Ridurre il debito pubblico vendendo i gioielli di famiglia non è più una priorità. Nonostante la manovra Salva-Italia lo dica chiaro e tondo, il decreto che doveva individuare gli immobili di proprietà della Pubblica amministrazione da mettere sul mercato per alleggerire il fardello del debito non è neppure in agenda. A quanto si apprende, nell’odierno Consiglio dei Ministri non si discuterà del tema. Eppure l’articolo 6 della legge 183 del 2011 prevede testualmente che:
«Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato a conferire o trasferire beni immobili dello Stato, a uso diverso da quello residenziale […] ad uno o più fondi comuni di investimento immobiliare, ovvero ad una o più società, anche di nuova costituzione. I predetti beni sono individuati con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale. Il primo decreto di individuazione è emanato entro il 30 aprile 2012; sono conferiti o trasferiti beni immobili di proprietà dello Stato e una quota non inferiore al 20 per cento delle carceri inutilizzate e delle caserme assegnate in uso alle Forze armate dismissibili».
L’Agenzia del Demanio, chiamata a redigere gli elenchi per conto di via XX Settembre, contattata da Linkiesta fa sapere di aver completato l’iter d’individuazione, mentre dal ministero dell’Economia, a cui spetta il compito di proporre a Palazzo Chigi le liste con gli immobili con le relative priorità, confermano che oggi non sarà emanata nessuna misura in materia.
Evidentemente c’è bisogno di tempo, soprattutto per capire quale sia il valore di mercato di palazzi e caserme, per vendere e non “svendere”. A questo proposito, infatti, i calcoli della Cassa depositi e prestiti e quelli del Demanio non corrispondono. Stando ai calcoli della Ragioneria generale dello Stato, riferiti al 2010, il valore complessivo degli immobili pubblici ammonta a 56 miliardi di euro esclusi i terreni agricoli, che per la Coldiretti valgono altri 6 milioni di euro. Si tratta di un valore inventariale, che ogni anno l’Osservatorio sul mercato immobiliare dell’Agenzia del Territorio fornisce ai tecnici del Tesoro, da cui dipende la Ragioneria. Per la Cassa depositi e prestiti, altra controllata di via XX Settembre, invece, il loro prezzo di mercato è di 500 miliardi di euro.
Nel corso di un controverso seminario sulle dismissioni pubbliche, presentato lo scorso ottobre dall’allora ministro Giulio Tremonti, il capo economista della Cdp, Edoardo Reviglio, aveva spiegato che gli immobili rappresentano appunto 500 miliardi su un patrimonio totale dello Stato pari a 1.800 miliardi di euro. Dei quali immediatamente disponibile il 5-10%, 40-50 miliardi di euro.
Si tratta comunque di cifre teoriche, poiché il prezzo lo farà il mercato, che sicuramente sconterà l’attualizzazione del catasto sul quale si basa la nuova Imu. Sebbene nell’esperienza di Torino, Venezia e Milano i fondi immobiliari comunali siano un’esperienza che, finora, non ha portato ai risultati sperati, l’appeal dell’Italia non si è volatilizzato con l’aumento dello spread. Tanto che, come racconta la Nuova Venezia, alcuni investitori cinesi avrebbero messo gli occhi su Palazzo Diedo e Palazzo Gardenigo, due palazzi messi in vendita da Est Capital, società che gestisce, tra gli altri, il leggendario Hotel Excelsior del Lido di Venezia (quello della mostra del Cinema, ndr), e che da tre anni cerca di piazzare sul mercato i gioielli della città lagunare.
A livello normativo, peraltro, l’immobiliare pubblico rimane un guazzabuglio. Un esempio classico è l’art. 58 della legge 133 del 2008, dichiarato incostituzionale dalla Consulta, che assegnava ai Comuni la facoltà di cambiare la destinazione d’uso degli immobili da conferire ai fondi, facoltà che invece spetta alle Regioni. Una revisione completa della materia dovrebbe essere una priorità assoluta, magari nella spending review. Sempre che i “tecnici” rispettino gli obiettivi che loro stessi hanno fissato per legge.