Noi oggi siamo per il tutto e subito, per bruciare sensazioni nella supposizione che ci sia nulla che valga la pena d’essere ripetuto, continuato per dopo. Invece, aver la capacità di sostare, di ripetere… gli atti vitali fondamentali avvengono tutti nella ripetizione, dal battito del cuore al respiro.
Le cose fondamentali si ripetono, quelle uniche non sono importanti per la vita. Sospendete per un poco le cose che si ripetono di continuo come il mangiare, il dormire, il respirare, il battere del cuore e vi accorgete che scompare la vita. Cominciare a capire queste cose fondamentali e vederle e assimilarle è il principio della vita interiore, del trovare la propria identità.
Per vedere se una cosa è bella o brutta basta tenerla davanti agli occhi un po’ a lungo, guardarla e riguardarla. Se poi è brutta, la butti via; se è bella, è sempre più bella. Quindi è proprio la ripetizione, la frequentazione che ti fa capire il valore di ciò che hai davanti. Nella frequentazione, nella ripetizione ciò che vedi, ciò che senti ti si sedimenta nel cuore, cominci a gustarlo, comincia a farti vedere la sua bellezza, comincia a sedurti, cominci ad assimilarlo, cominci a viverne.
Giovanni 15, 1-6
Io-Sono la vite, quella vera e il Padre mio è l’agricoltore.
Ogni tralcio in me che non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo monda perché porti più frutto.
Già voi siete mondi per la parola che vi ho parlato.
Dimorate in me ed io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non dimora nella vite, così neppure voi se non dimorate in me.
Io-Sono la vite, voi i tralci. Chi dimora in me ed io in lui, questi porta molto frutto perché senza di me non potete fare nulla. Se qualcuno non dimora in me fu gettato fuori come il tralcio e si seccò e li raccolgono e gettano nel fuoco e bruciano.
Gesù spesso comincia dicendo: “Io-Sono” che sono le iniziali del Nome, del Nome di JHWH con il quale Dio si è rivelato a Mosè, e Gesù lo usa in modo assoluto, dicendo “Io-Sono”, oppure specificato da un attributo: Io-Sono il pane vero, Io-Sono la luce, Io-Sono il pastore, Io-Sono la via, la verità e la vita e adesso dice: «Io-Sono la vite, quella vera».
La vera vite è quella che produce frutto. Questa vite si contrappone alla vigna, che nella Bibbia è la metafora del popolo di Dio, di Israele che Dio ha piantato con cura. Quando si parla del popolo di Dio come vigna, si vuole indicare tutta la cura che ha avuto Dio per il suo popolo, per trovargli la terra, le condizioni nel coltivarlo, perché alla fine producesse il frutto; e il frutto che Dio desidera è che questa vigna risponda con frutti di giustizia e di amore.
Ora, piantare una vigna è una cosa molto impegnativa, noi oggi non sappiamo più cosa voglia dire. Innanzi tutto bisogna avere il terreno; secondo, che sia quello giusto, esposto al sole, alle piogge, la pendenza esatta; poi devi scavarlo, ripulirlo, drenarlo: è un lavoro enorme. Poi, pianti dei vitigni che scegli bene, e che per qualche anno producono niente; poi dopo, quando cominciano a produrre, ogni anno devi avere un’enorme cura costante di quei vitigni, per fare una cosa perfettamente superflua perché si vive anche senza uva.
Può accadere, e accade, che la vigna non produca frutto: è il dramma di Dio, non ha trovato un uomo che rispondesse al suo amore. Il primo uomo che risponde all’amore è il Figlio, e lui è la vite: è il primo uomo che produce il frutto desiderato da Dio, che produce quest’uva, questo frutto dolce che è l’amore. Il tralcio è unito alla vite, ma ci sono tralci secchi che non portano frutto e quelli vanno tagliati: è la prima opera che fa il vignaiolo alla fine dell’inverno. Però, non solo toglie via ciò che è secco, fa un altro lavoro più profondo: se c’è un ramo che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Cioè, c’è tutto un lavoro di potatura da fare: prima di tutto il Signore recide ciò che è male, e questo è quasi più facile perché il male si vede; ma poi c’è un altro lavoro più profondo: togliere il male frammisto al bene, che è più difficile da togliere.
Nella metafora evangelica, il Padre è l’agricoltore, sarebbe meglio dire il viticoltore. Questa definizione di Dio è una delle più belle in assoluto, perché sì, anche quella di Padre e di Madre rende molto, però siamo abituati a sentirle. Del resto, il padre e la madre possono avere certe esigenze con i figli e tirarli su po’ spicci, e possono arrabbiarsi. Un viticoltore non si arrabbia con la vite, non può arrabbiarsi: deve avere pazienza infinita, deve avere tutte le cure, deve aspettarsi assolutamente niente per i primi anni e poi aspetta che il tempo, le condizioni siano propizie per avere il frutto. Cioè mette tutte le premesse, tutta la cura, tutta la pazienza, tutto l’amore, tutta l’intelligenza e tutta la fatica, senza potere tirar fuori nulla, perché non può tirare fuori il grappolo d’uva dalla vite – come tante volte dai figli tiriamo fuori ciò che vogliamo noi e quindi li uccidiamo. Il viticoltore fa tutto il suo lavoro, ripete i suoi gesti, e poi aspetta con pazienza che l’altro produca, risponda.
*biblista gesuita e scrittore
Il testo è una sintesi redazione della lectio divina tenuta dall’autore nella Chiesa di San Fedele in Milano. L’audio originale può essere ascoltato qui.
Nella foto, Micaela De Pascalis, «Intensioni», tecnica mista su tela, cm 120 x 85 – per gentile concessione di Galleria Blanchaert – Milano