In principio sono stati un’impiegata piemontese di 38 anni e suo marito. Poi una coppia di siciliani, liberi professionisti che, stanchi dei viaggi della speranza, sono ricorsi al tribunale di Catania.
«Non si può immaginare cosa significhi – dice la donna – prendere contatti con una struttura sanitaria straniera, via email, senza guardarsi negli occhi, cercando ma non potendo trovare il sostegno di un medico di cui fidarsi. Poi, viaggiare fino al centro prescelto. E poi ci sono le tensioni, i disagi, i problemi con la bambina piccola, e la delusione quando l’esito risulta negativo. Per non parlare della spesa, che per noi è stata di circa 10 mila euro, ma siamo tra i fortunati che, pur avendo lavorato duramente per raccogliere questa cifra, non hanno gravi problemi economici. Sappiamo di coppie in situazioni molto peggiori. Siamo andati in Grecia, due volte. Adesso vogliamo riprovarci, ma nel nostro Paese».
E così queste due coppie, più un’altra, assistite dal pool di avvocati dell’associazione Coscioni, si è rivolta a tre tribunali, che hanno sollevato la questione di incostituzionalità sul divieto imposto dall’articolo 4 terzo comma della legge 40 del 2004 sulla procreazione medicalmente assistita. E per domani è stata fissata l’udienza presso la Corte costituzionale.
In sostanza la Suprema Corte dovrà decidere sulla costituzionalità della parte della legge che vieta la fecondazione eterologa. «Nel mio caso – dice la donna siciliana che ha già una bambina di 4 anni ma poi è stata affetta da menopausa precoce – non c’è alternativa alla fecondazione eterologa. La donazione di gameti è l’unica via percorribile».
Insomma, quella di domani «sarà una giornata veramente importante. Di fronte a un diniego della Consulta rimarremo profondamente perplessi, perché dal punto di vista del diritto non c’è motivo di negarci questa possibilità. Nel caso, invece, la richiesta venga accolta, saremo davvero molto felici di poter riprovare ad avere un bambino qui in Italia». Sarebbe, quella in esame della Corte, l’ultima parte della discussa legge 40 ad essere smantellata da una sentenza: in ballo c’è il divieto di fecondazione con ovociti o gameti non appartenenti alla coppia. Una legge per la quale (più che per altre) sono state costruite barricate, da un lato e dall’altro.
Quattro volte in tutto, infatti, la legge è finita sui banchi della Corte Costituzionale (nel 2005, due volte nel 2009 e una nel 2010). Se si considerano anche i ricorsi per altre parti della legge – come quelli per ottenere la possibilità di congelamento degli embrioni, la diagnosi pre-impianto e il limite di utilizzo di tre embrioni per ciclo di fecondazione – sono complessivamente 16 le volte che i giudici hanno ordinato l’esecuzione delle tecniche di fecondazione secondo i principi Costituzionali, affermando i diritti delle coppie e non secondo la legge 40. L’impianto originario della legge prevedeva: no alla fecondazione di più di tre ovociti contemporaneamente e obbligo di trasferirli tutti insieme. No a congelamento e diagnosi pre-impianto, necessaria per accertare se genitori portatori di malattie genetiche le trasmettono all’embrione. Tutti gli altolà sono caduti a colpi di sentenze di tribunali.
È di qualche settimana fa il calvario di una coppia italiana che si è rivolta ad un centro estero per ricorrere alla procreazione assistita con donazione di gameti. Sterili, si sono rivolti al centro di fecondazione assistita Clinica Matera Fertility Crete, a Creta. Il bambino è nato però con la neurofibromatosi, patologia genetica rara e mortale di cui il padre non è portatore e le cui basi risiedono invece nell’ovocita donato, in anonimato, da una donna alla clinica greca. La madre ha messo addirittura all’asta un rene in Internet per affrontare le spese per curare il piccolo, cosciente del divieto. La coppia ha scritto una lettera al Presidente della Repubblica: «Se avessimo potuto tentare di avere un figlio nel nostro Paese con le garanzie che fino al 2004 vi erano per l’eterologa, non saremmo così disperati», hanno scritto.
Secondo l’Osservatorio sul turismo procreativo sono stati almeno 4mila nel 2011 gli aspiranti genitori espatriati. Un terzo delle coppie italiane va all’estero per avere un figlio. Solo in Europa, secondo la Società europea di riproduzione umana ed embriologia (Eshre), sono circa 30mila le coppie coinvolte ogni anno in questo turismo della provetta, di cui il 32% è rappresentato da italiani. E il 40% di essi cercano proprio di aggirare il divieto di fecondazione eterologa.
I Paesi destinatari di questi viaggi della provetta sono Spagna, Svizzera, Belgio, Slovenia, Repubblica Ceca e Danimarca, mentre dopo quelle italiane, le coppie che viaggiano di più sono quelle di Germania (14,5%), Olanda (12,1%) e Francia (8,7%).
Addirittura il 60% si rivolge a centri stranieri per eseguire trattamenti leciti in Italia, ma che crede essere più efficaci in Paesi dove esiste una legge più liberale. In Italia comunque, dopo le modifiche alla legge 40 introdotte dalla Corte Costituzionale sul divieto di crioconservazione e il numero di embrioni producibili, il tasso di gravidanza per ciclo è passato dal 20,42% al 23,49%, con un aumento di 700-800 bambini nati con la pma in un anno e un calo dei parti trigemini, scesi dal 2,46% al 1,68%, con una riduzione del 33%.
Ad attendere la sentenza sono innanzitutto i centri di procreazione medicalmente assistita: far cadere il divieto, rilevano, significherebbe anche fermare il turismo procreativo che ha, oltre all’impatto emotivo sulla coppia, anche un alto costo sociale. Purtroppo in questi viaggi di aspiranti genitori la scelta ricade molto spesso su cliniche low cost. Il ginecologo di Tecnobios Andrea Borini ha proprio in questi giorni scritto una lettera al presidente della Repubblica per segnalare l’esodo.
In attesa della sentenza (che potrebbe anche non arrivare domani), le polemiche si rincorrono. Durissimo l’editoriale di Avvenire, firmato da Assuntina Morresi, consulente dell’ex sottosegretario alla Salute del governo Berlusconi, Eugenia Roccella, che paventa il ritorno al «far west», a una realtà precedente la legge 40 del 2004, quando tutto era possibile, sia pur entro i confini indicati da codice deontologico dei medici e auto-discipline dei centri.