Brindisi, un’escalation di attentati prima della bomba di oggi

Brindisi, un’escalation di attentati prima della bomba di oggi

BARI – A Brindisi si muove la Direzione distrettuale antimafia di Lecce, dopo che questa mattina un ordigno con tre bombole di gas è esploso davanti all’Istituto professionale Morvillo Falcone di Brindisi. È accaduto intorno alle 7.50, quando i ragazzi stavano per entrare a scuola. Sei gli studenti rimasti feriti, una ragazza non ce l’ha fatta. 

Quello che sta accadendo in queste ore sembra essere in linea con l’escalation degli ultimi mesi che hanno visto protagonista la criminalità organizzata locale. Che qui ha da sempre soltanto un nome: Sacra corona unita. Anche se si tratta solo di ipotesi e al momento di certezze non ce ne sono. 

L’ultimo duro colpo l’ha subito all’alba del 9 maggio. Un blitz della stessa Dda che, insieme alla squadra mobile salentina e alla Sco di Roma, nell’ambito dell’operazione “Die Hard”, ha portato agli arresti 16 presunti affiliati al gruppo criminale, accusati a vario titolo di associazione a delinquere di stampo mafioso, estorsione consumata e tentata, porto e detenzione illegale di arma da sparo, danneggiamento e incendio aggravato. Tra i 16 finiti in manette, 9 erano già detenuti in carcere, compreso Massimo Pasimeni, detto “Piccolo dente”, boss della Scu che, secondo gli investigatori, avrebbe preso le redini dell’organizzazione dopo l’arresto del 23 aprile 2011 a Francesco Campana, ritenuto l’erede dei capi storici Giuseppe Rogoli e Salvatore Buccarella.

“Die Hard” era partita dalle dichiarazioni del pentito Ercole Penna sulle nuove leve della Scu che negli ultimi mesi ha messo a ferro e fuoco soprattutto la città Mesagne, a dieci chilometri dal capoluogo di provincia, territorio storico della mafia pugliese. La Dda di Lecce ha parlato negli ultimi giorni di una vera e propria escalation della criminalità. A Mesagne, secondo le indagini coordinate dal pubblico ministero Alberto Santacatterina, ci sarebbe proprio la Scu dietro l’attentato esplosivo del 5 maggio scorso all’auto del presidente dell’antiracket cittadina, Fabio Marini, da anni in lotta serrata contro il pizzo in città e che proprio quella sera aveva partecipato alla chiusura della campagna elettorale per le amministrative a Brindisi.

Nelle settimane precedenti erano stati colpiti anche imprenditori già nel mirino della criminalità. Tre giorni prima dell’attentato a Marini, il presidente della Provincia di Brindisi, Massimo Ferrarese, ex presidente di Confindustria dal 2004 al 2009, aveva chiesto un incontro urgente al ministero dell’Interno, Anna Maria Cancellieri, chiedendo «un’azione straordinaria per non fare ripiombare questo territorio a quello che era venti anni fa ancora di più oggi» in una situazione di crisi a cui si aggiungerebbe «la mancanza di tranquillità e sicurezza nelle strade e addirittura nelle case delle nostre città». Stessa richiesta era stata formulata anche dall’ex sottosegretario all’Interno, Alfredo Mantovano, che dopo l’attentato a Marini aveva lanciato l’allarme «sul grave incremento degli episodi delinquenziali delle ultime settimane».
L’8 maggio scorso il ministro Cancellieri, a seguito di un vertice sulla sicurezza nell’area brindisina, si era impegnata ad «accendere un faro» attraverso un’attenzione immediata e particolare contro la mala pugliese che, stando alle rivelazioni del pentito Penna, avrebbe superato il rito dell’affiliazione, paralizzando il territorio con estorsioni e assunzioni forzate ad aziende in affari con la pubblica amministrazione.

Cataldo Motta, procuratore capo della Direzione distrettuale antimafia di Lecce e memoria storica della criminalità organizzata nel Salento, non aveva usato mezzi termini a margine dell’ultima operazione: «Proprio sulle estorsioni è concentrata la massima attenzione del gruppo, ma anche e soprattutto sull’ ottenimento di un consenso sociale, tale da fare in modo che imprenditori e commercianti possano sentirsi vicini all’associazione. A questo mirano e per questo la Scu si è resa conto che deve abbandonare dei rituali che fanno parte di un mondo, forse troppo lontano, che allontanerebbe solamente persone di un certo livello sociale. Se mai dovessero riuscire ad ottenere consenso sociale sarebbe molto difficile fermare il circolo vizioso che si verrebbe a creare. Bisogna fermarli prima. Sono molto grato alla polizia per l’attenzione che mette nel lavoro, anche perché si tratta di un’attività che non va avanti solo quando si verificano fatti particolari, come quelli degli ultimi giorni, ma che è costante nel tempo».

Il collaboratore di giustizia Penna gioca un ruolo chiave. Le sue rivelazioni sono state riprese persino nell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2012 a Lecce. Il presidente della Corte d’Appello, Mario Buffa, aveva centrato il suo intervento proprio su una «dettagliatissima relazione» del procuratore Motta e sulla possibile connessione tra gli attentati che hanno colpito la Puglia nel periodo di riferimento: 56 a Brindisi, 52 a Taranto e 8 a Lecce. «Tra le varie dichiarazioni rese in decine di verbali di interrogatorio (ha raccontato vent’anni di storia criminale della quale era stato direttamente partecipe), Penna (un nuovo collaboratore di giustizia) ha espressamente ricordato l’attuale ricerca del consenso sociale da parte dell’associazione mafiosa, con un cambiamento di strategia che conferma quanto si era ipotizzato a seguito delle ricordate manifestazioni. L’associazione, infatti, pur continuando ad avere il punto di forza nella sua capacità intimidatoria (“la gente ha sempre paura della forza di intimidazione del nostro gruppo”, ha detto Penna), avrebbe compreso l’importanza del consenso ottenuto manifestando disponibilità nei confronti della gente ad ascoltarne e soddisfarne bisogni ed esigenze. Per dirla con le parole di Penna, “i comportamenti degli affiliati sono sempre in qualche modo legati alla sollecitazioni che provengono dalla gente comune che fa affidamento su di noi”; e noi “siamo sempre disponibili nei confronti della gente anche per i problemi economici per i quali si rivolge a noi, e siamo pronti a risolverli anche dando denaro a fondo perduto. Si può dire che gli abitanti di Mesagne nella maggior parte solidarizzino con noi”».

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