PARIGI – Fra pochi giorni la Francia andrà al voto. Da un lato il presidente uscente Nicolas Sarkozy, dall’altro il socialista François Hollande. In mezzo, un Paese che sembra sul punto di essere risucchiato dalla crisi dell’eurozona da un momento all’altro. Linkiesta ha incontrato Alexandre Delaigue, professore di Economia dell’École spéciale militaire de Saint-Cyr e animatore del blog Econoclaste, per una discussione su quanto è importante questa tornata elettorale per la Francia, ma soprattutto per l’Europa.
Diverse persone ritengono che la Francia potrà essere la prossima vittima del contagio della crisi dell’eurozona. Questo è un rischio concreto dopo le elezioni presidenziali?
Questo potrebbe succedere, ma non mi sembra molto probabile. La curva dei rendimenti dei bond francesi e i Credit default swap (Cds, i derivati che mitigano il rischio d’insolvenza, ndr) sono fondamentalmente piatti da gennaio. Nello stesso tempo, i bookmaker e le previsioni dei mercati, come quelle fatte sulla piattaforma Intrade, danno approssimativamente una vittoria di Hollande al 70%. Ritengo che le quotazioni sulle elezioni francesi siano prezzate dai mercati. E questi sembrano abbastanza rilassati su quello che succederà. Immagino che tutti stiano attendendo per vedere cosa succede. Di certo, una sorpresa è sempre possibile: un buon risultato del candidato di sinistra, Jean-Luc Mélenchon, che potrà portare Hollande più a sinistra nel dopo elezioni; oppure un risultato imprevedibile, in seguito ai sondaggi sbagliati. Alcune persone immaginano uno scenario greco, con Hollande come George Papandreou quando scoprì che i bilanci ellenici erano stati truccati, e pensano che il debito pubblico sia ben più elevato di quanto atteso. Io però non credo a questi scenari.
I mercati sono rilassati perché se si guarda ai programmi, in particolare alla finanza pubblica, le differenze fra Hollande e Sarkozy sono limitate. Entrambi sono basati su una crescita ultra ottimistica: Sarkozy vuole portare il deficit dal 4,4% del Pil a un surplus dello 0,5% nel 2017, e il debito dall’89,7% all’80,2%; Hollande ha programmato l’equilibrio di bilancio nel 2017 e la stessa traiettoria del debito. Ancora, Sarkozy ha pianificato di ridurre la spesa pubblica del 3,7% e di innalzare le imposte dell’1,2%; Hollande vuole tagliare la spesa del 2,7% e aumentare le tasse dell’1,8 per cento. I piani sono fondamentalmente gli stessi. E non dovrebbero essere presi sul serio: le circostanze avranno un impatto enorme su quello che succederà. Nessuno dei candidati infatti ha nel mirino il vero problema della Francia: la bassa crescita.
Una ricerca dell’Observatoire français des conjonctures économiques, basata sui dati Ocse, ha evidenziato un incremento nella spesa pubblica francese dal 2005 al 2011. Non è affatto positivo, specie nel momento della grande austerity europea. Ma la spesa pubblica è davvero così elevata in Francia? Quali settori necessitano di tagli?
Cosa tagliare è l’essenza della scelta politica. Ognuno può trovare il suo piccolo settore di spesa da tagliare. Sarkozy ha provato a ridurla con una semplice regola: rimpiazzando con un funzionario pubblico ogni due che andavano in pensione. È stato un fallimento, perché la regola è troppo uniforme. Il governo francese vuole che lo Stato faccia sempre di più, ma provarci con minor forza-lavoro funziona solo se riesci ad aumentare la produttività. È proprio questo il punto, dato che è difficile incrementare la produttività. E quindi arrivano scelte difficili, che significano una riduzione in ciò che lo Stato fa, con un relativo abbandono dell’intera funzione pubblica. Questo può rivelarsi molto, molto difficile politicamente.
L’altra via per la riduzione del rapporto spesa/Pil è aumentare il Pil. Ciò significa riforme strutturali per aumentare la crescita. E qui ci sono diversi punti. A esempio, i mercati del lavoro sono regolati malamente, come anche diversi mercati dei prodotti. Certo è che questo tipo di riforme non è affatto popolare. All’inizio Sarkozy ha chiesto consigli e idee per le riforme a una speciale commissione presieduta da Jacques Attali. Ha fallito miseramente nell’implementazione di queste idee nel mercato, come mostrato in un libro scritto da due economisti francesi, «Les réformes ratées du président Sarkozy», di Cahuc e Zylberberg. L’unico mercato che è stato deregolamentato negli ultimi cinque anni è stato quello delle scommesse online: non proprio un ottimo risultato.
Ieri Sarkozy ha parlato del ruolo della Banca centrale europea (Bce), invocando un mutamento dei Trattati, e la Germania ha risposto piccata, spiegando che l’indipendenza dell’Eurotower non è in discussione. L’asse Parigi-Berlino è in discussione?
Questa è una campagna che si ripete (Delaigue usa l’espressione Groundhog day, ovvero Il giorno della marmotta, film cult con Bill Murray in cui ripete ogni giorno la stessa giornata, ndr): stiamo rivivendo sempre gli stessi dibattiti. Sarkozy ha infatti chiesto un cambiamento del mandato della Bce anche nel… 2007! E prima ancora, nel 1997, il primo ministro Lionel Jospin voleva rinegoziare il Patto di stabilità e crescita. E sappiamo cosa è successo dopo: nulla. Alla fine, il realismo politico ed economico vincono. E in questo caso il realismo politico dice che per un mutamento del mandato ci vuole un accordo di tutti i membri dell’eurozona, e questo non ci sarà. Il realismo economico invece dice che la Francia ha bisogno dell’eurozona.
