Se ne parlava ormai da qualche settimana. Era stata presentata come la principale proposta politica degli ultimi anni, l’asso nella manica del Pdl per uscire dall’angolo e riconquistare l’elettorato. Ma la «più grande modernizzazione del sistema istituzionale italiano» che Silvio Berlusconi e Angelino Alfano hanno annunciato stamattina al Paese assomiglia molto meno pomposamente a un baratto. Una trattativa con il centrosinistra: voi ci date il presidenzialismo, noi approviamo la vostra legge elettorale. L’impressione è che la nascita della Terza Repubblica ricordi un po’ troppo da vicino gli inciuci di Palazzo che hanno reso tristemente famosa la Prima, di Repubblica.
L’appuntamento è alle 11.30 a Palazzo Madama. Per gli organizzatori non si tratta di una semplice conferenza stampa, ma un passaggio politico epocale. Forse è per questo che la prima fila della platea è occupata dai dirigenti del Pdl. Ci sono i capigruppo al Senato Gasparri e Quagliariello. C’è il braccio destro del Cavaliere Paolo Bonaiuti e il portavoce del partito Daniele Capezzone. Non solo la vecchia guardia: il posto d’onore spetta anche ad Annagrazia Calabria, la giovane deputata a cui il Cavaliere avrebbe già riservato una luminosa carriera. Dietro, i giornalisti. Poi le telecamere. In fondo alla sala siedono i due senatori democristiani Carlo Giovanardi e Mauro Cutrufo.
Rispetto al recente passato l’aria è cambiata. Nessun bagno di folla, nessun predellino. Per dar vita alla Terza Repubblica Berlusconi sceglie una cornice sobria al limite della tristezza. La sala Koch del Senato. Alle pareti migliaia di faldoni raccolgono più di un secolo di atti parlamentari. In alto campeggiano i busti marmorei dei padri della Patria. Il Cavaliere siede con Alfano dietro a un tavolo troppo grande e desolatamente vuoto. Sarà lungo diversi metri, tanto che i due sono costretti a tenersi a distanza. E la cosa non aiuta a dissipare le polemiche nate negli ultimi giorni sui nervosismi interni al partito. Un tempo gli eventi mediatici del Cavaliere erano studiati nei minimi dettagli, stavolta no. Anzi, a tratti lo stesso Berlusconi sembra aver perso le capacità di comunicatore che un ventennio fa ne hanno spianato la carriera politica. Altro che «l’Italia è il Paese che amo…». Stavolta l’ex premier va più volte in difficoltà. Davanti a un paio di domande – dalla crisi del Pdl ai rapporti con Beppe Grillo – è costretto a rimanere in silenzio: «Su questo argomento preferisco non rispondere».
Il senso dell’incontro è presto detto. I due massimi esponenti del Popolo della libertà presentano la loro ricetta modernizzatrice per il Paese. Il semipresidenzialismo francese. L’elezione diretta del presidente della Repubblica, attraverso un doppio turno di voto. Un capo dello Stato che non abbia più solo formali poteri di difesa della Costituzione, ma un ruolo più attivo nella scena politica italiana. «Che dentro la stanza dei bottoni trovi realmente i bottoni» scherza Alfano. È l’intuizione del secolo o la scelta disperata di chi non ha più nulla da perdere? Il segretario lo definisce «un gesto ardito». Di certo questo è il momento giusto: per cambiare la Costituzione oggi si presentano condizioni irripetibili: «La legislatura sta per finire, il mandato di Napolitano è quasi terminato, un pacchetto di riforme costituzionali è già ben incardinato in Senato».
Per convincere gli elettori della bontà del progetto Berlusconi e Alfano – prima uno, poi l’altro – ricorrono a un espediente di sicuro effetto. Ricordano le ultime elezioni di Grecia e Francia. Ad Atene non c’è ancora una maggioranza, «una serie di piccoli partiti sta ancora cercando un’intesa». A Parigi il giorno dopo il voto il presidente eletto era già operativo: neanche una settimana dall’avvicendamento con Sarkozy e François Hollande aveva già incontrato Angela Merkel. «E noi in quale delle due direzioni vogliamo andare?» chiede il Cavaliere.
