La Grecia ha già fatto storia. La ristrutturazione del debito ellenico, iniziata nello scorso marzo, ha rivoluzionato il quadro normativo europeo. «Un successo», dicono gli esperti. E se questo si chiama Mitu Gulati, c’è da scommetterci che la soluzione trovata per Atene sia destinata a essere il punto di svolta in questo settore, come fu l’operazione condotta sull’Argentina nel 2001. Gulati è infatti tra i massimi specialisti della ristrutturazione dei debiti sovrani. E dopo la Grecia ha iniziato, seppur solo sotto forma teorica, a occuparsi dell’Italia.
Pochi giorni fa a Londra, durante un convegno a porte chiuse, si è discusso della crisi europea e della sua futura evoluzione. L’ospite d’onore, più che i banchieri presenti, era Mitu Gulati, professore alla Duke University. Quest’ultimo, seppur in forma teorica e insieme ai suoi studenti, ha iniziato a studiare il tema italiano, dopo avere lavorato a una strategia per la Grecia, quando ancora si stavano discutendo i dettagli del primo piano di salvataggio da 110 miliardi di euro a cura della troika (Fondo monetario internazionale, Banca centrale europea, Commissione europea). Il primo documento informale, intitolato “How to Restructure Greek Debt”, fu pubblicato sotto forma di bozza il 7 maggio 2010, cinque giorni dopo l’approvazione del programma di aiuti. In una decina di pagine, si spiegava quali scenari sarebbero stati possibili per Atene e quali vie era possibile percorrere al fine di rendere sostenibili i 300 miliardi di euro di debito pubblico ellenico. Solo a quasi due anni di distanza, la Grecia ha effettuato uno swap dei bond detenuti dai creditori privati (o Private sector involvement, ndr), circa 206 miliardi di euro su 365 miliardi complessivi. E ora, uno studio analogo è stato compiuto da Gulati, sebbene in forma «puramente ipotetica», in merito all’Italia.
Nell’incontro a Londra la platea era composta da investitori istituzionali. Banche, fondi d’investimento, fondi pensione, società di gestione del risparmio, hedge fund hanno ascoltato la presentazione. In essa si è fatto il punto dell’universo della ristrutturazione del debito, dopo l’operazione condotta dalla Grecia. Dopo aver raccontato le difficoltà nelle negoziazioni fra i creditori privati e governo, è stato spiegato perchè la soluzione trovata per Atene è stata «una delle migliori possibili». L’alternativa, infatti, era il default disordinato, uno scenario che già si era vissuto in Argentina nel 2001.
Gulati ha dedicato all’Italia l’ultima parte della presentazione. «Si tratta di un’esercizio puramente ipotetico che deriva dalle mie lezioni universitarie tenute nell’ultimo semestre», ha spiegato fin da subito Gulati. Ha poi però tracciato la mappa di quale universo legislativo troverebbero nel caso dovessero essere chiamati a un eventuale supporto al governo italiano nel corso di una ristrutturazione del debito. «Sarebbe relativamente semplice, in quanto oltre il 90% delle obbligazioni sono emesse sotto la legislazione italiana», spiegano i due. Nello specifico il 94% del debito pubblico italiano, circa 1.600 miliardi di euro, è normato dal Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di debito pubblico (decreto del Presidente della Repubblica 30 dicembre 2003, n. 398). Come ricorda Gulati, all’articolo 3 si enuncia che «nel limite annualmente stabilito dalla legge di approvazione del bilancio di previsione dello Stato, il Ministro è autorizzato, in ogni anno finanziario, ad emanare decreti cornice che consentano al Tesoro (…) di procedere, ai fini della ristrutturazione del debito pubblico interno ed estero, al rimborso anticipato dei titoli, a trasformazioni di scadenze, ad operazioni di scambio nonché a sostituzione tra diverse tipologie di titoli o altri strumenti previsti dalla prassi dei mercati finanziari internazionali». In altre parole, il ministro del Tesoro, in questo caso Mario Monti, ha l’autorizzazione all’emanazione di un decreto ministeriale, anche detto “decreto cornice”, che consente al ministero delle Finanze di agire in materia di riscadenzamento del debito pubblico qualora si voglia procedere a una ristrutturazione dei bond esistenti. Il tutto senza dover passare dal Parlamento.
Tuttavia, gli ostacoli non sarebbero pochi. Il decreto in questione all’articolo 8 enuncia che «i pagamenti di debito pubblico non sono ridotti, ritardati o assoggettati ad alcuna imposta speciale, neppure in caso di pubblica necessità». In apparenza, la contraddizione con l’articolo 3 è evidente. Ma, come riportano a Linkiesta fonti bancarie presenti all’incontro, Gulati ha spiegato che «potrebbe bastare un decreto ministeriale, controfirmato dal presidente della Repubblica, per aprire le porte allo scenario della ristrutturazione del debito italiano».
In questa fattispecie, è possibile che si possa utilizzare la “prassi”, come specificato dall’articolo 3. Ovvero, le clausole di azione collettiva (Cac), con le quali forzare la ristrutturazione del debito anche agli eventuali creditori privati riluttanti all’idea di sopportare un haircut, cioè un taglio al valore nominale dei titoli di Stato detenuti in portafoglio. Proprio quanto successo in Grecia. Eppure, oltre a ciò, è anche possibile che gli sforzi dell’operazione siano sostenuti anche dai soggetti pubblici, quali la Banca centrale europea. «È verosimile che dopo il Private sector involvement si arrivi all’Official sector involvement, dato che la Grecia aveva un debito sostenibile per l’Ue», hanno sottolineato i due esperti. Tutto il contrario dell’Italia, che ha il terzo debito pubblico al mondo, quasi 2.000 miliardi di euro. Un indebitamento che è ben conosciuto nell’ambiente da decenni.
All’epoca dell’approvazione del decreto in questione, che nei fatti disciplina la possibilità dell’Italia di ristrutturare il proprio debito, ai vertici istituzionali c’era un terzetto di banchieri. Il presidente della Repubblica era infatti Carlo Azeglio Ciampi, già governatore della Banca d’Italia dal 1979 al 1993. A Palazzo Koch, successore proprio di Ciampi, sedeva Antonio Fazio, che aveva come direttore generale Vincenzo Desario, entrato nell’istituto di Via Nazionale nel 1959. Al ministero dell’Economia e delle Finanze, invece, c’era Giulio Tremonti. E come spiegano fonti bene informate, la decisione di avere un così ampio spettro di prospettive, comprese quelle di più negative, fu di Ciampi. Memore del 1992, quindi, quando l’Italia fu costretta all’uscita dal Sistema monetario europeo (Sme) per svalutare la Lira.
L’esercizio di Gulati, per ora, rimane solo un esempio di studio, hanno assicurato i due ai presenti. Una fonte che ha assistito alla conferenza londinese ha però spiegato a Linkiesta che «l’analisi mette in evidenza che, in caso di necessità, si può trovare una soluzione per tutti gli Stati e per tutti i debiti». Italia compresa.
Ha collaborato Tommaso Canetta