“Dati alla mano, al Nord il Pd continua a perdere voti”

“Dati alla mano, al Nord il Pd continua a perdere voti”

Ieri e oggi: un circolo del Pd già sezione del Pci e poi di Pds e Ds

Pier Luigi Bersani, nella conferenza stampa di analisi del voto, sintetizzata sul sito del Partito democratico, sostiene che ci sia stato «un nettissimo rafforzamento del Pd e del centrosinistra in tante città italiane». Un’analisi meno affrettata, come quella condotta dall’Istituto Cattaneo in relazione alle regionali del 2010, dimostra invece che le cose sono andate in modo decisamente diverso.
Certo, il Pd non ha avuto il crollo subito da Pdl e Lega, ma una flessione del consenso c’è comunque stata. Scrive l’Istituto Cattaneo:

«Il Partito democratico ha subito una contrazione pari al 29 per cento dell’elettorato che lo aveva scelto nel 2010 (pari a un decremento di 91.000 voti). […] Una perdita che si attesta attorno al 30 per cento nelle città del Nord (- 60.000 voti) e in quelle della Zona rossa (-19.000 voti), a fronte di una riduzione dei consensi del 20 per cento circa nei capoluoghi del Centro-Sud (-12.000 consensi)».

Linkiesta ha indagato sull’andamento del voto del Pd nel Nord Italia, confrontandolo con le precedenti amministrative. In 8 città (Parma, Gorizia, Como, Monza, Alessandria, Asti, Cuneo, Belluno), nelle quali il centrodestra nel 2007 aveva vinto al primo turno, il centrosinistra se la giocherà al ballottaggio. Ma questo non è di per sé sufficiente a compensare il fatto che, come dimostrano i dati elaborati da Linkiesta sulle città capoluogo del Nord, il Pd nell’Italia settentrionale non trae alcun vantaggio dallo tsunami abbattutosi su Pdl e Lega. Al contrario, nella gran parte delle città, rispetto alla tornata elettorale del 2007, il partito di Bersani perde voti – ma questo è un dato relativo, perché è condizionato dal calo di affluenza – e, soprattutto, arretra sensibilmente in termini percentuali.
 

voti L’Ulivo 2007 voti Pd 2012 differenza
GENOVA 89.337 (34,6%) 55.134 (23,9%) -34.203
PIACENZA 12.956 (25,3%) 10.855 (26,6%) -2.101
PARMA 19.919 (21,9%) 17.472 (25,2%) -2.447
GORIZIA 3.072 (17,4%) 2.559 (17,1%) -513
LA SPEZIA 14.717 (32,5%) 10.136 (27,2%) -4.581
COMO 5.974 (15%) 5.698 (15,76%) -276
MONZA 12.513 (20,3%) 11.754 (24,8%) -759
ALESSANDRIA* 9.601 (18,8%) 7.080 (17,8%) -2.521
ASTI 8.090 (21,4%) 5.989 (18,8%) -2.101
CUNEO 4.643 (15,5%) 2.466 (9,4%) -2.177
BELLUNO 2.878 (15,6%) 2.765 (18,6%) -113
VERONA 23.860 (17,4%) 18.058 (14,8%) -5.802
totale -57.194

* Ds (7.075; 13,86%)+Margherita (2.526; 4,95%) Fonte: Ministero dell’Interno

Il Pd a Genova passa dal 34,6 al 23,9 per cento, a La Spezia dal 32,5 al 27,2, ad Asti dal 21,4 al 18,8, a Cuneo dal 15,5 al 9,4, a Verona dal 17,4 al 14,8. I Democratici sono in crescita, seppur leggera, a Parma, dove i disastri della giunta di centrodestra guidata da Vignali avrebbero dovuto in realtà condurre a un risultato decisamente migliore, nonché nelle non certo strategiche Monza e Belluno. Mentre nella Piacenza di Bersani, così come a Como e a Gorizia, il Pd conferma la percentuale del 2007.
Se poi andiamo a considerare il totale dei voti ottenuti nelle 12 città capoluogo e lo rapportiamo al numero di elettori che si sono recati alle urne, emerge che al Pd è ascrivibile appena il 17,5% di consensi. Certo il test elettorale delle città capoluogo del Nord ha coinvolto poco meno di 900 mila elettori, ma col 17,5 % appare a dir poco in salita la vocazione maggioritaria e l’autosufficienza che Veltroni invocava quando lanciò la nuova creatura politica. Resta il fatto, di cui Bersani non pare tenere in debito conto, che, numeri alla mano, emerge un quadro, almeno al Nord e nelle città capoluogo considerate, tutt’altro che positivo per il Pd.

