Due manager chiamati a rispondere: capita anche in Italia (ed era ora)

Due manager chiamati a rispondere: capita anche in Italia (ed era ora)

Ci sono due modi per guardare agli sviluppi dell’affaire Telecom che dall’epoca di Tronchetti si trascina fino all’oggi in cui Franco Bernabè, presidente di Telecom, annuncia un’azione di responsabilità per la malagestione passata. Il bicchiere evidentemente mezzo vuoto, è quello che vedrà Marco Tronchetti Provera (ex azionista di riferimento, manager e uomo solo al comando) non rispondere ai suoi ex soci e alla Telecom di oggi per quanto successo. Poi c’è il bicchiere mezzopieno: i manager di allora, i suoi manager, invece dovranno rispondere eccome. 

Dopo anni di diatribe, coi piccoli azionisti che ripetevano come un mantra la loro richiesta di avviare un’azione di responsabilità, oggi in assemblea il Bernabè ha dato l’ annuncio: il cda del 9 maggio «ha posto in essere un atto interruttivo della prescrizione, propedeutico all’esercizio dell’azione sociale di responsabilità, che sarà inserita all’ordine del giorno in apposita assemblea» nei confronti dell’ex vicepresidente esecutivo e amministratore degelato Carlo Buora, per la vicenda dei dossier illegali creati dalla security dell’ex monopolista, e dell’ex amministratore delegato Riccardo Ruggiero, per quella delle sim false. Resta quindi fuori Marco Tronchetti Provera, il “padrone”. Nel suo caso infatti, come sottolinea un articolo dell’Espresso, la prescrizione è già scattata «nel settembre 2011, cinque anni dopo le dimissioni», che precedettero poi la cessione del pacchetto di controllo.

I piccoli azionisti hanno subito gridato allo scandalo chiedendo un’azione di responsabilità anche per l’attuale cda, reo di aver lasciato passare i termini della prescrizione per Tronchetti che, oltre ad essere il maggiore azionista, era anche alla guida del gruppo. Ma non è Tronchetti e non sono i 22.300 euro che guadagna ogni giorno quello che interessa qua. Nel suo caso bastano le parole di Leopoldo Pirelli che abbiamo pubblicato questa mattina: «Resta chiaro che qualunque sia il grado di delega, il chief executive officer rimane responsabile di tutto quello che succede nel gruppo, perché è lui che ha scelto gli uomini». Si potrebbe anche scrivere del comportamento dell’attuale cda che ha colpevolmente lasciato cadere i termini della prescrizione dopo essersi nascosto dietro al parere legale del professor Franco Bonelli che bocciò la proposta di un’azione civile con la spiritosa argomentazione che «le probabilità di condanna civile appaiono assai incerte» per «mancanza di precedenti» e per «difficoltà di provare specifici inadempimenti» in quanto «l’aver gestito in modo inefficiente e dannoso non determina di per sé la responsabilità degli amministratori». 

Per quanto tutti questi elementi possano fare arrabbiare chi pretende giustizia per quanto accaduto in quegli anni,  i due manager, Buora e Ruggiero, non sono elementi marginali di quella storia, e del valore che essa può rappresentare per il futuro. Perché il loro caso è esemplare. La lealtà del manager, si sa, ha un prezzo ma, ora meglio si capisce, ha anche un costo. Saranno quindi loro e solo loro i responsabili di quanto accaduto. Per quanto sia ingiusto, la loro vicenda potrà essere utile per molta classe dirigente nazionale. Quando il Titanic affondò, le porte della terza classe furono chiuse per permettere di mettere in salvo quelli delle classi superiori. Il mondo, nella sua quotidiana, infinita, crudeltà, va ancora così. E per quanto i lauti compensi possano far pensare al manager di essere un passeggero di prima classe, si tratta solo di una pia illusione.

Quando la nave affonda, anche loro non possono fuggire. Quando la nave affonda, le distinzioni diventano determinanti. Quando la nave affonda, il manager è un dipendente come gli altri. Il giorno in cui i manager, ma intendendo con loro tutti i sottoposti, avranno il coraggio di dire al capitano che sbaglia e che quella cosa no, non si può fare, che non va fatta, che è sbagliata, che è scorretta, quel giorno, molto probabilmente, non finirà nei manuali di corporate governance, né sulle pagine dei giornali. Ma è solo quel giorno che potrà dare vera giustizia.