BRUXELLES – Non sono eurobond, e non sono neppure una ricetta miracolosa. Eppure per molti sono un primissimo passo se non altro simbolico. Parliamo dei Project Bond Europa 2020, su cui oggi la presidenza danese dell’Ue (a nome degli Stati membri) e l’Europarlamento hanno trovato un’intesa importante (che dovrà essere confermata formalmente nelle prossime settimane dallo stesso Parlamento e dal Consiglio Ue) sul lancio di un progetto pilota su questi strumenti destinati a finanziare grandi progetti infrastrutturali. L’occhio naturalmente è al rilancio dei grandi investimenti e con essi della crescita, e questo è praticamente l’unico elemento concreto che si troveranno sul tavolo i leader alla cena domani a Bruxelles.
L’idea è in sostanza quella di una garanzia dell’Ue (e dunque di tutti e 27 gli stati membri, si noti bene) su una parte significativa titoli emessi da aziende per finanziare grandi opere infrastrutturali, in modo da rassicurare, e dunque attrarre, grandi investitori istituzionali di lungo respiro (ad esempio i fondi pensione, fondi assicurativi etc.). Di questi tempi, è importante. La stessa Commissione Europea spiega che “prima” questo tipo di titoli poteva essere assicurata, per ridurre i rischi, con prodotti commercializzati dai privati, ma “adesso”, la cosa non è affatto agevole, soprattutto trattandosi di progetti di lunga durata che richiedono tempi cospicui prima di generare cash flow. La Commissione afferma di puntare a creare «una nuova classe di titoli di Borsa» e spera che questi strumenti «funzionino da catalizzatore per riaprire il mercato del debito, attualmente largamente inutilizzato per gli investimenti infrastrutturali a causa della crisi finanziaria, come fonte significativa del finanziamento del settore infrastrutturale».
Significativamente, a lungo hanno storto il naso gli stessi paesi che dicono di no agli eurobond: Germania, Olanda, Finlandia e Austria. La ragione è presto detta: per quanto cosa del tutto diversa dagli eurobond (titoli comuni emessi direttamente dall’Ue per finanziare gli Stati), secondo molti è comunque un primo, piccolissimo passo verso il concetto di debito comune Ue, visto che la Bei (la Banca Europea per gli Investimenti, che per statuto finanzia grandi investimenti Ue) farà opera di “credit enhance” (e cioè in sostanza fornirà garanzie) del 20% dei titoli in questione. Per questo per ora la Commissione Europea ha potuto ottenere solo un progetto pilota, utilizzando 230 milioni di euro non spesi trovati nelle pieghe del bilancio 2007-2013. I “rigoristi”, insomma, hanno ceduto, ma vogliono comunque vedere come andranno le cose. Di questi tempi, in effetti, un po’ di prudenza non è certo sbagliata.
La scommessa è quella dell’effetto leva: i 230 milioni (200 dal budget per le infrastrutture dei trasporti TEN-T, 10 da quelle per l’energia TEN-E e 20 dal programma quadro per l’innovazione) andranno ad “aiutare” la Bei nella sua azione di garante (oltre al suo consueto di finanziatore di opere a livello Ue), con la speranza di un effetto leva finale di 15-20 volte, per arrivare, calcola Bruxelles, a una movimentazione complessiva di 4,6 miliardi di euro. Una scommessa tutta da verificare, se però andrà bene la Commissione avrà buone chance di ottenere l’inserimento, con ben altre somme, dei Project Bond nel bilancio 2014-2020. Per ora, del resto, solo pochi progetti infrastrutturali potranno esser coperti dallo strumento, si parla di 5-6. Per la Commissione, oltre a dover essere transfrontalieri, dovranno «fornire cash flow stabili e forte oltre ad essere economicamente e tecnicamente fattibili». A valutare sarà la stessa Bei.
La speranza di chi invoca gli eurobond è che in realtà i Project Bond possano fare da apripista. Se l’Europa può garantire, collettivamente, titoli di aziende per grandi opere in futuro si potrebbe pensare che l’Ue possa garantire collettivamente anche altro. Ad esempio, come si parla in questi giorni, i depositi bancari, e via via sempre più su. Magari, è la speranza dei grandi fautori dei Project Bond, fino all’emissione, in un giorno non lontano, di vere e proprie emissioni di titoli di debito comune. Prima, però, si dovrà convincere i famosi “rigoristi” capitanati dalla Germania. Un primissimo, cautissimo passo, però, impensabile solo un anno e mezzo fa, è stato compiuto.
Sarà forse un caso, ma proprio oggi la stessa Commissione Europea ha rilanciato il suo piano per l’introduzione di veri e propri eurobond. Parlando di fronte al Parlamento Europeo a Strasburgo, il commissario agli Affari economici Olli Rehn ha parlato della necessità di «road map sul medio-lungo termine» in vista di «un’unione economica e politica richiesta per rendere razionale per tutti la mutualizzazione del debito». Il dibattito, con buona pace di Angela Merkel, sta accelerando.