C’è dunque da chiedersi cosa non ha funzionato, al Nord, nella strategia del Pd. Eludere il tema sarebbe un errore. Così come liquidarlo sostenendo che è colpa dell’astensionismo, del vento dell’antipolitica che colpisce anche il Pd, dello scarso appeal di taluni candidati o del fatto che in alcuni casi questi sono apparsi agli occhi dell’elettorato troppo di apparato e poco rappresentativi della cosiddetta società civile.
Io credo invece che mai come in queste elezioni locali abbia pesato il traino nazionale, ossia il modo in cui viene percepito dagli elettori delle regioni locomotiva del Paese il Partito democratico. Un partito giudicato ancora troppo romano e centralista da elettori che vedono nel federalismo una strada per far funzionare meglio le cose.

Al di là di ciò, l’impressione è che il Pd non riesca a toccare le corde giuste delle sensibilità del popolo del Nord. Ciò, nonostante il “vantaggio competitivo” dello smottamento dei due partiti che sono stati negli ultimi anni – eccezion fatta per l’Emilia Romagna – riferimento dell’elettorato settentrionale. Forse è una questione di adeguatezza della classe dirigente che il Pd esprime in queste terre. In effetti sono passati i tempi in cui il Pd, ma più complessivamente il centrosinistra, aveva al suo attivo uomini che erano riusciti a interpretare, con una certa efficacia, il sentimento nordista. Sono tramontati o sulla via del tramonto personaggi come Penati, Cacciari, Chiamparino, Errani ed altri.

Temo però che non sia solo una questione di qualità del personale politico, ma di dignità dell’offerta politica. Perché, nell’immaginario dell’elettorato nordista, il Pd continua a non avere un’identità ben definita su troppe questioni. È ancora troppo vago su temi cruciali come la crescita e le politiche sul lavoro. Per giunta affida il dialogo con l’impresa a personaggi sbagliati, come Colaninno jr., il figlio del “capitano coraggioso” che si è fatto grande imprenditore con i soldi degli altri. Il Pd non fornisce una soluzione netta su come abbattere apparati e burocrazie; temi questi, che solo a nominarli fanno venire l’orticaria all’elettore medio del Nord e che peraltro pesano come macigni sulla competitività delle imprese. Così come non si è ancora capito quale sia la ricetta del Pd per riformare e rendere più equo il fisco; ciò è doppiamente grave in territori dove c’è certo chi invoca stupidamente la disobbedienza fiscale, ma ci sono famiglie e imprenditori che arrivano a svenarsi – e talvolta a suicidarsi – pur di pagare le esorbitanti tasse italiche. Poi il Pd probabilmente non ha colto fino in fondo il sentimento di insofferenza che c’è anche in seno al suo elettorato di riferimento verso la politica e verso certi riti, di cui la vita del Pd, a livello nazionale così come nei territori, è drammaticamente infarcita: basta frequentare le riunioni di partito per rendersene conto!
Senza considerare che tra gli elettori del Nord, che avevano guardato con grande fiducia alla nascita del governo dei professori, serpeggia da settimane una certa disillusione verso Monti. Il Pd ha fiutato troppo tardi questo cambio di vento. Dunque, nonostante lo smarcamento tardivo sull’Imu, ha pagato, al Nord più che in altre aree del Paese, il fatto di essere tuttora percepito come un partito sostanzialmente al traino del Governo Monti.

Di materie su cui il Pd è chiamato a riflettere ce ne sono in abbondanza. Sempre che i dirigenti del Pd, a partire da Bersani, abbiano voglia di mettersi al lavoro, “pancia a terra”, per tentare di sintonizzarsi con le ragioni del Nord e dei tanti elettori che l’alta quota di astensionismo dimostra siano alla finestra. Costruendo così una fisionomia più chiara della proposta politica del Pd per il motore del Paese, senza il cui consenso appare davvero illusorio pensare di poter tornare a Palazzo Chigi. 

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