A Brindisi restano aperte tutte le piste, mafia compresa. La conferma arriva dal procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso, a margine del vertice del Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza che si è concluso poco fa in Prefettura. Il coordinamento delle inchieste sull’attentato alle studentesse della scuola Morvillo Falcone passa, infatti, alla Direzione distrettuale antimafia di Lecce che si avvarrà anche del pm di Brindisi Milto De Nozza.
Il reato resta quindi quello di strage (422 del codice penale) come da fascicolo aperto dal capo della procura brindisina, Marco Dinapoli, oggi presente al vertice sulla sicurezza con il ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri, il capo della Direzione distrettuale antimafia di Lecce Cataldo Motta, il comandante generale dei carabinieri Leonardo Gallitelli e il capo della Polizia Antonio Manganelli.
Cancellieri ha spiegato che sul piano investigativo è stato adottato un “modello Brindisi” per il controllo delle tre province salentine, Brindisi, Lecce e Taranto, sotto il coordinamento della Dda di Lecce e con l’ausilio ulteriore di altre 200 unità, tra polizia e carabinieri, di cui 100 per il controllo del territorio e 100 per le indagini. Severino ha dichiarato che non esistono certezze sull’inchiesta e ha smentito l’iscrizione di persone nel registro degli indagati come invece filtrato nella mattinata da fonti giornalistiche locali.
Nessuna contestazione quindi all’ex sottoufficiale dell’Aeronautica ascoltato anche nella notte perché si sarebbe trovato in tutt’altro posto al momento dei fatti, anche se, stando alla tesi degli investigatori, il suo profilo sembrerebbe coincidere proprio con quello dell’uomo ripreso dalle telecamere del chiosco vicino alla scuola. Dell’altro ex militare nel mirino dei magistrati si sarebbero perse le tracce, ma proseguono le perquisizioni anche in ambienti in passato in qualche modo gravitanti nell’orbita della pedofilia. Nello stesso tempo continuano ad essere ascoltate anche insegnanti e studentesse: alcune di loro avrebbero riferito agli inquirenti della presenza di due uomini davanti alla scuola proprio il giorno prima dell’attentato e che, secondo quanto testimoniato, avrebbero in un caso praticato atti osceni davanti ai cancelli e nell’altro fatto da sentinella nelle vicinanze dell’istituto.
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BRINDISI – La Sacra Corona Unita c’entrerebbe poco o nulla. Così come nessuna rilevanza avrebbero le ipotesi che portano agli anarchici greci, peggio ancora ai complotti massonici o alle derive islamiche per portare su un’altra direzione la finanza mondiale. Dietro l’attentato all’Istituto Morvillo-Falcone di sabato scorso, ci sarebbe invece la «volontà stragista» di una sorta di Breivik italiano, «esperto di informatica», ancora senza volto ma bianco, intorno ai 55 anni, con giacca scura, pantaloni chiari e scarpe da ginnastica. Almeno questa è l’ipotesi più accreditata dal capo della procura di Brindisi, Marco Dinapoli, che oggi ha confermato le voci filtrate già nella serata di ieri intorno all’identikit ben preciso di un uomo.
La principale fonte di prova su cui si muovono gli investigatori sarebbe, infatti, in un video registrato nella notte tra il 18 e il 19 maggio scorsi dalle telecamere di una paninoteca a circa venti metri da dove ha perso la vita Melissa Bassi e sono rimaste ferite cinque ragazze, una grave e quattro ora con parametri vitali ritenuti «buoni», dalla direzione medica dell’ospedale Perrino di Brindisi. La bomba, sempre secondo gli investigatori, sarebbe stata realizzata artigianalmente con tre bombole di gas da cucina, poi tenute insieme da un sistema d’innesco multiplo collegato a un cosiddetto «dispositivo volumetrico», una sorta di fotocellula in grado di rilevare il passaggio di pedoni, poi azionata a distanza da un telecomando in mano all’uomo che ha assistito alla scena. Sarebbe stata posta all’interno di un cassonetto blu della raccolta differenziata che non appartiene all’azienda della nettezza urbana locale (Monteco) e che potrebbe essere stato acquistato anche in rivendite della città.
