PARMA – Per descrivere se stessi i parmigiani colti, quelli che frequentano il Teatro Regio e la biblioteca Palatina, parlano di «autofilia», termine aulico, usato da Agostino per descrivere l’amore di sé e i pericoli a cui questo espone l’individuo in cerca di salvezza. Un amore di sé portato agli estremi, che gli fa credere che questa piccola città sia caput mundi, una capitale del mondo al cui confronto Londra sarebbe poca cosa. Per descrivere se stessi, gli altri parmigiani tessono le lodi della loro prodigiosa terra che produce prosciutti prelibati e un formaggio così prezioso che, come fosse una borsa di Prada, ci sono ispettori anti-contraffazione spediti ai quattro angoli del globo. Un formaggio la cui forza è data dalle materie prime e dalle particolari proprietà della terra fra Parma e Reggio che gli permettono di conservarsi da solo, senza aiutini chimici. Facile perdere la testa quando l’autofilia si incontra con il Parmigiano. E infatti non è raro sentire contadini che lavorano queste terre dire che, da queste parti, la melica (nel dialetto locale “il melgò”), cresce più alta che in tutto il resto del mondo.
D’altra parte Parma, in tempi recenti, la testa l’ha perduta già due volte. Prima col crac Parmalat e poi con la maxi inchiesta sulla corruzione che ha decapitato il Comune. E adesso che si trova a decidere se essere la prima città ad avere un sindaco grillino e fare così scoppiare la «bomba atomica» come dice Grillo, le sorprese sono tante. In centro, in Piazza Garibaldi, così come nei bar “cool” vicino all’università la tensione della scelta di questo ballotaggio si sente tutta. Assieme al panico delle élite che tutto possa cambiare e alla speranza del resto della città che questa sia davvero la volta buona. Ma in quel gioco di specchi che è la vita politica parmigiana, dove poco o nulla è quello che sembra, le divisioni classiche sono saltate e l’affermazione dei grillini al primo turno ha rimescolato le carte.
IL CANDIDATO DEL PD E QUELLA CENA CON GLI INDUSTRIALI
La candidatura dell’esponente del centro sinistra, il diessino Vincenzo Bernazzoli (39,2% al primo turno ma tanto si sente debole che non ha manco mollato la poltrona di presidente della Provincia) è nata con un’ incoronazione in una cena al Castello di Felino da parte della potente Confindustria locale, che qui da sempre ama fare e disfare i giochi usando come un joystick il principale giornale cittadino, la Gazzetta di Parma, letto da sette cittadini su dieci. Incassato l’appoggio delle imprese, il segretario del Pd Pier Luigi Bersani e il presidente della Regione Vasco Errani sono subito corsi in città al grido di «riprendiamoci Parma», la figlia infedele della rossa Emilia che ora potrebbe tornare all’ovile. Ma proprio qui sta la prima sorpresa, il primo rimescolamento di carte.
Federico Pizzarotti, a sinistra, e Vincenzo Bernazzoli
A GRILLO ARRIVANO APPOGGI INATTESI
Se l’Unione Industriali e il suo giornale sono schierati con l’uomo di Bersani, lo storico ex direttore dell’associazione imprenditoriale, Giorgio Orlandini, che l’ha guidata per oltre trent’anni temuto e rispettato come uno dei veri tessitori della trama parmigiana, uomo di destra, un liberale, a Linkiesta, dice subito di «non condividere questa scelta» e di essere «molto preoccupato perché una vittoria di Bernazzoli sarebbe un danno per Parma. Noi non sappiamo manco dove sia Bologna, siamo cittadini della Valle Padana, Parma è stata capitale per tre volte, ha una sua identità, non può diventare un satellite di Bologna». Da qui all’endorsment per il rivale grillino, l’impiegato di banca Federico Pizzarotti (19,9% al primo turno), il passo è breve: «a 39 anni solo qui in Italia si può pensare sia ancora un giovane e a chi dice che non ha esperienza, dico che si avvarrà di esperti». Forse non è un caso che, fra i possibili consulenti (che dovrebbero lavorare gratia et amore dei senza compenso) assieme a qualche nome da pensiero “decrescista”, circoli anche qualche nome che può fare più piacere ai moderati, come quello dell’economista Carlo Scarpa che a Parma è nato e che ora insegna a Brescia oltre a fare parte del gruppo di economisti che con Tito Boeri animano Lavoce.info. Per chi conosce Parma, Orlandini che voterebbe Grillo (ma non può perché non è residente in città) è come un’opera di Verdi senza morti, o come un Fabrizio Del Dongo senza passione, un evento la cui probabilità è vicina allo zero.
