Ce lo dicono da almeno tre anni a questa parte: è ora di tirare la cinghia. Ma se la taglia della suddetta cinghia fosse più larga rispetto al passato, e non ce ne fossimo minimamente accorti? La notizia non farà troppo piacere alle signore: secondo quanto rivela l’Economist, l’inflazione ha colpito anche le taglie dei vestiti. E non solo: rispetto agli anni ’60 è aumentata anche la percentuale degli studenti che riescono a laurearsi con il massimo dei voti. Il prestigioso settimanale britannico ha provato a definire il fenomeno con un divertente neologismo: pan inflazione. In economia, l’inflazione indica il fenomeno dell’aumento del prezzo dei beni e servizi, che determina una conseguente riduzione del potere d’acquisto dei consumatori. Un fenomeno che, spiega l’Economist, coinvolge tutti gli aspetti della vita quotidiana.
Capita così che la taglia anglosassone 14 (48) negli anni ’70 corrispondeva all’attuale 18, e al contrario la 10 (44) degli anni ’70 è la 14 di oggi. Questo per un’evidente ragione: le donne sono molto più contente e quindi più propense all’acquisto se riescono ad entrare in una taglia più piccola. Eppure, osserva lo spietato settimanale, se si riesce ad infilarsi in una gonna “fintamente” da modella non ci sarà alcun incentivo valido per mangiare meno e in modo più sano. Il che crea un problema non di poco conto nella società inglese e americana, dove rispettivamente tre persone su quattro e tre su cinque sono sovrappeso.
Lo stesso ragionamento è valido anche per i voti degli esami universitari. Negli ultimi venticinque anni, inoltre – lamenta l’Economist – la percentuale degli studenti che si è laureata con il massimo dei voti è passata dal 9% al 27% nell’ultimo quarto di secolo. Uno studio dell’Università di Durham ha perciò concluso che un A di oggi corrisponde a un C degli anni ’80. La medesima tendenza è riscontrabile dall’altra parte dell’Atlantico: negli atenei americani il 45% degli studenti raggiunge il massimo dei voti rispetto al 15% degli anni ’60. I professori sono più buoni o gli studenti più diligenti? La diminuzione del valore del voto massimo crea una distorsione economica, parzialmente omogeneizzando gli studenti meritevoli a quelli mediocri. Aumentandone però l’autostima, esattamente come le ragazze che vestono una taglia ritenuta socialmente accettabile, a dispetto del loro effettivo stato di forma.
Gli alberghi di lusso non fanno eccezione. Oggi nababbi e rampolli vari, per essere veramente out standing, devono soggiornare non più in un banale cinque stelle, ma nei resort a sette stelle. Idem per la distinzione, negli aerei, tra business ed economy class, che molte compagnie europee, da British Airways ad Air France, hanno eliminato per non discriminare i passeggeri. Allo stesso modo, l’agognato titolo di frequent flyer, classico tic di quanti viaggiano molto per lavoro, e ben raccontato dal film Tra le nuvole, con George Clooney, non è più un traguardo irraggiungibile.
Alcuni indicatori dell’inflazione, divenuti ormai classici, sono il Big Mac Index, che misura il prezzo del celeberrimo panino di Mc Donald’s in tutto il mondo, e l’incremento dell’acquisto del rossetto, che secondo una massima del presidente di Estee Lauder, segna un picco al rialzo quando l’economia si contrae perché le donne si sfogano sul lucidalabbra non potendo comprare accessori più costosi come scarpe e borsette. Gli americani, popolo notoriamente innamorato delle statistiche, hanno inventato molteplici indicatori basati sulla vita quotidiana delle persone. Tuttavia, il trend evidenziato dall’Economist solleva un punto di riflessione non scontato: se la legge del marketing alza l’autostima ma diminuisce il livello qualitativo dei beni e servizi, cosa vale davvero per il consumatore (e lo studente) attento?
Twitter: @antoniovanuzzo