Giornata cruciale, forse decisiva per la Grecia. Il futuro della più antica democrazia politica si decide nella disperata corsa contro il tempo promossa dal capo dello Stato, l’ottantaduenne Karolos Papoulias, per dare vita a un governo di responsabilità nazionale imperniato sull’alleanza tra i conservatori di Nea Dimokratia, i socialisti del Pasok, Sinistra Democratica e i populisti euroscettici dei Greci Indipendenti. Le trattative fra le formazioni favorevoli a un esecutivo in grado di allontanare lo spettro di un nuovo ricorso al voto anticipato e di porre fine alla paralisi parlamentare scaturita dalle urne appaiono incerte e aperte a ogni sbocco. Finora è caduto nel vuoto qualunque tentativo di sbloccare lo stallo e di ricomporre in una cornice coerente l’intricato mosaico ellenico. Così, la prospettiva della permanenza di Atene nell’Eurozona si allontana pericolosamente, la liquidità nelle casse dell’erario è agli sgoccioli, i gruppi e i movimenti estremisti e massimalisti aumentano i propri consensi (alle recenti elezioni l’organizzazione neonazista Alba Dorata ha preso il 7% ed è entrata per la prima volta in Parlamento), cresce la polemica e l’avversione contro governanti e istituzioni comunitarie pronti a abbandonare il paese al suo destino. Le ombre della Germania di Weimar si addensano sul Pireo? Linkiesta lo ha chiesto a Franco Cardini, principale storico italiano del Medioevo e spirito critico di una modernità occidentale “distruttiva delle singole identità culturali e religiose”, e di un’egemonia finanziaria “incontrollata e ostile alla costruzione di un’autentica patria europea”.
Ritiene plausibile ipotizzare un’analogia tra la Grecia di oggi e la fase conclusiva della Repubblica di Weimar?
Generalmente sono contrario ai paragoni storici, che zoppicano sempre. Non va però dimenticato che un inquietante parallelo esiste: la Grecia di oggi, sia pure in modo diverso, è rimasta priva dell’appoggio dell’Europa esattamente come avvenne alla Germania weimariana. Ovviamente, i vertici dell’Ue negherebbero una simile analogia. E non mi interessa sapere se siano o meno in buona fede.
Quali affinità individua fra le due realtà storiche?
La crisi economica e sociale, che provoca l’impoverimento della classe media. La debolezza e il crollo di credibilità dei grandi partiti, fino a ieri assi portanti della Repubblica e guide indiscusse delle sue istituzioni in una logica di tendenziale bipartitismo. Una caduta aggravata dalla contemporanea avanzata delle formazioni estremiste, massimaliste e populiste, con una accentuata divisione e radicalizzazione a sinistra e l’aumento esponenziale di voti per Alba Dorata sul versante opposto. Quindi rilevo la frammentazione della realtà parlamentare, che impedisce la creazione di un governo efficace e incisivo anche grazie a una legge pienamente proporzionale. E infine l’ostilità diffusa contro un’Europa percepita come “matrigna” e contro le istituzioni economiche internazionali che “vogliono ridurre la Grecia allo stremo”. Fattori che contribuiscono a determinare l’incremento della disaffezione verso la democrazia politica da parte dei cittadini.
Gli esponenti di Alba Dorata presentano inquietanti somiglianze con i nazionalsocialisti tedeschi, dalla simbologia alla propaganda contro i “traditori responsabili della crisi”, i “nemici della patria che devono cominciare ad avere paura”.
I neo-nazisti di Alba Dorata sono caricature, anche se per ora hanno l’aria di essere più seri e concreti di quanto non siano abitualmente i loro colleghi sparsi un po’ dappertutto in Occidente. Le loro idee sono grossolanamente scioviniste e xenofobe, punto e basta. La Nsdap aveva ben altre serie e profonde radici, specie nel combattentismo e nel mondo sindacale e operaio. Alba Dorata è un aperto remake, una specie di copia: le copie non hanno mai fortuna, e nella migliore delle ipotesi fanno una fine ridicola.
Riscontra analogie tra l’atteggiamento della Ue, della Bce, del Fmi verso la Grecia, e quello delle potenze occidentali che nel 1919 imposero alla Germania condizioni umilianti e intollerabili attraverso il trattato di Versailles?
Analogie formali, nell’intransigenza e nell’ottusità. Ma i contesti sono del tutto diversi. E anche il ruolo della Grecia di oggi nei confronti dell’Europa, paragonato a quello di una Germania pur in ginocchio negli anni Venti e Trenta, è ben diverso. Per rovinata e disperata che fosse, la Germania dell’epoca restava una colonna d’Europa. Semmai, c’è da chiedersi se l’affinità più impressionante sia quella tra la crisi del 1929 e la tempesta finanziaria in corso. Ma, anche qui, le equiparazioni storiche non risolvono granché.
Rispetto agli anni di Weimar esistono l’Unione europea e l’euro. Non è una differenza fondamentale?
La differenza sta nel fatto che, nonostante la Società delle Nazioni, negli anni Venti gli stati erano indipendenti l’uno dall’altro, mentre oggi viviamo in un regime di sovranità limitata. Il che rende l’Europa ben più responsabile di quanto non fosse allora. Ma l’Ue non può comportarsi come un corpo unico e solidale quando si chiedono sacrifici e poi mollare chi dimostra di faticare a tenere il passo.
Come può Atene allontanare lo spettro di Weimar ed evitare la catastrofe?
È l’Unione Europea che deve impedire a chiunque – Atene, Madrid, Roma – di cadere nel baratro, a costo di ridefinire tassativamente il suo livello di vita. I passi compiuti verso l’integrazione comunitaria sono irreversibili, pena un tracollo del quale sarebbero inimmaginabili le conseguenze. Anzi, la crisi dovrebbe essere una ragione per passare finalmente da un’unione economico-finanziaria a una seria unità politica dell’Europa. Mancano però le premesse di un simile percorso. Nell’ultimo mezzo secolo non si è fatto nulla per preparare la maturazione di un senso civico europeo, di un patriottismo europeo. E nulla è stato fatto per edificare istituzioni politiche, giuridiche, diplomatiche e militari che sarebbero indispensabili a una federazione o a una confederazione europea. Ora è chiaro che nessuno vuole sacrificarsi per le banche. Potremmo sacrificarci per una patria: ma non si è riusciti a far divenire patria l’Europa.