In Europa cresce solo chi è fuori dall’euro

In Europa cresce solo chi è fuori dall’euro

L’Europa viaggia a tre velocità diverse. C’è chi cresce, chi sta fermo e chi torna indietro. E nel primo gruppo, sono pochi i Paesi dell’eurozona, mentre sono tanti quelli esterni, come Polonia, Lettonia, Lituania e Romania. L’Italia, di contro, è nel terzo gruppo, quello dei peggiori, in compagnia di Grecia, Portogallo e Spagna. Non se la passa bene nemmeno l’Olanda, che fino a poche settimane fa spingeva sul rigore di bilancio. L’allarme sul Pil lo lancia la banca anglo-asiatica HSBC: «Tre velocità per l’Europa sono troppe. Sono troppi gli squilibri, troppe le disparità. Forse bisognerebbe ripensare all’intero sistema».

La conferma è avvenuta oggi. Con i dati relativi al Pil del primo trimestre, l’Europa ha compreso che le spaccature al suo interno aumentano sempre di più. Non si tratta solo della battaglia fra austerity e crescita, che sta tenendo banco fra le cancellerie europee. I dati parlano di un’altra divisione, ben più radicale, fra Paesi che hanno prospettive di resistere all’impatto dell’eventuale uscita della Grecia dall’eurozona e Paesi che non ce la fanno da soli.

Il Wall Street Journal parla di Europa a due velocità, ma osservando gli ultimi dati della Commissione europea, emerge che ci sono tre differenti blocchi. L’Europa a 27 al suo interno ha infatti nazioni che nel 2012 registreranno un Pil superiore all’1%, economie comprese fra l’1% e lo 0% (come l’intera media dell’eurozona) e Stati in recessione, come l’Italia.

Nel primo blocco, quello con la velocità maggiore, ci sono poche nazioni dell’eurozona. Estonia e Slovacchia saranno le migliori, con una performance prevista per il 2012 in costante miglioramento. Secondo la Commissione Ue, l’Estonia crescerà dell’1,6%, il suo deficit sarà ampiamente al di sotto dei limiti Ue (fissati al 3%), registrando un disavanzo del 2,4%, e il suo debito pubblico, seppure in aumento, sarà del 10,4 per cento. Di contro, la Slovacchia crescerà dell’1,8%, mentre avrà un deficit del 4,7% e un debito pubblico oltre il 90 per cento. Nella sola eurozona, solo Lussemburgo e Malta faranno compagnia a Estonia e Slovacchia nel club dei Paesi con crescita oltre il punto percentuale. E come ha ricordato una ricerca della London School of Economics della scorsa settimana, «difficilmente altre nazioni potranno superare le stime previste dalla Commissione europee, ma anzi potrebbero essere abbassate».

Intanto però sono le nazioni come Polonia, Lettonia e Lituania a correre. In particolare, Varsavia risulterà nel 2012 lo Stato con la crescita maggiore, 2,7%, un debito pubblico in calo dal 56,3% del Pil al 55% e un deficit fissato a 3 punti percentuali. E non è un caso che la Cina abbia già approvato di raddoppiare gli investimenti diretti in Polonia nel 2012 rispetto al 2011. «È il Paese più solido dell’Europa», scrive HSBC, come anche Nomura. Forse, è proprio per questo che Varsavia sta rallentando sul processo di integrazione nell’eurozona, come aveva spiegato il ministro degli Esteri Radoslaw Sikorski a inizio anno.

Poi, ci sono le nazioni che stanno vivendo una stagnazione economica. In questo ambito troviamo le prime sorprese. La prima è il Belgio di Elio Di Rupo, che sta patendo ancora oggi la nazionalizzazione della banca franco-belga Dexia, come ha ricordato anche il vice primo ministro Didier Reynders, già ministro delle Finanze. «Il peggioramento della crisi europea e l’affaire Dexia hanno influenzato il nostro Pil, ma soprattutto il nostro deficit pubblico», ha detto la scorsa settimana Reynders. Per il Belgio le stime della Commissione europea sono di una crescita del Pil ferma (0,0%) per l’anno in corso e dell’1,2% per il successivo. Tuttavia, come ha spiegato il Fondo monetario internazionale, non si possono escludere ulteriori revisioni al ribasso, specie sul deficit, per ora fermo a tre punti percentuali.

La seconda sorpresa è la Germania. Sì, proprio la locomotiva d’Europa, che però sembra aver quasi finito il carbone. Secondo la Commissione europea nel 2012 crescerà solo dello 0,7%, mentre meglio andrà nel 2013, quando le stime sono di una crescita dell’1,7 per cento. Non preoccupano deficit, stimato allo 0,9%, in calo rispetto agli anni passati, e debito, stabile. «Il rallentamento è però significativo e non mette Berlino al riparo dai rischi di un ulteriore peggioramento», scrivono gli analisti di HSBC. Preoccupa invece la presenza dell’Olanda fra i Paesi in recessione, con un Pil stimato per il 2012 in contrazione dello 0,9 per cento. Dopo aver tanto spinto sulla linea del rigore, la realtà ha creato a L’Aia diversi grattacapi.

Infine, c’è l’Europa più lenta, fra cui c’è anche l’Italia. Il Pil continua a essere rivisto al ribasso. Nel primo trimestre dell’anno l’Istat ha certificato che il Pil è calato dello 0,8%, mentre le stime della Commissione europea parlano di una contrazione dell’1,4% nel 2012, ben oltre le cifre iniziali. Preoccupa il deficit, che sarà del 2% nel corso di quest’anno, più elevato delle previsioni, e che non sarà inferiore all’1,1% nel 2013, facendo quindi mancare al governo di Mario Monti l’obiettivo del pareggio di bilancio.

Peggio dell’Italia ci sono pochi Paesi. Fra questi, la Grecia. Fra poche settimane Atene sarà impegnata nel nuovo round elettorale dopo il deragliamento delle trattative di formazione di un governo, ma intanto il Pil si contrarrà del 4,7% nell’anno in corso, secondo la Commissione Ue. E si tratta solo di stime, dato che per il primo trimestre dell’anno il Pil ellenico si è contratto del 6,2%, anche in questo caso oltre le previsioni. Insieme ad Atene e Roma, nel club dei più lenti troviamo la Spagna, ormai sempre più vicina a diventare la prossima vittima della crisi europea, e il Portogallo, che già è sotto tutela del Fmi dopo il salvataggio da 78 miliardi di euro dello scorso anno.

La Commissione europea è preoccupata dai rischi di un peggioramento ulteriore della congiuntura economica. Il presidente José Manuel Barroso dallo scorso novembre allerta i governanti europei sul deterioramento dell’eurozona, ma finora solo il presidente della Banca centrale europea (Bce), Mario Draghi, gli ha dato ascolto. Il rischio all’orizzonte è quello di un’ulteriore aumento del gap fra nazioni forti e deboli, come ricordato dalla stessa Bce nel bollettino mensile di febbraio. Del resto, guardando a Grecia e Germania, ovvero cuore e periferia dell’eurozona, questa differenza sembra essere già arrivata a livelli insostenibili.  

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