Il Pd è troppo nervoso per aver vinto veramente

Il Pd è troppo nervoso per aver vinto veramente

La parola d’ordine è una sola: «Abbiamo vinto». Lo ripetono tutti fin dalle prime proiezioni di voto. Dal Nazareno ai salotti tv dove commentano l’esito dei ballottaggi, i dirigenti, più o meno noti, del Partito democratico non hanno dubbi. «Il Pd ha vinto». Una certezza granitica, che non mette al riparo da scivoloni involontariamente comici. Come quando il segretario Pierluigi Bersani, invitato a una riflessione sul voto di Parma, prova a convincere i giornalisti che quella non è una sconfitta, semmai una “non vittoria”. «E poi – ricorda il leader democrat – non è vero che con Grillo perdiamo sempre. A Garbagnate e Budrio abbiamo vinto noi».

Il Pd ha vinto. E come spiega Bersani tre ore dopo la chiusura dei seggi, il partito non consentirà a nessuno di «rubare la vittoria». Il dubbio è lecito. Il Partito democratico può davvero considerarsi il trionfatore di questa tornata elettorale? Perché sarà anche vero che su 177 comuni al voto sopra i 15mila abitanti, «92 sono stati vinti dal centrosinistra, e l’altra volta erano 45» come spiega il segretario. Ma non sfugge a nessuno che nelle tre principali città al voto il Pd non è riuscito a eleggere neppure un sindaco. A Palermo si impone l’esponente dell’Idv Leoluca Orlando, a Parma vince il grillino Federico Pizzarotti, a Genova la spunta il vendoliano Marco Doria. Il neosindaco del capoluogo ligure era sostenuto dal Pd, certo. Eppure alle primarie aveva superato la concorrenza non di una, ma di ben due dirigenti del Partito democratico. Segno evidente di qualche errore nella scelta dei candidati democrat (vicende simili anche a Rieti e Taranto, dove il Pd ha appoggiato esponenti di altri partiti di centrosinistra).

Dati alla mano, il Pd può festeggiare. Su questo non ci sono dubbi. Alcuni aspetti di questi ballottaggi sono confortanti. Il Pd supera il centrodestra in numerose realtà. Torna a guidare l’amministrazione cittadina a Monza, Isernia e Rieti, dove non vinceva da tempo. A Como la spunta un esponente del Partito democratico per la prima volta da quando c’è l’elezione diretta del sindaco. E poi il Pd vince anche a Piacenza, Alessandria, Lucca, L’Aquila. Affermazioni nette. Che molto spesso assomigliano a tante vittorie a tavolino. Concesse dall’arbitro perché l’avversario non si è neppure presentato in campo. Ecco l’altra faccia di queste amministrative: quel Pdl che oggi celebra la sua scomparsa. Un partito ridotto ai minimi storici dagli errori fatti, ma anche dall’incapacità di confermare un accordo sul territorio con la Lega. Insomma, più che vinto, il Pd ha approfittato della morte politica dell’avversario. Lo dimostrano anche i dati sull’astensionismo. Mai come in questa tornata elettorale gli italiani hanno preferito disertare le urne. A Genova e Palermo i votanti non hanno raggiunto neppure il 40 per cento. Evidentemente poco convinti anche dall’offerta politica del Pd.

«E allora? – spiega un dirigente del Nazareno – Se abbiamo strappato tantissimi comuni al Pdl non sarà mica un caso. Se il partito di Berlusconi è ai minimi storici il merito è soprattutto nostro, che da tempo siamo all’opposizione». Parlando al telefono con alcuni esponenti democrat i toni trionfalistici si fanno più mesti. Passi la vittoria, nessuno nasconde una serie di preoccupazioni. Emerse con particolare evidenza in queste elezioni. A Parma la sconfitta di Vincenzo Bernazzoli brucia parecchio. Per usare una metafora calcistica era questo lo scontro diretto con Grillo. Ma nella gara contro l’emergente Movimento 5 Stelle il partito di Bersani ha preso uno schiaffo non indifferente. Il candidato Pd – in testa al primo turno con il 40 per cento dei voti – in due settimane di campagna elettorale non è riuscito a conquistare neppure una preferenza. L’esponente grillino Pizzarotti lo ha superato nettamente, attirando il voto di tanti scontenti. «Di fronte agli scandali che negli ultimi anni ha vissuto la città, Grillo è riuscito meglio di noi a interpretare il desiderio di cambiamento della città» ammette il componente della segreteria Pd Matteo Orfini. È d’accordo il vicesegretario Enrico Letta. Pochi hanno la stessa lucidità. Quasi tutti se la prendono con il Pdl, che avrebbe spinto i propri sostenitori a votare “per dispetto” il candidato 5 stelle. E se anche fosse?

L’indubbia affermazione di Grillo non lascia indifferenti i dirigenti Pd. Tanto da costringere Bersani a uno scivolone. In conferenza stampa prima il segretario spiega che a Parma il Pd non ha perso. Piuttosto, poiché l’amministrazione era di centrodestra, ha «non vinto». Poi attacca: «Vorrei smentire l’idea che con Grillo noi perdiamo. A Garbagnate e Budrio, ad esempio, abbiamo vinto». Bersani assicura di non temere il blogger genovese. «Alle prossime elezioni – spiega il segretario democrat – gli slogan serviranno a poco: bisognerà ingaggiarsi nella novità, nella nuova sensibilità del Paese e mostrare un volto credibile. C’è un tema che mi pare inevaso, dalle altre proposte, compresa questa che viene da Grillo: si chiama “lavoro”. Se vogliono un terreno sul quale confrontarsi, io scelgo questo. Lavoro e democrazia».

Ma le difficoltà del Pd non si limitano a Parma. L’affermazione di Leoluca Orlando a Palermo rischia di creare qualche problema interno. Al Nazareno in molti danno la colpa della sconfitta alla disastrosa gestione delle primarie nel capoluogo siciliano. La scelta dei candidati, più dei presunti brogli, ha rappresentato un autogol. E la responsabilità non può non essere addebitata ai vertici del partito. Come se non bastasse, la dirigenza adesso rischia di spaccarsi. «Per quanto mi riguarda – dice il presidente del Pd Rosi Bindi – ho vinto anche a Palermo». Chiara provocazione nei confronti della scelta di sostenere lo sconfitto Fabrizio Ferrandelli. «Un grande errore quello della Bindi – si lamenta al telefono Orfini – ogni tanto sembra quasi che nel Pd ci siano dirigenti di corrente, più che di partito». 

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