Nel Mezzogiorno un milione e 227mila minori vivono in condizioni di povertà relativa, 359.000 in condizioni di indigenza assoluta, e col passare degli anni aumenta la distanza – non c’entra niente la geografia – tra loro e i coetanei che vivono al Nord e al Centro. Sono alcuni dei dati presentati di recente dall’organizzazione internazionale Onlus e la fondazione “Save the children”. Collegata alla povertà c’è la dispersione scolastica, al Sud elevatissima: in Campania, Basilicata, Puglia e Calabria il 30,3% degli studenti iscritti nei cinque anni precedenti non arriva al diploma. Quanto agli asili nido pubblici, al Sud la frequenza è 4 volte inferiore alla media nazionale e in Campania e Calabria solo 2 bambini su 100 li frequentano. Non va meglio per il tempo pieno. In Campania, su un totale di 16.500 classi solo 900 si avvalgono del servizio, vale a dire il 5,4% e le percentuali si abbassano in Puglia e Sicilia.
Il rischio, concreto, che in zone ad alta densità criminale – nel Mezzogiorno 610 comuni su 1608 – questi minori, abbandonati a loro stessi, possano diventare manovalanza dei clan rende, se possibile, ancora più critica l’emergenza, sulla quale, fanno notare i rappresentanti di “Crescere al Sud, «pesa la fragilità dei servizi di welfare, aggravata dalle politiche di forte riduzione delle risorse destinate agli interventi sociali». Tra il 2008 e il 2011 i fondi trasferiti dallo Stato centrale alle Regioni sono diminuiti dell’85% (da 1.231,2 a 178,5 milioni).
Cifre che non lasciano spazio alla speranza di una inversione di tendenza. Almeno non nell’immediato. Eppure, il sottosegretario all’Istruzione Marco Rossi Doria, ex maestro di strada, alle spalle anni di esperienza in Africa e a Napoli e presente all’incontro di “Crescere al Sud” col ministro Barca, si dice ottimista. E a Linkiesta spiega perché.
Le cifre diffuse da “Fondazione con il Sud” e “Save the children” fotografano livelli di degrado sociale del nostro Sud assai preoccupanti, a partire dalle condizioni di vita di oltre un milione di minori.
Conosco bene la situazione dei minori nel Mezzogiorno e i dati presentati evidenziano le molte criticità. Per quanto riguarda la povertà, prima di tutto, che riguarda in Italia quasi due milioni di bambini, ormai si tratta di una vera emergenza nazionale, con una situazione particolarmente grave al Sud – dove sono concentrati i due terzi dei minori poveri. La lotta alla dispersione scolastica, l’accesso al tempo pieno, agli asili nido sono temi connessi alla povertà e che vanno affrontati insieme. Sugli stili di vita si è purtroppo notato come in Campania, ad esempio, abbiamo il record di obesità infantile e quello della minore diffusione di aree verdi e piste ciclabili. Ci sono troppe poche aree sportive ed è troppo poco diffusa l’attività organizzata nel tempo libero dei ragazzi. Tutti aspetti fondamentali per una crescita sana, obiettivo ancora più difficile nelle aree ad alta densità criminale. Ma nonostante tutto sono ottimista. Perché vedo del fermento positivo che si affida ad energie e capacità presenti sul territorio, che interagisce e in alcuni casi coinvolge positivamente le istituzioni locali e nazionali.
Ritiene quindi che si possa invertire la rotta. Da dove cominciare?
Penso che l’inversione di rotta possa cominciare proprio a partire da queste reti già attive, dalle cose concrete che già si fanno, con risultati positivi. Questo è l’approccio scelto dal Governo, che vede il Ministro Barca impegnato insieme al Ministro Profumo nel reinvestire un miliardo di fondi europei non ancora spesi in azioni destinate ai minori e agli adolescenti delle quattro regioni dell’obiettivo convergenza – Campania, Calabria, Sicilia, Puglia – d’accordo, naturalmente, con i decisori regionali. Per destinare questi fondi partiamo dalle reti esistenti, coinvolgendo enti locali e privato sociale. Penso che in questo modo possano nascere progetti caratterizzati dalla continuità nel tempo e dal protagonismo positivo di chi abita il territorio. Su questa partita il Governo pensa a una continuità di questo lavoro in rete anche per il nuovo quinquennio di fondi europei che si stanno per riprogettare.
Come valuta “Crescere al Sud”? Può determinare, secondo lei, cambiamenti incisivi assicurando stabilità e continuità agli interventi sociali necessari al Meridione?