Hollande è chiamato “lo statalista malefico” da diversi banchieri. È vero? E se Hollande vincesse, quale scenario per la Francia?
Mah, non troppo. Questi banchieri dovrebbero cacciarsi il loro denaro in bocca e vendere il debito francese, se Hollande ha il 70% di probabilità di vittoria. Sicuramente, Hollande ha affermato che considera la finanza internazionale come “il nemico”. Ma il prossimo anno la Francia deve raccogliere diverse centinaia di miliardi di euro per rifinanziare il proprio debito pubblico. Quindi, la finanza sarà anche il nemico, ma il governo ha bisogno di lei. E la finanza vincerà. Poi, ovviamente, Hollande ha promesso di creare un’aliquota marginale del 75% per i redditi oltre un milione di euro. E di separare le banche commerciali da quelle d’investimento. Se la prima riforma è prevalentemente simbolica, la seconda è in linea con quanto è intenzionato a fare un governo pro-mercato come quello britannico. La realtà si farà viva.
Sembra che se un candidato vuol vincere le elezioni deve scegliere: in favore o contro l’euro. Le persone, l’elettorato, sono stanche dei problemi dell’eurozona, dell’austerity e di tutto il resto. C’è questa percezione anche in Francia?
Il problema dell’euro è sempre lo stesso: impossibile lasciarlo, difficile restare. Eppure, il sentimento anti-euro non funziona in Francia. Marine Le Pen, il candidato di destra, ha perso terreno nei sondaggi proprio quando ha iniziato a parlare di lasciare l’euro. Ora infatti è tornata indietro nei suoi programmi, tornando a parlare di politiche anti-immigrazione. Gli altri candidati minori, come Nicolas Dupont-Aignan e gli altri estremisti, che voglio la Francia fuori dall’euro sono davvero bassi nei sondaggi. Anche l’ala di sinistra, Mélanchon, il cui programma (se implementato) significa praticamente abbandonare l’euro, insiste che bisogna rimanere, cambiandone solamente le regole.
Ora facciamo un gioco. Se lei fosse il ministro delle Finanze di Francia, quale sarebbe la prima azione del suo mandato?
Questa non è affatto una posizione invidiabile per gli anni a venire! Il prossimo ministro delle Finanze dovrà scontrarsi con il suo esecutivo. Adesso è clima elettorale, i problemi sono nascosti sotto il tappeto, ma possiamo scommettere che il prossimo ministro sarà bombardato di note allarmiste dall’amministrazione finanziaria, che chiederà a lui di ridurre la spesa dato che la finanza pubblica è in dissesto. È il rituale dell’insediamento di ogni nuovo ministro delle Finanze in Francia. Hollande ha infatto detto che il suo uomo vorrà prima fare un audit pubblico delle finanze francesi.
Ma tornando a noi, le mie riforme economiche preferite sarebbero: rimpiazzare l’attuale sistema di regolamentazione del mercato del lavoro (in cui i tribunali decidono se i licenziamenti sono legittimi) con un sistema di tasse fisse per ogni licenziamento, come suggerito da Olivier Blanchard, attuale capo economista del Fmi, e Jean Tirole nel 2003. Inoltre, sarei per una completa ristrutturazione dell’area di Parigi, praticamente una fusione fra la capitale e le città adiacenti, in modo da permettere una maggiore espansione abitativa. Questo perché Parigi è velocemente diventata come Venezia, con un prezzo medio delle abitazioni che sfiora gli 8.000 euro a metro quadro. Ancora, sarebbe corretta una revisione delle leggi d’immigrazione, specialmente dall’Europa centrale, per rimediare alle lacune in alcuni settore lavorativi a basso salario, come l’agricoltura. Per la precisione, la probabilità che queste riforme avvengano è zero.
Infine, proviamo a pensare all’eurozona nel 2015. Qual è la sua prospettiva?
C’è un sacco d’incertezza su questo. Per il 2012 io penso che l’eurozona farà ciò che sa fare meglio: rimuginare sul da farsi, senza trovare una strada. La Bce manterrà in vita artificialmente il sistema bancario. Gli europei stanno prendendo tempo, ma questa volta dovrebbero essere utilizzati per mettere in campo programmi di finanza pubblica a lungo termine, invece che austerity senza ritegno, capaci di aumentare la crescita. È questo ciò che non sta accadendo. Devo dire che sono davvero pessimista nel lungo termine. Se la crescita non tornerà a essere presente, l’austerity senza senso introdotta nei Paesi già economicamente depressi si trasformerà in rabbia sociale. E questo, come prevedibile, creerà una enorme catena di sofferenza.
Ma c’è anche lo scenario ottimistico. Dopo aver provato che tutto questo non funziona, i leader europei di ogni Paese faranno quanto necessario per riequilibrare i bilanci correnti e aumentare la crescita economica. Ma l’esempio italiano non è un esempio che porta ottimismo: gli interessi particolari, cioè le lobby, i sindacati, rifiutano le riforme necessarie, vanificandole. Immagino che l’eurozona sarà ancora per diverso tempo mantenuta in vita forzatamente, con la Bce come unico e riluttante salvatore. E attualmente, un lungo periodo di bassa crescita e alta disoccupazione, uno scenario simile al decennio perduto dal Giappone, è quello più probabile.