Preti pedofili, a Philadelphia parte il processo nel silenzio generale

Preti pedofili, a Philadelphia parte il processo nel silenzio generale

Fino a che punto la gerarchia ecclesiastica va ritenuta responsabile del comportamento dei preti pedofili? La stampa italiana ne parla poco (sempre meglio non avere guai con il Vaticano) ma in molti paesi del mondo lo scandalo continua a suscitare interesse e nelle ultime settimane, negli Stati Uniti e in Messico, sono accadute tre cose importanti che potrebbero riaccendere lo scandalo, aprendo nuovi fronti di indagine e nuove controversie.

La prima notizia arriva da Filadelfia dove lunedì si è aperto un processo a cui il New York Times ha dedicato un ampio editoriale: A Monsignor Goes on Trial. Il monsignore in questione è William Lynn e la sua storia fa rumore perché per la prima volta a salire sul banco degli imputati non è un prete pedofilo, ma un membro della gerarchia accusato di avere coperto lo scandalo per anni. In passato William Lynn è stato per dodici anni il supervisore dei sacerdoti di Filadelfia. Negli anni Ottanta, di fronte al moltiplicarsi degli abusi che si verificavano all’ombra delle chiese e dei seminari, Lynn fu incaricato di creare un archivio segreto sui preti coinvolti in episodi di pedofilia. In seguito, nel 1994, il cardinale Anthony Bevilacqua, della diocesi di Filadelfia, gli ordinò di distruggere tutto. Ma nel 2006 una copia di quell’archivio fu trovata in un armadio della diocesi e nel 2011 fu consegnata alle autorità giudiziarie. Il cardinale Bevilacqua, che avrebbe dovuto testimoniare al processo, è morto il 31 gennaio.

Nell’archivio, aggiornato fino al 1994, sono citati 35 preti che continuavano a svolgere la loro opera come sacerdoti in quella diocesi nonostante fossero accusati di violenza su minori. In totale i sacerdoti collegati ad abusi sessuali nella diocesi, tra il 1948 e oggi, sono sessanta. William Lynn, che era perfettamente a conoscenza di ogni cosa, va considerato colpevole?

Il problema che si apre davanti al giudice di Filadelfia è drammatico. Negli Stati Uniti, negli ultimi tre anni, settecento preti sono stati obbligati ad abbandonare il sacerdozio, molti di loro sono stati condannati e sono finiti in carcere, ma i vertici della Chiesa non sono mai stati toccati dallo scandalo, almeno da un punto di vista penale. Uno dei sacerdoti interrogati dai giudici di Filadelfia ha detto che la gerarchia cattolica trattava i preti pedofili come alcolizzati da curare con programmi simili a quelli degli alcolisti anonimi. Il fatto che quei preti non fossero dipendenti dall’alcol ma dall’abuso dei bambini appariva secondario. Colpevoli sono solo i preti pedofili o anche i vertici che li hanno coperti, magari spostandoli altrove?

L’interrogativo non è semplice da sciogliere. In alcuni stati (Missouri, Wisconsin, Utah) i giudici hanno sostenuto che in questo caso processare la gerarchia cattolica sarebbe una violazione del Primo emendamento, che garantisce la libertà di pensiero, di religione e di stampa. È la linea di difesa, sempre più aggressiva, seguita dagli avvocati delle diocesi messe sotto accusa. E qui arriviamo alla seconda notizia.

In Missouri, all’inizio di marzo, gli avvocati dei preti accusati di abuso sui minori hanno portato in tribunale la Snap (Survivors Network of Those Abused by Priests) un’associazione di volontari che dal 1989 si occupa di assistere le famiglie delle persone che hanno subito abusi. Gli avvocati chiedono ai vertici della Snap di consegnare ai giudici tutta la corrispondenza scambiata con gli assistiti in ventitre anni. Obiettivo: verificare se nelle migliaia di lettere e email tra l’associazione e le vittime ci siano irregolarità. I militanti della Snap replicano che si tratta di una odiosa violazione della privacy di migliaia di vittime, un modo subdolo per segnalare a chiunque voglia rivolgersi all’associazione che la sua vita privata sarà resa di pubblico dominio.

