruxelles e i moniti della Banca centrale europea (Bce).
In gennaio il negoziatore del governo ungherese con il Fondo monetario internazionale (Fmi), Tamás Fellegi, aveva parlato di «crisi grave e senza precedenti». Fellegi ha invocato un accordo con il Fmi «quanto prima», rimarcando il nervosismo degli investitori, lo stesso che fece fallire il collocamento dei titoli di Stato ungheresi in un’asta di inizio anno. E non è un caso che proprio in quei giorni fu il governatore della Magyar Nemzeti Bank, András Simor, a fare un appello all’Ue, data «la condizione di precaria instabilità che sta vivendo il Paese sotto il profilo finanziario». Il rapporto debito/Pil è infatti superato quota 82% nel 2011, in aumento di circa 2,4 punti percentuali rispetto all’anno precedente. Non solo. Simor aveva messo poi in guardia sul deficit. Dopo un 2011 chiuso con un rapporto deficit/Pil al 2,5%, il numero uno della banca centrale ha spiegato a inizio anno che per il 2012 «è possibile che sia ben oltre il 3,7%». Eppure, questa stima è stata già rivista. Ora l’istituzione monetaria magiara parla del 4 per cento.
La crisi economica in cui versa l’Ungheria ha costretto l’Ue a rivedere le sue posizioni. Questa è infatti l’opinione che gira nei corridoi di Palazzo Justus Lipsius. Dopo il maxi prestito da 15,7 miliardi di dollari erogato nel 2008, è possibile quindi che si vada verso un ulteriore sforzo economico per stabilizzare la situazione. Tuttavia, come ha ricordato la Commissione Ue, devono essere prima sciolti alcuni nodi, come l’indipendenza della banca centrale.
«Gli aiuti sono necessari, ma le precondizioni europee sono follia». Così ha commentato a caldo Viktor Orban. L’intenzione del governo di Budapest sembra quindi essere quella di continuare la lotta. Come dice a Linkiesta un funzionario della Commissione Ue «non si poteva fare di più, la crisi ungherese è pesante e il Paese ha bisogno di un sostegno». Il problema maggiore è che ora, alle promesse di Orban, devono seguire le azioni concrete. «Possiamo solo fidarci e dobbiamo farlo, non ci sono alternative», dice il funzionario non senza un filo di rassegnazione.
La dialettica fra Europa e Orban è destinata a continuare. Ma il precedente creato in queste ore rischia di incidere nelle decisioni future del governo di Budapest. Non è caso che la reazione dei mercati sia stata repentina. Il tasso d’interesse dei titoli di Stato ungheresi a dieci anni è crollato del 10,45%, arrivando fin sotto la quota dell’8%, un valore che non toccava dallo scorso dicembre. In ribasso anche il prezzo dei Credit default swap (Cds), ovvero i derivati finanziari che fungono da assicurazione contro il fallimento di un asset, sceso fino a 570 punti base, contro gli oltre 750 punti raggiunti in dicembre. Il rischio è che, una volta cadute nel dimenticatoio le promesse di Orban, il nervosismo dei mercati finanziari possa aumentare ancora una volta intorno all’Ungheria.