“Le forze politiche si dimezzano i rimborsi”. “Un gesto storico e un atto di coraggio , frutto della volontà di auto-riformarsi e di abbandonare i privilegi della Casta”. Giornali, tv e testate di informazione presentano con titoli altisonanti la novità approvata dall’aula di Montecitorio. Tuttavia il coro di elogi che accompagna il voto sul primo articolo della riforma all’esame della Camera non può celare il vero risultato ottenuto dall’asse Alfano-Bersani-Casini: la vittoria a livello istituzionale del principio del finanziamento pubblico dei partiti.
La normativa messa a punto da Gianclaudio Bressa del Pd e da Giuseppe Calderisi del Pdl riduce la dimensione delle elargizioni statali alle formazioni politiche e alle loro strutture. La loro portata resta pur sempre enorme, poiché viene assicurato un fiume di denaro equivalente a 91 milioni di euro all’anno, oltre 450 milioni nell’arco di un’intera legislatura. Ancora più importante per gruppi e movimenti è la salvaguardia del principio, resa possibile dalla tenuta del fronte granitico cementato nell’asse Alfano-Bersani-Casini (ABC). Un’assoluta compattezza, libera da dubbi e incertezze, ripensamenti e contraddizioni, ha consentito di respingere tutte le proposte finalizzate a superare il regime dei contributi pubblici in nome di un’adesione volontaria e spontanea dei privati cittadini alla vita politica.
Protagonista indiscusso della strategia che ha prevalso nell’Aula di Montecitorio è il Partito democratico, il quale rivendica la validità della legge con le argomentazioni utilizzate da Enrico Berlinguer nel 1974: “L’intervento dello Stato è indispensabile e eticamente giustificato per favorire l’esistenza delle forze che garantiscono la democrazia e per arginare la corruzione, il malaffare e i rapporti oscuri tra politica e affari. L’alternativa è una politica che diviene monopolio esclusivo dei più ricchi”.
Assistendo alla seduta, si poteva facilmente ricavare l’impressione che tutto sia stato già deciso nelle riunioni riservate alle formazioni principali. La cui regia ha preparato un copione ben preciso che deve essere ratificato rapidamente dai parlamentari, limitando al minimo la discussione e la possibilità di una sua piena conoscenza da parte dell’opinione pubblica, e frenando sul nascere ogni tentativo di cambiare e rendere aperto l’esito del suo percorso. Il risultato è inequivocabile.
Parlano da sole le immagini degli esperti dei partiti che dal centro dell’Aula indicano con le dita e con le urla l’orientamento di voto ai propri gruppi, e quelle dello schermo che descrive l’esito delle votazioni: il rosso del blocco ABC domina senza subire scossoni, mentre i pallini verdi di Lega, Italia dei valori e Radicali restano in netta minoranza. Percorso blindato dunque, appena intervallato dagli emendamenti del Carroccio, da pochi mesi convertitosi alla lotta contro il finanziamento pubblico e alla bontà dei versamenti volontari, e dalla battaglia portata avanti dalla pattuglia dei Radicali, inascoltati, irrisi e demonizzati. Al partito di Marco Pannella ed Emma Bonino resta da giocare la carta referendaria, il cui avvio è stato annunciato per l’inizio di ottobre.
Il progetto di stampo nordamericano liberale di riforma della politica registra una chiara sconfitta.
Nel ceto dirigente prevale la scarsa fiducia nella possibilità e nella capacità di chiedere e di ottenere nell’opinione pubblica adesione e contributi economici. Forse i programmi e gli obiettivi delle formazioni politiche non appaiono credibili, quando esistono. Anziché focalizzare le loro energie sulle iniziative e sull’elaborazione culturale, gruppi e movimenti continueranno a essere mantenuti grazie alle risorse prelevate per legge e coercitivamente dalle tasche dei cittadini. Prescindendo dalla loro volontà. E potranno contare sulla garanzia di perpetuare se stessi, di riprodursi nelle istituzioni, di esercitare e dividersi il potere. Vince ancora una volta la concezione del Partito-Stato affermatasi nel regime fascista e declinata al plurale nell’Italia repubblicana, come aveva osservato vent’anni fa Giuliano Amato dimettendosi da capo del governo.
La “riforma” poi è del tutto disancorata dalla proposta legislativa di attuazione dell’articolo 49 della Costituzione, relativa all’attribuzione della personalità giuridica ai gruppi politici, all’affermazione della pubblicità e democrazia interna nella vita dei partiti, alla selezione delle candidature per le cariche pubbliche, alla trasparenza della loro realtà patrimoniale e delle loro attività finanziarie. Il provvedimento, che avrebbe dovuto costituire la premessa per una seria riforma del finanziamento della politica, è oggetto di un’iniziativa separata, all’esame della Commissione Affari costituzionali della Camera.
Il progetto Bressa-Calderisi si limita invece a stabilire la precondizione di uno statuto pubblico per i partiti che aspirano all’assegnazione dei rimborsi elettorali. Una premessa lapalissiana. A evidenziare la mancanza di un riferimento all’articolo 49 era stato Salvatore Vassallo, parlamentare del Pd e costituzionalista. Ma su richiesta dello stesso Partito democratico, l’emendamento Vassallo che legava la richiesta di contributo proprio all’attuazione del principio sancito nella Carta è stato ritirato, “in ossequio alla disciplina di gruppo”. Destino comune a quello della proposta presentata da Pierluigi Mantini dell’Udc, secondo cui gli statuti di partiti e movimenti devono essere conformati ai parametri democratici.
La ragione occasionale da cui era nata la legge era rappresentata dagli scandali che avevano investito il Carroccio e la Margherita. Le forze politiche si erano impegnate solennemente a definire norme stringenti e controlli rigorosissimi sui rendiconti e bilanci dei partiti. Logico e naturale che si pensasse alla suprema magistratura contabile. Ma anche questa aspirazione è caduta nel vuoto. Nessuna giurisdizione della Corte dei Conti: nel testo viene prevista solo la supervisione di una commissione mista di giudici che poi trasmette il rapporto ai presidenti delle due Camere. A illustrare le motivazioni di tale scelta è un altro costituzionalista del Pd, Roberto Zaccaria: “La Corte dei Conti eserciterebbe un controllo troppo rigido su realtà che sono più mobili e dinamiche della pubblica amministrazione, in cui deve vigere prima di tutto il principio di legalità”. Le forze politiche possono dunque godere delle risorse pubbliche, ma non devono essere assoggettate ai vincoli validi per tutte le istituzioni pubbliche. Curiosa mescolanza di mentalità statalista e di costume feudale.
Altra novità introdotta dal progetto che probabilmente verrà varato oggi dalla Camera riguarda le agevolazioni fiscali per i contributi volontari alle formazioni politiche, elevate in un primo tempo al 38 per cento, a fronte del 19 per cento che regola le donazioni alla ricerca medica e scientifica. L’aumento delle detrazioni è stato ridimensionato al 26 per cento, cifra estesa alle donazioni per le Onlus. Un privilegio che tuttavia resta molto significativo. Oltre a prefigurare un intervento indiretto dello Stato a favore delle finanze dei partiti, la misura provocherà una forte riduzione dei risparmi preventivati dall’Erario. Quando nel 2016 la legge andrà a regime, essi ammonteranno ad appena 11 milioni di euro.