William Donohue, presidente della Catholic League for Religious and Civil Rights, ha spiegato al New York Times: «Lo Snap è una minaccia alla Chiesa Cattolica. In passato la Chiesa è stata troppo veloce a firmare assegni. Ormai abbiamo capito che sarebbe stato meno dispendioso se avessimo lottato su ogni singolo caso (di abuso, ndr)».

Questo chiaro cambiamento di strategia da parte della Chiesa ci porta alla terza notizia, legata al recente viaggio in Messico del papa, che si è rifiutato di incontrare le famiglie delle vittime di abusi sessuali. 

Il Messico è un paese particolare per il Vaticano. È il paese di Marcial Maciel, il fondatore dell’ordine dei Legionari di Cristo, scomparso nel 2008. Fin dagli anni Quaranta, Maciel abusò di decine di bambini e giovani seminaristi ed ebbe diversi figli (uno certo, altri cinque incerti) da donne diverse. Ora le vittime accusano la Chiesa di avere coperto Maciel per decenni. Alla fine di marzo, mentre papa Ratzinger sbarcava a Città del Messico, Jose Barba stava dando alle stampe un libro secondo il quale il Vaticano sapeva da decenni che Maciel era un drogato e un pedofilo. Barba è un ex sacerdote dei Legionari che nel 1998 intentò una causa legale contro Maciel per avere abusato sessualmente di lui mentre era in seminario. 

Il libro (“La voluntad de no saber”) è basato su 212 documenti riservati che Barba ha ottenuto da una fonte che ha accesso agli archivi vaticani. I documenti sono oggi pubblicati online all’indirizzo www.lavoluntaddenosaber.com. È una documentazione imponente, in larga parte scritta in italiano. Ha scritto l’Associated Press in un articolo pubblicato integralmente dal Wall Street Journal: «I nuovi documenti sembrano rafforzare le prove che il Vaticano fosse a conoscenza delle accuse ben prima che queste diventassero pubbliche».

Dalla documentazione pubblicata online emerge chiaramente che il Vaticano era a conoscenza dei problemi di Maciel fin dalla fine degli anni Quaranta. Nel 1954 una lettera di un prete della Legione al vicario di Città del Messico sosteneva che Maciel era morfinomane. Nel 1956 alcune lettere lo accusano esplicitamente di atti di sodomia nel confronti di ragazzi della congregazione.
In una lettera del 1976, Juan Jose Vaca (che Ratzinger ha rifiutato di incontrare nel suo recente viaggio) scrive chiaramente di avere subito violenze in seminario fin dal dicembre 1949, quando aveva tredici anni. Vaca cita altri venti preti che subirono lo stesso trattamento. Dal 1978 al 1992 scrisse lettere alle autorità della Chiesa. Poi lasciò la tonaca. 

Joseph Ratzinger, che nel 1998 era a capo dell’ufficio che ricevette quelle denunce, ha detto di essere venuto a sapere delle accuse a Maciel solo nel 2000. Impiegò sei anni a emettere sanzioni nei suoi confronti. Aspettò che fossero i suoi colleghi Legionari ad accusare apertamente il fondatore dell’ordine. D’altra parte anche Papa Wojtyla ammirava l’ortodossia e la disciplina dei Legionari. 

Non tutte le persone che hanno subito abusi hanno chiesto di essere ricevuti dal papa in occasione del suo viaggio in Messico. Jose Barba (l’autore del libro) e altre vittime hanno detto di non volere un incontro con Benedetto XVI. Jose Antonio Perez Olvera, un ex legionario che subì gli abusi di Maciel, ha dichiarato all’Associated Press: «Per nessuna ragione al mondo vorrei incontrare qualcuno che ha protetto Maciel invece di punirlo. Non veniamo a patti con i criminali, né con i loro protettori e i loro complici». Questa dichiarazione è stata pubblicata dal Wall Street Journal. In Italia ha avuto scarsa eco.
 

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