Parafrasando un noto sketch comico di qualche anno fa, si potrebbe dire che l’Eurovision Song Contest (o Eurofestival) è pop, molto pop, pure troppo pop. Siamo giunti alla cinquantasettesima edizione della manifestazione musicale e partecipano 43 Stati (europei o assimilati, come Israele, Russia o Turchia). Questa volta ad ospitare il festival è l’Azerbaijan, paese di origine dei vincitori dell’anno scorso, Ell&Nikki, con Running Scare. La canzone, disco-pop est europeo, arrivò davanti a Madness of Love, dell’italiano Raphael Gualazzi, compositore-esecutore che ha mescolato il ragtime, il jazz e il blues al pop. Troppo poco pop per vincere, evidentemente.
Quest’anno a tenere alti i colori italiani ci sarà Nina Zilli. L’annuncio è stato dato dal palco di San Remo, dove la Zilli si è posizionata settima. Pur mantenendo un livello qualitativo alto, la Zilli nel suo L’Amore è Femmina sfoggia anche qualche BumBum, Nonnonnò e Lallallà che potrebbe far piacere al pubblico.
Nella formula del festival infatti ogni Stato ha a disposizione un tot di punti da dare ai primi dieci brani (da 1 a 7 dalla decima alla quarta, 8 punti alla terza, 10 alla seconda e 12 alla prima, non potendo votare per la propria canzone), e la decisione deriva da un sistema misto di televoto e giuria. Alle semifinali, che si terranno a Baku il 22 e il 24 maggio, vengono scremati i partecipanti che si sfideranno nella finale del 26 maggio, trasmessa in Italia su Rai2. A questa partecipano di diritto il paese ospitante, l’Azerbaijan, e i cinque maggiori contributori economici all’Eurovision Song Contest, Germania, Francia, Italia, Spagna e Inghilterra.
L’Italia è tornata a partecipare all’Eurofestival solo da un anno. Pur essendo uno dei Paesi fondatori, nel 1997 decise di ritirarsi dalla competizione (dopo aver comunque disertato anche altre edizioni in precedenza) e tornò solo nel 2011 appunto con Gualazzi. Sui motivi delle mancate partecipazioni, e mancate trasmissioni da parte della Rai, si è a lungo discusso. C’è chi sostiene che esistano inconfessabili intenti “protezionistici” nei confronti di San Remo e chi, più banalmente, sostiene che un festival come questo agli italiani non interessa. Molti dei gruppi in gara cantano nella propria lingua, e questo crea delle barriere per un pubblico abituato alla canzone nazionale. In due occasioni l’Italia è salita sul gradino più alto del podio, nel 1964 con Gigliola Cinquetti, Non ho l’età (per amarti), e nel 1990 con Totò Cutugno, Insieme: 1992.
Ma quando si parla dell’Eurovision Song Contest, oltre a ironizzare sui partecipanti più eccentrici, non si possono non citare le polemiche che accompagnano il regolamento. A parte la regola “plutocratica” che assicura ai cinque maggiori contributori un posto in finale, anche il sistema di voto, che si basa per lo più sul televoto, viene criticato: infatti il pubblico tende a favorire i paesi con cui il proprio intrattiene buone relazioni politiche, soprattutto quelli confinanti, piuttosto che valutare la qualità artistica delle canzoni, dei cantanti, della performance o degli autori. Ogni Stato può decidere autonomamente con quali criteri scegliere la band da mandare al festival: nomina di una giuria, voto popolare, festival etc. E’ anche possibile selezionare un cantante non del proprio paese, come fece la Svizzera nel 1988 con la canadese Cèline Dion (poi vincitrice).
Le canzoni in ogni caso devono rispettare alcuni requisiti: non devono durare più di tre minuti (scordatevi gli assoli di chitarra alla Mark Knopfler), possono essere in qualunque lingua, anche inventata (ricordata i Caramba dalla Svezia?), non possono essere cover, non possono avere coreografia o scenografia controverse (astenersi aspiranti Lady Gaga), e non possono avere contenuti pubblicitari, offensivi o politici. Quest’ultima esclusione sarà anche necessaria a preservare la pace nel continente, o quantomeno nel festival, ma certo elimina molte delle canzoni più belle e significative che vengono composte ogni anno.
Vediamo alcune dei brani che sono finora approdati al festival. La Grecia, non potendo mandare sul palco nessuno che polemizzi col resto d’Europa, propone Eleftheria Eleftheriou, con Afrodisiac. Originali gli israeliani Izabo, con Time, ma a dir poco stracciati in quanto ad originalità dalle rivali russe Buranovskiye Babushki, con Party for Everybody (“everybody” per davvero). E’ già una hit mondiale Euphoria della svedese Loreen, che su un beat decisamente disco fa sfoggio di una voce potente e varia. La buttano in rap-trash gli austriaci Trackshittaz, con la canzone Woki Mit Deim Popo (letteralmente, Dai scuoti il tuo popo), mentre il turco Can Bonomo parte dalla tradizione per finire nel pop con Love Me Back.
Tra i paesi già in finale la patria dei Beatles sceglie uno stile melodico-retrò con Engelbert Humperdinck, che canta Love Will Set You Free; tedeschi e spagnoli puntano su un pop che più pop non si può con, rispettivamente, Standing Still di Roman Lob e Quédate Conmigo (Stay With Me) di Pastora Soler. Calano l’asso dell’artista internazionale i francesi, che sostengono Anggun. La cantante nata indonesiana, ma che vive tra Canada e Francia, porterà il brano Echo (You and I), testo in parte francese in parte inglese. Chiude il sestetto (dell’Italia si è già detto) l’Azerbaijan, con Sabina Babayeva che canta When The Music Dies, un titolo su cui i critici del festival avranno di che fare ironia. Anche se, rispetto a Ell&Nikki, la Babayeva sembra la Callas.