Ma il territorio ora sembrerebbe tirare un sospiro di sollievo perché il nemico non sarebbe la tanto temuta mafia salentina, per lo più quella di riferimento alla città di Mesagne, terra del capo storico della sacra corona unita, Giuseppe Rogoli. La partita sarebbe stata, infatti, forse molto più difficile e ardua da giocare considerando che in queste zone dall’alto tasso di criminalità mancherebbero uomini e mezzi in grado di controllare il brindisino, dalla costa alle campagne più profonde. L’hanno denunciato da anni ai vari capi di Governo e titolari del ministero dell’Interno gli stessi sindacati della Polizia di Stato – Siulp, Sap e Silp per la Cgil – riuniti in un Osservatorio sindacale provinciale. L’ultimo allarme è stato lanciato dopo l’attentato incendiario all’auto del presidente dell’antiracket di Mesagne, Fabio Marini: al posto dell’invio tampone di corpi anticrimine da Roma, i sindacati delle forze di polizia hanno chiesto di rivedere la tabella organica ferma al 1989, di inviare presto una settantina di rinforzi stanziali in più per la Questura di Brindisi, tanto da metterla cioè sullo stesso livello operativo di quelle di Lecce e Taranto, e poi di attivare la tanto attesa sala operativa interforze.
«Auspichiamo e attendiamo – hanno scritto dopo l’attentato a Marini – di essere convocati nei Comitati per l’ordine e la sicurezza pubblica provinciali per essere portatori di concrete analisi, latori della voce degli operatori e delle loro reali esigenze per la difesa della società civile. Benché le risorse siano sempre meno, all’orizzonte si paventano altri – gli ennesimi – tagli al nostro dicastero con l’abolizione di alcune prefetture e il declassamento di altrettante questure a commissariati. Non si comprendono quali siano i motivi ostativi all’avvio della sala operativa Interforze che, all’epoca della sua inaugurazione, tanto positivo apprezzamento ricevette da ogni parte per la sinergia tra le varie forze dell’ordine e il risparmio che ne sarebbe derivato in termini economici e di personale. La sala operativa comune sarebbe più adatta per la tempestività degli interventi e garantirebbe più sicurezza agli addetti del settore».
Della vicenda a febbraio è stato poi informato anche il presidente della Camera, Gianfranco Fini, ma ha girato tutto alla Commissione Giustizia. L’attentato a Marini ha poi alzato il livello di allerta e delle denunce delle stesse forze dell’ordine si son fatti carico il presidente della provincia di Brindisi, Massimo Ferrarese, e i parlamentari della zona (su tutti Alfredo Mantovano e Luigi Vitali, ex sottosegretari rispettivamente all’Interno e alla Giustizia nei governi Berlusconi) che hanno chiesto e ottenuto un vertice sulla sicurezza al ministero dell’Interno. Sul tavolo anche la richiesta di altri 100 uomini, tra poliziotti e carabinieri. Non è un caso che, come sarebbe infatti emerso nell’incontro al Viminale dell’8 maggio scorso, il ministro Anna Maria Cancellieri avrebbe recepito in particolare due proposte operative a breve termine per recuperare forze: il trasferimento di una parte di circa 500 militari della Guardia di Finanza ritenuta in sovrannumero per impiegarla in operazioni di contrasto alla criminalità e la chiusura del Centro di identificazione ed espulsione (Cie) nella vicina frazione di Restinco, spesso focolaio di tensioni.
Il resto, si sa, si è fermato nell’inferno di via Galanti alle 7 e 45 di sabato. Ora si cerca di capire chi c’è dietro quei fotogrammi del presunto attentatore diffusi online da La Stampa ieri sera. Ma se fosse confermata l’ipotesi del «gesto isolato» e «folle» s’allenterebbe in qualche modo la paura di uno scontro tra Stato e mafia pugliese che qui, soprattutto in questa fase critica, parrebbe non più sostenibile. In ogni caso si sarebbe comunque di fronte a un’organizzazione negli anni decapitata da inchieste e arresti eccellenti e che, come rileva la Direzione distrettuale antimafia di Lecce, ora cerca il consenso sociale. E, se proprio il Breivik italiano fosse in qualche modo legato a quegli ambienti, per la sacra corona unita si tratterebbe di una mossa che gli inquirenti ritengono del tutto anomala, come se chiedessero allo Stato di militarizzare tutta Brindisi, l’intera Puglia e forse il resto del Paese. Ma come ha chiarito ieri sera il procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso, tutto sarebbe «ancora nella delicatissima fase della raccolta degli indizi pertanto tutte le ipotesi riferibili alla strage sono ancora all’esame delle autorità inquirenti».