Il Pdl (che ha retto Parma in questi anni e la cui illusione era di farne una città laboratorio del centro destra per il resto dell’Emilia prima di andarsi a schiantare su un misero 4% al primo turno che gli darà un solo consigliere) ha lasciato libertà di voto ma non manca chi come il parlamentare bolognese Fabio Garagnani ha detto che a Parma voterebbe Grillo, anche se «con cautela». Ma se Orlandini si schiera apertamente il resto dei poteri della città è quindi diviso: i Barilla ufficialmente tacciono, ma «molti imprenditori sono andati a lamentarsi dell’appoggio a Bernazzoli» dice Fabio Fabbri, socialista, ex ministro della Difesa del governo Ciampi, che rivendica come Parma sia stata la prima, con il sindaco socialista Cesare Guerri, a interrompere la regola dell’Emila Romagna che voleva solo sindaci del Pci nelle città capoluogo. «Come mi diceva Craxi, Parma “è una città che mastica politica” e ora qua Bersani e Errani rischiano di lasciarci la pelle. Il Pd nel 2008 aveva ottenuto 47 mila voti, pari al 41%, oggi al primo turno ne ha avuti solo 17 mila, pari al 25%. Insomma una frana».
IMPRENDITORI DIVISI, COSTRUTTORI TERRORIZZATI
Mentre gli imprenditori sono divisi, i grandi costruttori di Parma, Pizzarotti (ma quella col candidato grillino è solo un’omonimia) e Bonatti, sono descritti come compatti nel terrore di una vittoria degli uomini di Grillo. Soprattutto Pizzarotti viene spesso dipinto come uno dei grandi poteri della città, ricordando anche espisodi drammatici. Nel 1994 l’imprenditore Pietro Concari, 64 anni, scrisse una lettera ai familiari e poi andò nello studio di Paolo Pizzarotti per tirarsi una rivolvellata alla tempia. Nella lettera Concari accusava il rivale di averlo spinto sul lastrico grazie alla sua spregiudicatezza a muoversi fra politica e appalti. Un figlio di Concari, Marco, si impiccò poco tempo dopo, il 2 giugno dell’anno successivo. Una vicenda terribile che ben rende l’atmosfera in cui è cresciuta la città e che, vent’anni dopo, si sente ancora raccontare nelle tavolate parmigiane. Il peso dei costruttori qui è grande e per vederlo basta notare la continua produzione di infrastrutture spesso inutili. Dalla mega tangenziale per una città che in bici si attraversa in 15 minuti, al nuovo ennesimo ponte sul torrente Parma («come capitale le competeva un fiume, a Parma, ma siccome è una piccola capitale le è toccato un torrente, spesso asciutto» scrisse il poeta parmigiano Attilio Bertolucci, padre di Bernardo).
Il nuovo ennessimo ponte sul torrente Parma
Così mentre il Veneto lamenta di avere infrastrutture da mondo agreste, Parma rischia di morire di sovra infrastrutturazione, ingolfata dai soldi che il Pdl fece arrivare in città per far vedere che conveniva mollare i rossi. E per fortuna che la metropolitana, a cui i costruttori guardavano con appetito, non è stata fatta. L’ex sindaco Piero Vignali, quello travolto dallo scandalo, alla fine si oppose e non manca in città chi dice che da lì in poi iniziò la sua sventura. La Bocconi fece uno studio da cui emergeva che con i circa 150 mila abitanti della città, sarebbe stato impossibile fare andare in utile una metropolitana come quella. Ma vuoi per l’ «autofilia», vuoi per le ambizioni del Pdl che tolse la metro alla rossa Bologna per darla alla “nera” Parma, vuoi per l’appetito dei costruttori, c’è voluto molto tempo prima che la follia fosse conclamata. E già così, senza metro, Parma ha 600 milioni di debiti, quasi 4 mila euro a cittadino, mentre forse non ci sono soldi in cassa per pagare gli stipendi dei dipendenti comunali da giugno in poi.
LA “MAFIA BIANCA DI PARMA”: «QUI OPPORSI E’ DIFFICILE»
In questo quadro, con pezzi di Pdl e di élite parmigiane pronte ad appoggiare il Movimento 5 stelle, si capisce perché Bersani urli al lupo: «A Parma chi ha fatto fallire il Comune ha detto che voterà Grillo» ha detto a Ballarò. Ma i ragazzi del Movimento 5 stelle fanno spalluccie. Marco Bosi, a 25 anni, sarà il più giovane grillino in consiglio comunale. Faccia da bravo ragazzo, laurea in economia, un passato a sinistra ma senza impegno diretto, per strada lo salutano in tanti: «Avevamo provato ad approcciare i giovani dell’Unione Industriale ma ci hanno rimbalzati. Sia tra gli imprenditori che fra i lavoratori c’è comunque la speranza che vinciamo. Ma non siamo preoccupati dagli appetiti dei costruttori, contro di loro basta il buon senso, non abbiamo fatto accordi per vincere, quindi siamo liberi. Se poi Orlandini vuole votare per noi è una sua scelta, non c’è un accordo con lui».