Crescere al Sud è un eccellente esempio di rete attiva sul campo, promossa da due delle realtà più strutturate e competenti del nostro Mezzogiorno in tema di infanzia e con il coinvolgimento di numerose associazioni autorevoli, portatrici di competenze, buone pratiche ed esperienze. Per questo fa parte delle reti che stiamo coinvolgendo. Al Ministero dell’Istruzione e alle altre istituzioni nazionali coinvolte spetta il compito di coordinare le azioni e di assicurarne la continuità nel tempo.
C’è qualche iniziativa, nei programmi del ministero dell’Istruzione, finalizzata a combattere l’abbandono scolastico al Sud?
Tra le azioni programmate con il Piano Azione Coesione ci sono 23 milioni di euro circa destinati a prototipi contro la dispersione scolastica. Come dicevo, attraverso reti già attive sul territorio, anche sulla base di esperienze realizzate, come il progetto Chance a Napoli, attiveremo percorsi di accompagnamento, prevenzione e recupero degli abbandoni scolastici dalla scuola dell’infanzia fino al diploma o alla qualifica professionale. Altri interventi correlati alla prevenzione riguardano il rafforzamento delle competenze di base nella scuola primaria, l’orientamento, il raccordo tra scuola e lavoro.
Alla riduzione dei fondi destinati agli interventi sociali fa da contraltare la scarsa capacità del nostro Paese di spendere i fondi europei destinati al Sud. Il degrado sociale del Mezzogiorno, dunque, non è legato solo alla carenza di risorse…
Il degrado del Mezzogiorno è frutto di dinamiche complesse e stratificate nel tempo. Una cosa è certa: non si tratta di una condizione permanente, né inevitabile. Dobbiamo lavorare moltissimo: noi dal centro, dando impulso, continuità e certezze alle politiche di sviluppo, le amministrazioni locali per implementare e seguire adeguatamente le azioni sul territorio. Molti enti locali lavorano benissimo anche al Sud, utilizzano bene le risorse e i risultati si vedono. Come dicevo prima, girando l’Italia e seguendo le azioni del Piano Coesione sono propenso a un prudente ottimismo. C’è anche un’opinione pubblica più attenta, una maggiore consapevolezza, una forte domanda di buona politica che può sostenere e indirizzare i processi nel verso giusto.
Certo, ci sono situazioni complicate che richiedono il massimo sostegno dello Stato: penso a Maria Carmela Lanzetta, Sindaco di Monasterace, in Calabria, ripetutamente minacciata e sul punto di mollare. Fare l’amministratore non può diventare una questione di eroismo. Vivere in certe zone non può diventare roba da supereroi. Per questo ci vuole tanta continuità nel sostegno dello Stato e poche comparsate. È l’atteggiamento scelto dal Governo e spero che presto si possano vedere i primi frutti.
In questi ultimi anni abbiamo spesso sentito ripetere che la maggiore ricchezza del Sud sono i giovani, la cosiddetta “risorsa umana”. E però, non intervenendo contro povertà e abbandono scolastico, c’è il rischio che ad avvalersi di questa risorsa sia la criminalità organizzata.
Per fortuna non esistono automatismi e la dispersione scolastica non crea per forza di cose criminalità. Infatti crea innanzitutto lavoro precario o nero, disoccupazione, marginalità, bassi salari, ecc.. I ragazzi che abbandonano prematuramente gli studi, allo Zen di Palermo o a Scampia, non finiscono sempre e soltanto nelle mani delle mafie. C’è chi cerca un’occupazione, chi scivola nel lavoro nero, chi dopo qualche tempo vorrebbe una nuova occasione per la formazione. Tantissimi giovani emigrano. Verso Nord e verso l’Europa. A Napoli, negli ultimi due lustri, sei ragazzi su mille – la metà dai quartieri poveri – hanno ripreso a emigrare. Inutile dirlo, è un momento difficilissimo per i ragazzi di tutto il Paese, del Sud in particolare. Ma noi abbiamo bisogno della loro preparazione – straordinariamente superiore a quella dei nostri tempi – e della loro maggiore libertà rispetto agli schemi precostituiti.
Lo Stato come può scongiurare questo pericolo e arginare in concreto l’emergenza criminalità al Sud?
Nel Mezzogiorno vedo tanti ragazzi che si impegnano, che nel concreto realizzano cose nella loro scuola, nel loro quartiere, che si inventano anche lavori, senza aiuti né credito. Questo è importante perché significa che hanno una percezione positiva del sé, del loro impatto sulla realtà circostante. Insieme al ministro Barca ci stiamo interrogando anche su come sostenere questa auto-percezione positiva, come aiutare i ragazzi a scrollarsi di dosso anche un po’ di quella sensazione di costante fallimento che in alcune zone difficili si portano dentro fin da piccoli. C’è un fattore culturale su cui dobbiamo lavorare per sostenere un nuovo protagonismo nel Sud in grado di sparigliare le carte e rompere gli schemi.
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