Pericolo Nigeria: la prossima jihad potrebbe venire da qui

Pericolo Nigeria: la prossima jihad potrebbe venire da qui

Il gruppo islamico Boko Haram ha una lunga storia in Nigeria. Una storia fatta di estremismo religioso, forte senso di rivalsa sociale, collegamenti internazionali e una incredibile escalation militare. Nelle settimane scorse un centinaio di miliziani di Boko Haram sono stati visti a Gao, nord del Mali a fianco dei ribelli tuareg (e di elementi di AQMI, Al Qaeda nel Maghreb Islamico). E questo non fa che corroborare la tesi secondo cui BH è alla ricerca di un’espansione geografica e di una internazionalizzazione della sua lotta.

Certo, la ribalta internazionale l’ha ottenuta con una escalation militare senza precedenti solo negli ultimi mesi, ma le radici sono più lontane. Il 26 agosto 2011, colpendo la sede Onu nella capitale (25 morti e 100 feriti) Boko Haram ha fatto un salto di qualità su due fronti:
– geografico, spostando la front line del conflitto nel cuore del paese e non limitandola al solo nord.
– politico, colpendo una istituzione internazionale, ottenendo così una visibilità mediatica senza precedenti.

È utile ripercorrere in sintesi alcuni degli ultimi attacchi portati avanti dal gruppo (fonte Ap):

– 8 aprile, Kaduna. Almeno 38 morti per una esplosione durante la celebrazione della Pasqua.
– 11 marzo, esplosione all’esterno di una chiesa di Jos, 10 morti. Nessuna rivendicazione.
– 26 febbraio, 3 morti per esplosione di un’auto all’esterno di una chiesa a Jos.
– 19 febbraio, 5 feriti per un’esplosione all’esterno di una chiesa Suleja, presso Abuja
– 20 gennaio, attacco coordinato con esplosioni e sparatorie a Kano, 185 morti
– 25 dicembre 2011, attacco a Madalla presso Abuja e in altre località che uccidono almeno 44 persone
– 4 novembre 2011 attacchi a Damaturu a sedi del governo (100 morti) e attacchi a Maiduguri (4 morti)
– 26 agosto 2011 attacco alla sede Onu di Abuja, 25 morti e più di 100 feriti
– 16 giugno 2011, diverse auto esplodono comandate a distanza alla sede della polizia federale di Abuja facendo due morti

Un paio di considerazioni innanzitutto: Boko Haram ha “messo la quinta” dall’estate dell’anno scorso, dimostrando capacità logistiche e militari senza precedenti nella storia dell’organizzazione. La guerra libica, l’apertura degli arsenali di Gheddafi e contatti con Al Qaeda nel Maghreb potrebbero aver giocato un ruolo determinante.

Ora, sotto la guida di Abu Shekau, il movimento armato ha delegittimato il governo di Goodluck Jonathan dimostrando l’inadeguatezza della risposta politica e militare di Abuja al problema. Sommato al movimento di Occupy Nigeria, le efficaci strategie di attacco alle istituzioni e ai cristiani, stanno dando non pochi grattacapi al Presidente nigeriano e al suo staff. L’obbiettivo è chiaro: alimentare il conflitto e il settarismo tra le due comunità, mettere nel mirino le istituzionali nigeriane e i partner internazionali e imporre la sharia nel paese. In realtà, dal 1999 nei 12 stati del paese la sharia è già una fonte per i giudici, ma non nei modi e nelle forme volute da BH.

Questo il quadro, a quasi tre anni da un’altra data spartiacque: il 26 luglio del 2009, quando una insurrezione nel nord guidata da elementi di BH portò a una feroce repressione da parte delle forze di sicurezza. Bilancio: 800 morti, tra cui il leader dell’organizzazione Mohamed Yusuf. Una Moschea a Maiduguri venne data alle fiamme. Un video di Al Jazeera del 9 febbraio 2010 mostra il corpo mutilato di Yusuf con ancora le manette ai polsi.

