La premessa è d’obbligo, quasi un’introduzione. In Italia si è votato per le elezioni amministrative. Al voto, per le comunali, sono stati chiamati sette milioni di elettori. Diciamo uno su sette. E tra questi si è recato alle urne il 66% degli aventi diritto, con un calo del 7% rispetto alla volta precedente. A differenza dello scorso anno, nessuna tra le prime quattro grandi città d’Italia è stata chiamata e scegliere il sindaco. Né Milano né Napoli, stavolta i centri più importanti sono stati Genova, Palermo, Verona e per la storia recente L’Aquila. Quindi – nel giorno in cui l’Italia resta col fiato sospeso in attesa di sapere quale sia la matrice dell’attentato al dirigente dell’Ansaldo gambizzato a Genova mentre si recava al lavoro – conferire a queste elezioni un carattere nazionale è operazione azzardata.
Detto questo. Alcuni dati balzano all’occhio. Il crollo del Pdl e della Lega, la vittoria del centrosinistra e del Pd, e – soprattutto in alcune piazze, come Genova e Parma – il successo dei cosiddetti grillini, vale a dire il Movimento a Cinque Stelle. Una prestazione al di là di ogni più rosea aspettativa, che però al momento, almeno per chi scrive, non è così chiara da decifrare.
Quel che emerge, all’indomani della caduta dei due leader che hanno caratterizzato le elezioni degli ultimi vent’anni (Berlusconi e Bossi) è la volatilità del voto degli italiani. Quelle ics al M5s stanno a significare la fine definitiva della prima repubblica. Chi, in cuor suo, era convinto di poter normalizzare il Paese e di ripristinare il primato della politica tradizionale deve rassegnarsi: quel tempo, probabilmente, non tornerà più. Da questo punto di vista gli italiani sono diventati un popolo di indisciplinati.
Soprattutto laddove i partiti tradizionali hanno offerto il peggio di sé – vedi Parma – gli elettori hanno fatto capire che adesso sono immediatamente pronti a cercarsi un’alternativa. Chi pensava che sarebbe bastato estromettere Berlusconi per ricondurre l’Italia nei binari classici deve fare i conti con una fetta sempre più ampia di elettori che è ormai intollerante a quei vagoni. Da questo punto di vista quelli a Grillo sono voti realmente “estranei” al circuito politico tradizionale. I candidati del M5s hanno rifiutato la tv come strumento di comunicazione di massa e hanno scelto i comizi e Internet. Sì, Internet, quella roba lì, il popolo della rete, quelli che non capiscono niente, che rilasciano commenti simili a rutti e peti, che rifiutano una guida che li conduca alla ragione e alla saggezza. Ma che, piaccia o meno, votano.
Ora, da qui a dire che il quadro politico si stia sgretolando ce ne corre. Così come immaginare conseguenze sulla tenuta del governo Monti: sono crollati sia chi l’ha appoggiato, il Pdl, sia chi l’ha osteggiato, la Lega. Ma di certo queste elezioni sono il terzo tassello di un processo avviato un anno fa. Prima a Napoli, quando il castello di carta dei partiti si sgretolò di fronte all’avvento di Luigi de Magistris (a Milano fu una vittoria anche dei partiti, soprattutto del Pd) e poi in occasione dei referendum che raggiunsero il quorum nonostante partiti e media tradizionali li avessero relegati nel dimenticatoio.
Chi ne ha paura la definisce anti-politica. È il modo più semplice, ovviamente. Lo abbiamo fatto, spesso, anche noi qui su Linkiesta. Con fare anche presuntuoso, non sprezzante ma quasi. Probabilmente è anche un voto di protesta. Ma sicuramente il M5s è un movimento capace di aggregare passioni, fenomeno che la politica tradizionale non è più in grado fare. Non può essere un caso, ripetiamo, che la più straordinaria affermazione sia avvenuta laddove, a Parma, l’establishment è affogato tra scandali e figuracce.
Probabilmente è proprio questo il dato che emerge. Se c’è e non si risolve in beghe interne e interessi personali o familistici, l’Italia e gli italiani hanno ancora fiducia nella politica. Ma la soglia di tolleranza è sensibilmente diminuita. Una lezione che probabilmente dovrà tenere a mente soprattutto Pier Luigi Bersani, il segretario di quel Partito democratico che al momento è più che mai il favorito delle elezioni del prossimo anno. In politica dodici mesi sono un’eternità, certo. Ma conoscere le regole può essere un vantaggio.