Marco Bosi, 25 anni, il più giovane eletto fra i consiglieri del Movimento 5 stelle
Più adombrato dagli improvvisi appoggi a Grillo è il blogger Luigi Boschi («Orlandini mente a se stesso, tradisce la sua storia e un suo grande amico come Pietro Barilla»). Per anni vicino proprio al capostipite della dinastia della pasta, ha poi aperto un blog con cui, per primo, ha dato molte delle notizie principali sull’inchiesta sul buco nel bilancio del Comune di Parma: «è vero che in questa città ci sono parecchie lobby che contano molto ma è anche vero che questi poteri sono presenti in tutte le città. Solo che questa è una piccola realtà e quindi fanno più sistema che da altre parti. È però la qualità politica che è venuta a mancare». Opporsi a Parma non è spesso facile, e molti di quelli che sembrano farlo, spesso si scoprono essere legati a doppio filo a quegli stessi poteri che fingono di contestare: «Sì – dice Boschi- vieni emarginato, a raccontare certe storie si paga un prezzo, c’è il rischio di avere conseguenze». Un sistema questo che alcuni investigatori durante le indagini sul crac Parmalat definivano «mafia bianca», un modello di controllo che non è unico di Parma e che accomuna molte provincie italiane.
Romperlo è complicato, molto complicato. Ma in piazza e in strada, la speranza è viva e si sente. Il dibattito fra i due contendenti ha toccato soprattutto il problema dell’inceneritore appoggiato da Bernazzoli e respinto da Pizzarotti oltre a quello sul debito su cui però non ci sono grandi piani se non che cercare di riscadenziare i pagamenti visto che le imposte locali sono già al massimo in una città piccola ma coi prezzi di Milano o Roma, dove il caffè costa un euro già da qualche anno e gli affitti sono ancora alle stelle. Non solo i giovani vicino all’università sembrano inclinare per Grillo ma anche i pensionati in piazza («molti grillini sono laureati, non ho paura che non riescano a governare» dice Walter Margonari, pensionato Enel con un passato da simpatizzante Dc e poi Udc, mentre Carlo Larini, anche lui pensionato, si schermisce: «i grillini non possono sbagliare? Può sbagliare solo il Pdl?»).
IL GENERO DI TANZI: «IL SINDACO NON SIA ELETTO DAGLI INDUSTRIALI»
Lontano dalla piazza, nel reparto di lunga degenza dell’ospedale Maggiore, Argia Pettinati, 91 anni ed ex staffetta partigiana ha anche lei le idee chiare: «Domenica voterò di nuovo Grillo bisogna dare spazio ai giovani. E il candidato sindaco Federico Pizzarotti mi sembra davvero una novità per Parma». La donna è lucida, anche nell’analisi: «Sono sempre stata socialista, mai di destra e né troppo di sinistra. Ho sempre votato lo stesso partito di Gesù Cristo, il primo socialista della storia – spiega sorridendo l’ultra novantenne – ma adesso occorre un cambio di passo». La mancanza di preparazione dei grillini è un argomento di cui si discute molto («se vincono loro si torna a votare fra sei mesi» dicono in molti) ma non preoccupa i simpatizzanti come l’editore Andrea Marvasi («e va bè, li voteremo ancora» scherza). Fra l’altro se vincesse Pizzarotti, il suo movimento da solo avrebbe 19 consiglieri, contro i 13 dell’opposizione, di cui 6 del Pd. In caso di vittoria di Bernazzoli, il Pd ne avrebbe 12 e i grillini 5.
Intanto la crisi colpisce e si racconta che da Padre Lino alla mensa dei poveri ora ci vadano anche diversi parmigiani che prima si potevano permettere tre pasti al giorno. Senza farsi troppo vedere, troppo pericoloso in una città che ti giudica da quello che indossi. Difficile capire se i sondaggi che danno Pizzarotti in vantaggio siano veri. Stefano Strini, genero di Calisto Tanzi, ora gestisce un kebab nell’Oltretorrente. È preoccupato per la salute del fondatore di Parmalat e anche lui sembra simpatizzare per Grillo: «Parma ha bisogno di volti nuovi eletti dal popolo e non dagli industriali che qua contano molto. Occorrono cambiamenti, deve andare al potere una persona limpida». Ma se gli chiedi se la cortigiana Parma sia pronta per fare la rivoluzione ti risponde: «Secondo me no. È una città dove tutti hanno qualcosa da nascondere».
Stefano Strini, genero di Calisto Tanzi, davanti al suo negozio di Kebab
DA PARMALAT AL COMUNE: MA A SIENA SEGUONO PARMA?
Così tanto da nascondere che i due eventi, il crac Parmalat, e la bufera sul Comune, sono in qualche modo legati. Se il default della multinazionale di Collecchio non avesse travolto la città, la procura avrebbe continuato ad essere quel luogo sonnacchioso che era prima, quella che archiviò una prima indagine sulla multinazionale di Collecchio a fine anni ’90 e che, se non fosse stato per la perfidia di Enrico Bondi che fece arrestare Calisto Tanzi a Milano, anche nel 2003 si stava organizzando per chiudere tutto subito con una bella tazzina di caffè al bar. Da allora molti dei pm più compromessi col “sistema Parma” sono stati spostati e proprio da questi cambiamenti è nata l’inchiesta che ha poi travolto il Comune. Al crollo dell’azienda bandiera della città è seguito quello del sistema politico, anche se non quello dell’autofilia. E chissà se a Siena, e al Monte dei Paschi, stanno seguendo quanto accade a Parma.
(ha collaborato Simone Canettieri)
Twitter: @jacopobarigazzi