L’esecuzione extragiudiziale di Mohamed Yusuf (a cui è succeduto Abu Bakr Shekau) ha alimentato il malcontento nel nord a maggioranza musulmana e ha dimostrato ancora una volta la brutalità nei metodi della polizia nigeriana. Gli interventi della Joint Military Task Force nelle città del nord hanno spesso provocato vittime civili. E questo non fa che dare linfa a Boko Haram. Un rapporto del 2009 di Amnesty International denuncia i metodi della forze di sicurezza nigeriane. Il luglio del 2009 ha visto anche una prima divisione del gruppo, con l’emergere di YIM, Yusufiya Islamico Movement, assai meno radicale e che anzi ha condannato in più occasioni gli atti più violenti di Boko Haram che si scaglia spesso anche contro i musulmani moderati.

Il gruppo Boko Haram in effetti esiste con nomi e forme diverse fin dal 1995 (come ricordano, a Frank Gargon e Sharon Bean per Militant Leadership Monitor), fondato da Abubakar Lawan che poi lasciò l’organizzazione per seguire studi alla Medina. A lui successe Mohammad Yusuf che pose le basi nello stato di Yobe di uno stato indipendente, scagliandosi contro la corruzione imperante e propugnando un islam puro.

Yusuf, abile oratore, pose così le basi ideologiche e religiose. Ma servivano le armi. Così dal 2004, una serie di attacchi mirati alle stazioni di polizie consentì al gruppo di armarsi efficacemente. Allestendo anche campi di addestramento e attuando audaci tattiche di guerriglia, come l’abbattimento dei ripetitori delle reti cellulari per impedire alla polizia nigeriana di comunicare.

Il reclutamento (e i legami) avvenivano e avvengono anche all’estero: tra le fila di BH, somali, nigerini, sudanesi. A una crescente abilità militare tattica, Yusuf univa discorsi incendiari che attiravano giovani musulmani disoccupati e arrabbiati con Abuja che da tempo aveva “dimenticato” il nord.

La contrapposizione nord-sud, cristiani-musulmani nasconde poi le divisioni tribali ed etniche che non devono essere sottovalutate. L’intreccio è infatti economico, religioso e sociale insieme. Un sud ricco e più sviluppato a maggioranza cristiana e un nord povero, depresso e con poche speranze e risorse per il futuro sono sulla scacchiera. Benzina per movimenti estremisti, che spesso parlano alla pancia e cavalcano con facilità il diffuso malcontento popolare.

Ciò che preoccupa ora sono le infiltrazioni/collaborazioni con Al Qaeda nel Maghreb islamico e con Al Shabaab in Somalia. Abu Bakr Shekau ha certamente intenzioni jadhiste più internazionali (in recenti video postati in rete, Shekau mette anche gli USA nel mirino) e questo afflato globale può trovare elementi in comune con le altre due formazioni. Tra i nuovi leader, vi è Mamman Nur, chadiano di nascita, tra le menti dell’attentato ad Abuja che ha, secondo il quotidiano nigeriano Vanguard, svolto un training in Somalia e ha recentemente preso contatti con AQMI. L’intelligence americana da mesi segue con preoccupazione (e con agenti sul terreno) le vicende nigeriane.

Infine, alcune considerazioni sulla politica di Goodluck Jonathan: le risposte militari degli ultimi mesi sono state “pesanti” per la popolazione e sostanzialmente inefficaci su BH. Lo stato di guerra e i continui coprifuoco di molte città del nord sono inaccettabili per un Paese che primeggia nel continente nero e che punta allo sviluppo e al consolidamento della sua democrazia. I tentativi di dialogo non hanno funzionato: a parte le minacce di morte a Olegun Obasanjo, ex presidente e poi mediatore, a farne le spese sono stati alcuni mediatori, uccisi da uomini vicini a Nur, tra cui Babakura Fugu, vicino alla famiglia di Yusuf. E allora? Se la parola non serve e le armi neppure? Un piano di sviluppo economico e sociale per il nord, una reale lotta alla corruzione imperante potrebbero essere l’arma definitiva del governo di Jonathan. Non è un arma che produce i suoi effetti nel breve termine, questo è chiaro. Ma intanto, più il tempo passa, più Jonathan dispiega le sue truppe, più BH si radicalizza e aumentano le sue possibilità di vittoria. Non sarà una vittoria militare, questo è certo, ma un Boko Haram presente, forte e legittimato nel nord è un fattore disgregante per tutta la Nigeria.

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