La Grecia non ha ancora finito di soffrire. Con le elezioni di questa domenica, Atene rischia di tornare alla ribalta della crisi europea. Più che la Francia, che va alle urne per il secondo turno per decidere chi tra Nicolas Sarkozy e François Hollande sarà il prossimo inquilino dell’Eliseo, è la Grecia che rischia di destabilizzare il panorama europeo. Dopo la colossale ristrutturazione del debito iniziata in marzo e ultimata pochi giorni fa, Atene deve infatti affrontare le spinte nazionaliste, che vorrebbero riportare il Paese alla dracma.
L’allarme è lanciato dalla banca svizzera UBS, da sempre molto attenta nel seguire l’evoluzione della crisi greca. «Siamo molto preoccupati perché abbiamo ravvisato una forte frammentazione politica, con una crescente parte di voti che si sta spostando da due principali partiti (il socialista Pasok e il moderato Nea Dimokratia, ndr) verso quelli minori, più oltranzisti», spiegano gli analisti della banca elvetica. Le formazioni minori, compresa l’estrema destra del Laos, sono poco inclini ai compromessi del programma di consolidamento della troika (Fondo monetario internazionale, Banca centrale europea e Commissione Ue) e stanno ricevendo sempre più consensi. «Uno stallo politico potrebbe condannare la Grecia: i partiti più piccoli potrebbero costringere quelli maggiori ad alleanze di scopo capaci di rallentare il lavoro del Fmi», fanno notare gli economisti di UBS. A preoccupare è l’Anel, cioè gli indipendentisti di destra guidati da Panos Kammenos. «Siamo contrari alle intromissioni della finanza internazionale, alle politiche di austerity e vogliamo la nostra indipendenza. Siamo tanti, siamo indipendenti, siamo greci!». Con queste parole Kammenos ha infuocato la folla durante il suo ultimo comizio. E stando a quanto riportano i sondaggi, proprio l’Anel potrebbe essere la sorpresa della tornata elettorale.
Nel caso ci fosse un’ampio consenso di posizioni come quella dell’Anel, UBS avverte che «il rischio concreto è quello di uno stop al finanziamento della Grecia». Sebbene questa eventualità sia considerata «poco probabile», le quotazioni sono in ascesa. «Più si avvicina la data del voto, più aumentano le possibilità che il nazionalismo sia determinante», spiega UBS. Se così fosse, la rinegoziazione degli accordi fra Grecia e troika potrebbe diventare realtà. Del resto, ieri Costas Michalos, presidente della Camera di commercio di Atene e uno dei più importanti membri della società civile ellenica, ha ammonito i politici locali, spiegando che «l’unica possibilità è quella di una revisione degli accordi che il governo ha sottoscritto con la troika». In altre parole, una rinegoziazione degli aiuti.
La voce di UBS non è la sola a essere intimorita dal risultato delle urne in Grecia. In un editoriale di ieri, il Wall Street Journal ha evidenziato che il voto di Atene è più importante di quello di Parigi. Del resto, l’incertezza ellenica è più elevata di quella francese, specie considerando in che modo è stata condotta la campagna elettorale. Da un lato i socialisti del Pasok, guidati dall’ex ministro delle Finanze Evangelos Venizelos, stanno spingendo sull’acceleratore per un ritorno alla crescita economica. Tuttavia, secondo la maggior parte degli analisti, si tratta solamente di promesse elettorali senza un preciso fondamento concreto. Dall’altro c’è il centrodestra, cioè Nea Dimokratia, con a capo Antonis Samaras, già premier, che ha un programma analogo. Né l’uno né l’altro sono però riusciti a tenere a bada le spinte ultranazionaliste che stanno prendendo sempre più piede nel Paese. A tal punto che la banca statunitense Goldman Sachs ha ipotizzato, in un report della scorsa settimana, che c’è il 45% delle possibilità che nei prossimi cinque anni in Grecia venga instaurato un governo autoritario.
La crisi continua infatti a mordere. Atene sta andando alle urne dopo il fallimento ordinato dello scorso 9 marzo. La Grecia ha infatti ristrutturato 206 miliardi di euro su 365 miliardi di debito, cioè la parte detenuta dai creditori privati. Il premier Lucas Papademos, a capo del governo tecnico insediatosi dopo le dimissioni di George Papandreou, ha condotto la ristrutturazione del debito sovrano e dato il via al secondo programma di salvataggio del Paese. I pericoli non sono però finiti, perché i 2014 sarà l’anno più duro per la Grecia, che dovrà rifinanziarsi sui mercati obbligazionari per poco più di 25 miliardi di euro, una cifra proibitiva senza il supporto della troika.
Alla luce della nuova ondata di incertezza politica ellenica, tornano anche le voci di una possibile uscita dall’eurozona. Due giorni fa l’agenzia di rating Fitch ha pubblicato un’analisi sulla possibile evoluzione della crisi europea. Fra gli scenari plausibile, il più probabile è quello di un’uscita della Grecia dalla zona euro. Spinta dai movimenti interni contrari alla moneta unica europea e strozzata dall’austerity, Atene potrebbe pensare a una secessione dall’euro «entro i prossimi cinque anni». Molto dipenderà dalla piega che prenderà la politica interna, ma il timore è reale. E non è un caso che, sempre per Fitch, sia più probabile un’uscita della Grecia dall’euro che la nascita degli Stati Uniti d’Europa.
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