Nell’ambito della riforma del lavoro il governo vuole innovare la disciplina del congedo parentale. Alle proposte del ministro Fornero, tre giorni retribuiti obbligatori per i neo-padri e la possibilità per le madri di convertire i mesi di congedo parentale facoltativo in voucher per pagare il baby-sitting, si aggiungono ora quelle del ministero per la Cooperazione e l’integrazione.
Il ministro Andrea Riccardi, che ha anche le deleghe alle Politiche per la Famiglia, intende presentare sette articoli alla Camera contenenti alcune novità. In particolare l’estensione del periodo in cui si può usufruire del congedo ai primi 18 anni di vita del figlio (contro gli 8 attuali per i lavoratori dipendenti, e l’anno per gli autonomi e parasubordinati), e la possibilità per i genitori di “girare” ai nonni i mesi di congedo. Secondo Riccardi, “aiutare la famiglia oggi significa sostenere il più grande ammortizzatore sociale di cui l’Italia dispone”.
In attesa di conoscere i dettagli del testo, si pongono alcuni interrogativi rispetto alla disciplina attuale. Secondo le norme vigenti, i lavoratori dipendenti godono di sei mesi di congedo parentale, frazionabili nel tempo e spendibili nei primi otto anni di vita del figlio. Il congedo spetta al padre e alla madre (quest’ultima prima ha il periodo di astensione obbligatoria), per una somma totale di 10 mesi, che salgono a 11 se il padre ha usufruito di almeno di tre mesi di congedo. L’indennità corrisponde al 30% della retribuzione.
Alle lavoratrici autonome (artigiane, commercianti, coltivatrici dirette, mezzadre, colone e imprenditrici agricole a titolo principale) spettano tre mesi di congedo parentale, frazionabili, da usare nel primo anno di vita del figlio. La retribuzione è del 30% della retribuzione convenzionale giornaliera stabilita per legge ogni anno per ciascuna categoria di appartenenza. I padri lavoratori autonomi non ha diritto all’indennità per congedo parentale.
Simile disciplina anche per i lavoratori a progetto o assimilati (lavoratori a progetto, collaboratori coordinati e continuativi presso la P.A. e titolari di assegno di ricerca) iscritti alla gestione separata Inps. Il congedo è di tre mesi, da usare nel primo anno di vita del figlio, e l’indennità equivale, per ogni giorno di congedo, al 30% di 1/365 del reddito derivante da collaborazione a progetto o coordinata e continuativa, percepito nei 12 mesi precedenti. L’indennità spetta al padre solo in caso di morte o grave infermità della madre; abbandono del figlio da parte della madre; affidamento esclusivo del bambino al padre; adozione o affidamento non esclusivi, qualora la madre non ne faccia richiesta.
Con la nuova normativa, l’aumento del termine entro cui si può godere del congedo ai 18 anni del figlio, varrebbe per tutti i lavoratori, oppure solo per i dipendenti? L’attribuzione ai nonni del congedo seguirebbe la disciplina attuale? Quindi i genitori di una lavoratrice autonoma potrebbero usufruirne per 3 mesi e quelli di un lavoratore a tempo indeterminato per 6 mesi? Chi non ha nonni lavoratori ma già pensionati ne risulterebbe svantaggiato? In generale, il dualismo del mercato del lavoro, rimarrebbe pur con un generale aumento delle tutele, o verrebbe superato in questo ambito con una disciplina uniforme?
Per la risposte si attende la presentazione degli articoli ideati dal ministro Riccardi. Suscita qualche dubbio la mentalità sottesa a questi provvedimenti, per cui se il welfare dello Stato non è in grado di garantire diritti e tutele ai lavoratori, specialmente precari, invece di rimediare alla lacuna si preferisce ampliare la possibilità di soccorso da parte delle famiglie. Un soccorso che spesso è già presente e, in molti casi, insufficiente.