Saranno i Brics a pagare per salvare l’Eurozona

Saranno i Brics a pagare per salvare l’Eurozona

PARIGI – Alla fine, almeno una promessa è arrivata. I Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa) contribuiranno all’aumento delle dotazioni del Fondo monetario internazionale (Fmi). È questa la soluzione che ha trovato il G20, riunitosi a Washington dopo il summit di primavera del Fmi. Entro il primo trimestre 2013 saranno raccolti circa 400 miliardi di dollari, che serviranno a proteggere i Paesi dell’eurozona nella fase più dura della crisi. Il direttore generale del Fmi, Christine Lagarde, esprime soddisfazione, ma ricorda che la strada è ancora lunga, specie considerando l’immobilismo europeo sul fronte della crescita economica.

Alla vigilia del meeting il timore era che l’ex ministro francese delle Finanze non riuscisse nemmeno a strappare una promessa alle economie emergenti. Invece, la dialettica fra la Lagarde e i membri del G20 è stata alla base degli incontri. L’obiettivo era quello di trovare fondi adeguati per proteggere l’eurozona, stimati in 400 miliardi di dollari dalla Lagarde. «È assolutamente prioritario trovare un accordo di massima, la situazione è grave e non si possono perdere ulteriori istanti», aveva dichiarato prima del meeting il numero uno del Fmi. Ora un accordo di massima è stato trovato, anche se rimane ancora incerto il ruolo degli Stati Uniti.

Il percorso non è stato facile. Prima sono stati i Paesi europei non facenti parte dell’eurozona, Polonia e Norvegia su tutti, a lanciare il messaggio, promettendo uno sforzo per l’aumento dei fondi del Fmi. Poi, è arrivato il Giappone, che ha dichiarato di voler contribuire con 60 miliardi di dollari. E lentamente sono arrivati tutti gli altri. Il primo dei mercati emergenti è stata la Corea del Sud. Il ministro delle Finanze Bahk Jae-wan ha infatti detto che «le raccomandazioni della Lagarde vanno prese in considerazione, i rischi sono elevati». È stato forse questo il punto di svolta, dato che in seguito alle dichiarazioni di Jae-wan sono arrivate le aperture di Cina, Russia e Brasile. Non ci sono ancora le cifre esatte, ma si parla di circa 60 miliardi di dollari per Beijing, 15 per il Brasilia e 10 per Mosca.

Ancora non v’è la certezza definitiva, ma dovrebbe essere raggiunto l’obiettivo che la Lagarde aveva stabilito. Nel corso del 2013 nascerà quindi un firewall, un fondo a protezione dell’eurozona, da più di un 1.000 miliardi di dollari. Oltre al fondo del Fmi, 400 miliardi di dollari, bisogna infatti contare i 500 miliardi di euro dello European stability mechanism (Esm) e i 440 miliardi di euro dello European financial stability facility (Efsf), a cui però vanno decurtati i circa 250 miliardi finora erogati per gli aiuti di Grecia, Irlanda e Portogallo.

Nelle intenzioni del Fmi il firewall servirà a proteggere Italia e Spagna nel caso la crisi avesse un peggioramento. Del resto, il solo fondo Esm non era in grado di soddisfare le esigenze di rifinanziamento del debito sovrano di Roma e Madrid nel caso questi due Paesi perdessero l’accesso ai mercati obbligazionari. Come ha spiegato il Centre for European policy studies (Ceps), da qui al 2016 sono necessari 1.793 miliardi di euro per il rollover del debito di Italia e Spagna. A questi però vanno tolti i circa 600 miliardi di euro che rappresenta il debito da rifinanziare nel 2012 per i due Paesi in questione. Si arriva quindi alla cifra che si ottiene unendo il fondo europeo e le nuove risorse che il G20 si è impegnato a raccogliere entro il 2013.

Il fondo per il salvataggio dell’Europa, così è stato chiamato da quasi tutti i delegati a Washington, ha fatto però infuriare diversi Paesi. Il più irritato è stato il Canada, che ha duramente attaccato gli europei. Il ministro delle Finanze Jim Flaherty ha chiesto una diminuzione dei poteri di voto dell’Europa nelle decisioni del Fmi, ricordando a tutta l’assemblea i rischi a cui il Vecchio continente sta esponendo l’economia globale. «Occorre uno sforzo maggiore dagli europei, che per ora non hanno fatto quanto avrebbero dovuto», ha dichiarato Flaherty.

Scettico e critico verso l’Europa è stato anche il Brasile. Più di una volta il ministro delle Finanze Guido Mantega ha ricordato che il potere dei Brics deve essere più ampio, più incisivo. «A ogni prossimo meeting chiediamo una revisione dei diritti di voto e ogni volta prendiamo atto che questo processo è troppo lento e i progressi troppo limitati», ha tuonato Mantega. L’apertura del Brasile, giunta in seguito a una lunga pressione da parte della Lagarde, è però apparsa ai più come temporanea: se non ci saranno cambiamenti nella governance del Fmi, non saranno versati i nuovi fondi.

Nel frattempo, da Washington guardano con attenzione agli sviluppi della tornata elettorale che si sta per concludere. La battaglia fra Nicolas Sarkozy e François Hollande continua a vedere in vantaggio il candidato socialista sul presidente uscente. Il pericolo di una deriva nazionalista, capace potenzialmente di rompere i già precari equilibri europei, è visto come una minaccia da più di uno sherpa del Fmi. Le prime risposte, però, arriveranno solo dopo il 6 maggio, quando si saprà il nome del nuovo inquilino dell’Eliseo. 

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