Meno di un anno di età divide Beppe Grillo da Luca Cordero di Montezemolo. Quest’estate compiranno 64 anni il primo e 65 il secondo: tempo di quiescenza per i comuni mortali (anche se la garibaldina riforma pensionistica ha allungato i termini dell’impegno – si fa per dire – lavorativo). Eppure sul terreno politico e sugli scenari delle prossime elezioni generali appaiono senza ombra di dubbio le più rilevanti “novità” di un panorama altrove cosparso di macerie se non attraversato da evidenti e profondi malesseri.
Non è un caso, infatti, che ovunque (ma soprattutto nell’area di centro-sinistra, ormai considerata superfavorita per la vittoria nelle urne) si avanzino velleità e proposte di Liste Civiche che arricchiscano e condizionino la futura coalizione vincente. E’ al lavoro il cantiere di Repubblica (che prepara un listone di “gente che piace” affidato al tetro appeal di Saviano): è partita forse con troppo anticipo la chiamata dei professori Ginsborg, Gallino e Rodotà (con il movimento “Alba”, che si spera non sia come “Alba Dorata”, il partito dei neonazisti greci): si aspetta il rassemblement dei sindaci meridionali, guidato da De Magistris ed Emiliano e via via inventando nuove sigle, nella fertilissima creatività tipicamente italiana.
Così pure avviene nell’altro campo dove invece il complesso delle Liste Civiche servirebbe a mascherare la frana e il discredito che circonda il partito del Cavaliere. E’ l’area dove potrebbe pescare di più l’eventuale avventura di Montezemolo, ammesso che decida di sciogliere le riserve che si consumano da almeno tre anni, con un ingresso diretto in politica sempre ventilato e semper interruptus…
In realtà è il fenomeno del Movimento 5 Stelle che inquieta ed angoscia non solo i tradizionali professionisti della politica ma persino le lobbies e i gruppi di pressione che intorno al potere pubblico soprattutto romano hanno a lungo prosperato. Perché l’impronta e la collocazione che lo showman genovese ha dato al suo raggruppamento non può prescindere dalla rappresentanza di ceti sociali di fatto esclusi o del tutto subalterni al gioco del potere.
Ed è una fisionomia che viene da lontano: da quando Beppe Grillo, proprietario di una sola azione, andava a chiedere conto agli amministratori dei grandi gruppi (pubblici e privati) nel corso di agitate assemblee degli azionisti. Costringendo “lorsignori” a rispondere a qualche domanda imbarazzante e guadagnandosi i galloni di difensore unico dei piccoli risparmiatori regolarmente buggerati. E’ un piccolo capitale di credibilità popolare che ha poi fatto fruttare, con l’indubbio talento di sperimentato uomo di spettacolo, abituato ad un eloquio (e a un turpiloquio) incalzante e dai toni particolarmente accesi.
La Rete, nella crisi culturale della politica e della rappresentanza democratica, ha fatto il resto, trascinando nell’avventura della partecipazione figure anche professionali (dai tecnici informatici agli operatori sociali) altrimenti poco inclini ad un impegno diretto. Con in più la grande risorsa della rivolta generazionale, che proprio sui social-network ha trovato diffuso alimento e rapido contagio.
Grillo e il suo movimento (tanto ambiguo e oscillante nei contenuti quanto informe e magmatico nella struttura) sono temutissimi soprattutto a sinistra, nella sinistra istituzionalizzata e intellettuale che spera ancora che il consenso maggioritario le “cada in mano” dopo la lunga astinenza del periodo berlusconiano. Ma proprio Grillo, che conosce i segreti più reconditi del sistema televisivo, non a caso rifiuta e snobba con noncuranza i padroni dei talk-show, senza eccezione alcuna. Sa benissimo che ne resterebbe impaniato ed omologato al resto del circo mediatico-politico. E che solo stando ben lontano dalla cupola sessantottina e dalla schiuma giornalistica che monopolizza la comunicazione politica, può insieme salvaguardare la genuinità del movimento e il suo carattere ribellistico di opposizione alla casta e alle caste.
In questo imitando l’immagine “maledetta” per i benpensanti della Lega delle origini, ma pure attirando una platea composita, interclassista e ormai estranea alla dirimente ideologica destra-sinistra. Il Web è così indifferenziato e alla lunga inclusivo da costituire un baricentro insostituibile anche per il nuovo modo di azione politica. E se pure i candidati e gli eletti del “Cinquestelle” sembrano avere un apprendistato pubblico genericamente di sinistra, è forse la dimensione centrale e non estremista che sembra prevalere nella pedagogia politica del comico ligure.
Perché è centrale (se non centrista) il malessere per l’Euro e il rancore sul dominio dei mercati: perchè è centrale (se non centrista) il dubbio sullo ius soli agli immigrati; perché è centrale (se non centrista) il disagio esplosivo di ceti medi impoveriti e tartassati che guardano con sempre maggior risentimento ai garantiti e privilegiati, (se non parassitari) concentrati nella sterminata pubblica amministrazione.
La spinta di novità (compreso il mugugno crescente sulla pressione fiscale) ha già consumato ben altri movimenti e ben altre avventure: in fondo Grillo è rimasto “l’ultimo tram che passa” per un popolo indistinto che, dopo tante illusioni e delusioni, vuole sperare ancora in un radicale cambiamento. In un modo arruffato e casinaro, e dai contorni volutamente imprecisi seppure semplificatori, com’è, (con tutti i suoi limiti) nella natura della Rete. Avanti in un altro Centro…