C’era una volta la maglia verde al Giro d’Italia, poi è arrivata Mediolanum

C’era una volta la maglia verde al Giro d’Italia, poi è arrivata Mediolanum

Maglie, tante maglie, di tutti i colori. Giallo, rosa, rosso, con i colori dell’arcobaleno, per dirla con i francesi «arc en ciel». Maglie, tante maglie, da inseguire, rincorrere e prendere. Il ciclismo è uno sport fatto di maglie. Pelle, colori e anima di uno sport. Simbolo, appartenenza e sogno. Per un corridore sono una seconda pelle, il proprio biglietto da visita, la propria divisa, ma anche e soprattutto il premio più desiderato e agognato. È un segno identificativo. La maglia iridata di campione del mondo, la maglia gialla del Tour de France, la maglia rosa del Giro d’Italia, quella «amarillo», ora diventata «rossa» della Vuelta. Maglia verde, bianca e a «pois» rossi: tante maglie, tanti colori, tanti motivi per darsi battaglia, per inseguire un sogno e un segno: distintivo.

L’anno scorso al Giro è stata cancellata la maglia color ciclamino, quella della classifica a punti che dal 1966 premiava i velocisti, i cacciatori di vittorie e traguardi volanti. Quest’anno è stata abbandonata anche quella «verde», ancor più preziosa, storica e ambita, che dal ’33 premiava il miglior scalatore. Basta con il verde, si passa all’azzurro: quello Mediolanum. Così ha voluto lo sponsor, così ha voluto Ennio Doris, il grande capo, che da sempre ama il ciclismo e crede in questo sport. Dopo anni di sponsorizzazione, il rinnovo. A una condizione però: basta con il verde, si passi all’azzurro. Chiesto. Fatto. Per i marketing di Rcs Sport non c’è alcun problema. Una delle maglie più amate dagli sportivi viene cancellata con una firma: del contratto.

Nel 1933 fu Gino Bartali a conquistarla per la prima volta e dopo di lui, tra gli altri, l’hanno vinta Fausto Coppi, Koblet, Bobet, Nencini, Bahamontes, Van Looy, Taccone, Bitossi, Merckx, Fuente, Bortolotto, Van Impe, Fignon, Chiappucci, Casagrande, Rujano e Garzelli.

Ma anche la maglia rosa non se la passa bene. Un po’ più chiara, un po’ più scura, un po’ più scritta, un po’ con inserti tricolori. Fortunatamente, per il momento, resta rosa. Ma il suo inizio non fu dei più felici.

Nasce nel 1931, nell’Italia fascista degli anni trenta, dove impera l’orgoglio nazionale e dove la propaganda del regime passa anche attraverso lo sport. Nessun’altra manifestazione, né ciclistica né di qualsiasi altro sport, può vantare in quel momento il seguito e l’interesse suscitati dal Giro e dal ciclismo: primo sport nazionale. L’edizione del 1931 si annuncia particolarmente interessante per la presenza di Alfredo Binda, il corridore più forte del mondo (già “pagato” l’anno prima per non correre per manifesta superiorità) e di Learco Guerra, l’astro nascente del ciclismo italiano e rivelazione al Tour del 1930. Ma la vera attrattiva, la novità dell’anno è l’attribuzione della “maglia rosa” che contraddistinguerà il capoclassifica di ogni tappa e naturalmente il vincitore finale.

Non è una novità. Come spesso accade i primi sono i cugini francesi. Henri Desgrange, “patron” indiscusso della corsa francese, lancia la maglia gialla nel 1919, prendendo spunto dal colore con cui si stampa il suo giornale, L’Auto. Nel 1931 anche La Gazzetta dello Sport dà alla sua creatura più prestigiosa il simbolo del primato, scegliendo inevitabilmente il rosa, colore del giornale organizzatore.

Il rosa però non piace: sembra poco adatto, troppo femminile, per niente virile agli occhi dei tifosi e soprattutto del Regime Fascista. Il Duce giudica “una trovata poco fortunata” la novità della Gazzetta, non perdendo l’occasione per criticare uno sport che non ama particolarmente. Mussolini ritiene infatti il ciclismo “troppo plebeo e povero”, “poco moderno” e caratterizzato da attori “poco significativi”, soprattutto se confrontati con gli altri grandi sportivi ed esploratori di quel periodo: il Generale Umberto Nobile (che sorvola il Polo con il dirigibile Norge), Tazio Nuvolari e Achille Varzi (piloti automobilistici che mietono successi a ripetizione), Primo Carnera (gigantesco pugile friulano avviato a conquistare il prestigiosissimo titolo mondiale dei “massimi”), trasvolatori impavidi come Francesco De Pinedo e Italo Balbo. Non è un segreto che il Duce indirizzi le sue simpatie verso altri sport: sono numerose, infatti, le foto che lo ritraggono giocare a tennis, al volante di un’auto sportiva o nella cabina di guida di un aereo, nuotare con stile un po’ “balneare”, atteggiarsi a provetto schermitore o ad agguerrito boxeur. Quasi mai in bicicletta o accanto a qualche corridore…

La prima “rosa” è di Guerra, che la veste a casa sua, a Mantova. L’ultima, di quell’edizione del’31, è di Francesco Camuso, che mette tutti i big nel sacco. Per questo la maglia rosa non piace tantissimo nemmeno ai corridori e ai loro patron: «maglia che porta sfiga», dicono. Virile o no, “sfigata” o meno, la maglia rosa è da 81 anni la preda più ambita da ogni corridore. Il simbolo di una corsa che racconta non solo storie di sport, ma anche di un Paese.

* Direttore di tuttoBICI e tuttobiciweb.it