Abilitazioni a insegnante, se i sindacati danneggiano il merito

Abilitazioni a insegnante, se i sindacati danneggiano il merito

Tra i giovani più bravi e preparati e i precari sindacalizzati, in Italia vincono spesso i secondi. Nel mondo della scuola questa è praticamente una regola. Le recenti decisioni del ministero dell’istruzione, università e ricerca (Miur) sembrano confermarlo.

Dopo quattro anni dalla chiusura delle scuole di specializzazione, che erano la via per ottenere l’abilitazione all’insegnamento necessaria per partecipare ai concorsi di immissione in ruolo, finalmente il Miur decide di attivare il tirocinio formativo attivo (Tfa), un corso di un anno per accedere al quale è necessario superare una selezione (il numero di posti è prestabilito, le ultime voci parlano di 12 mila unità) e che prevede un esame finale. Inoltre, essendo previsto che l’istituzione di tali corsi presso le università italiane avvenga senza aggravio dei costi per lo Stato, è probabile che ai frequentanti verrà richiesto di pagare di tasca propria una somma che, secondo una nota diffusa dal presidente del Crui (conferenza rettori università italiane) non dovrà superare i 150 euro per l’esame di ammissione e i 3 mila euro per il corso. Terminato il Tfa si viene abilitati.

Il provvedimento è dichiaratamente ispirato a una logica di programmazione, per razionalizzare i meccanismi di funzionamento della scuola, creando una cadenza certa di abilitazioni e concorsi (pare ogni 2 anni), per eliminare – nel medio periodo – il precariato e le incertezze per i molti giovani che vogliono entrare nel mondo della scuola.

Peccato che questa regolamentazione rischi di essere vanificata dalla volontà del Miur, espressa in una nota, di tutelare anche un altro interesse, quello – assolutamente legittimo e strenuamente difeso dai sindacati – di chi da anni lavora nel mondo della scuola ma senza essere abilitato, vista anche la mancanza di corsi predisposti a tale scopo. Per questi soggetti il Miur ha annunciato la creazione di un “canale parallelo” al Tfa, senza selezione d’accesso, che porti all’abilitazione. Potranno accedervi quei precari non abilitati che abbiano accumulato 3 anni di servizio: nel mondo della scuola corrispondono a 540 giorni effettivi (un anno e mezzo). Il numero di soggetti che corrispondono a questi requisiti è per ora stimato intorno alle 60 mila persone.

Secondo quanto stabilito dal Miur, il provvedimento che creerà questo “canale parallelo” dovrà prevedere in ogni caso un corso con un esame finale. Ma questo non serve a tranquillizzare chi, specialmente tra i professori universitari che gestiscono queste selezioni, teme un accesso indiscriminato all’abilitazione. Il professor Giorgio Bolondi, dell’Università di Bologna e membro dell’Unione matematica italiana (Umi), spiega che «conoscendo come vanno le cose, il rischio è un’abilitazione di massa». Pesano le esperienze del passato, secondo Bolondi. «Tutti ricordiamo com’è andata con la Siss (scuola di specializzazione all’insegnamento secondario): era partita con un buon livello, poi decisero di immettere migliaia di precari storici. Tra questi molti erano motivati e decisamente bravi, ma molti altri avevano l’atteggiamento di chi, pur non facendo nulla per meritarsela, pretendeva l’abilitazione. Alla fine sono comunque passati quasi tutti. Ed era un percorso unico», aggiunge il professore. «Siamo molto preoccupati di quel che potrebbe succedere in un percorso parallelo», conclude.

Se i timori di una “sanatoria” generalizzata fossero fondati, si creerebbe un grave problema. I posti che dovrebbero diventare disponibili nei prossimi anni nel mondo della scuola sono circa lo stesso numero dei posti previsti per il Tfa, più o meno dodicimila (sempre in una logica di programmazione). Ma gli abilitati al termine del Tfa rischiano, dopo aver sostenuto un corso molto impegnativo e dei costi economici, di trovarsi mischiati nelle liste con decine di migliaia di precari che ottengono l’abilitazione a seguito di un percorso meno selettivo. Valendo poi nei concorsi per l’immissione in ruolo il criterio dell’anzianità e delle ore di supplenza svolte, i “triennalisti” facilmente sopravanzerebbero gli abilitati del Tfa.

Il Miur giustifica questa scelta in una nota, con «l’esigenza di regolarizzare la situazione di migliaia di persone che hanno permesso negli ultimi anni alle scuole statali e paritarie di funzionare nonostante l’assenza di abilitati». Inoltre è necessaria per «evitare probabili sentenze di condanna dell’Amministrazione a dare attuazione al D. Leg.vo 9/11/2007 n. 206 che, in esecuzione della direttiva comunitaria 2005/36 CE, fa discendere il riconoscimento dell’abilitazione anche all’effettivo svolgimento dell’attività professionale per almeno tre anni sul territorio dello Stato membro in cui è stato conseguito o riconosciuto il titolo di laurea, previo apposito percorso di abilitazione».

Contro i rischi che potrebbero derivare da questa decisione, l’Umi ha diffuso una nota per chiedere che qualsiasi canale di accesso all’abilitazione preveda un esame di ammissione «per salvaguardare la qualità della preparazione dei futuri docenti e una ragionevole programmazione dei posti che saranno messi a concorso». E, come aggiunge il professor Bolondi, «sarebbe meglio se venisse fatta una programmazione anche per questo “canale alternativo”, stabilendo un numero finale di abilitati in base al numero di posti disponibili». Il rischio è che oltre a svantaggiare il merito – col succitato meccanismo che premia l’anzianità nei concorsi – l’immissione di un numero non predeterminato di precari nelle liste degli abilitati, a seguito di un percorso scarsamente selettivo, crei una coda difficile da smaltire con le assunzioni, allungando la stagione del precariato nella scuola italiana.

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