Nessun tornaconto personale, ovviamente. La riforma presidenzialista è un omaggio agli italiani, «finalmente liberi di votare il proprio presidente della Repubblica». Una scelta di rinnovamento. Non a caso il tema della modernizzazione torna più volte nel corso dell’incontro. «Siamo il fronte degli innovatori», ripete Alfano. Il Pdl tenta di intestarsi il passaggio alla Terza Repubblica. «La Seconda Repubblica è fallita – ricorda Alfano – adesso dobbiamo andare oltre». Fatto salvo il rapporto diretto tra cittadini e premier introdotto dal Porcellum, è necessario «restituire ai cittadini la scelta dei parlamentari». Ma anche «superare il bizantinismo del bicameralismo perfetto».
A questo punto va in scena la gaffe che rischia di caratterizzare la conferenza stampa. Alfano si rivolge al Cavaliere presentandolo come «il presidente della Repubblica». Mentre il segretario arrossisce la sala scoppia a ridere. Berlusconi no. Scuro in volto l’ex premier fa un cenno con la mano, nemmeno fosse stata improvvisamente svelata la sua strategia. Del resto più tardi, a domanda precisa, non si nasconde. «Io candidato al Quirinale? Farò quello che mi chiederà il Pdl».
«I tempi tecnici per la riforma ci sono», conferma Alfano. «Abbiamo studiato un calendario istituzionale». Peraltro a Palazzo Madama il Pdl gode ancora della maggioranza. Quando il provvedimento arriverà in Aula – «chiederemo un voto sulla nostra proposta per capire chi è favorevole e chi no» – non sarà difficile conquistare il primo sì del Parlamento. Su questo tema nel partito non sembrano esserci divergenze. Stavolta sono d’accordo anche gli ex An, addirittura entusiasti del progetto: «Per noi è una vittoria storica – spiega il senatore Domenico Gramazio, seduto in seconda fila – Ora non lo ricorda nessuna, ma il primo a parlare di presidenzialismo in Italia è stato Giorgio Almirante. E allora ci prendevano tutti per scemi».
Berlusconi e Alfano non risparmiano qualche accenno al partito che verrà. L’idea è quella di un soggetto aperto alla partecipazione di tutti, con un programma da costruire insieme agli elettori. Soprattutto, un partito fondato «sulla partecipazione diretta, fisica e telematica, dei cittadini». Insomma, un Movimento 5 Stelle in chiave berlusconiana. Il candidato premier? Sarà scelto con le primarie. Così come il programma di governo. Certo, prima devono essere risolti i problemi più recenti. Ma Berlusconi assicura che il partito è «saldo, compatto, non si scioglie e non si divide». Anche se è costretto ad ammettere che «non ci sarà alcuna preclusione» nei confronti di eventuali liste civiche nazionali di centrodestra.
Passaggio obbligato sul tema delle alleanze. La “Federazione per l’Italia” che sognano a via dell’Umiltà non può prescindere da Casini e Montezemolo. «Ci rivolgiamo a chi vuole una grande alleanza di liberali, innovatori, moderati, riformisti». Eppure, proprio per evitare di incassare imbarazzanti bocciature, Alfano specifica a più riprese di non voler «tirare la giacca a nessuno». Il Pdl avanza la sua proposta epocale, ma per ora non vuole sentire la risposta dei suoi interlocutori: «La nostra suggestione non può essere raccolta in un pomeriggio». Già, e i veti su Berlusconi? La proposta di alleanza avanzata dai centristi era condizionata all’uscita di scena del Cavaliere. «A noi non risulta alcun veto di natura personale» ammette sorpreso Alfano.
C’è tempo per smontare il mito di un partito in caduta libera: «Tutti i nostri sondaggi ci danno ben oltre il 20 per cento – spiega Berlusconi – Stando all’ultimo, di ieri, il Pdl è al 23,6 per cento». E per rinnovare la proposta di scambio al Partito democratico. «Per noi questo progetto (il presidenzialismo, ndr) è talmente importante che siamo disposti a discutere la loro proposta di legge elettorale», ammette Angelino Alfano. Più tardi Berlusconi conferma: «Siamo disponibili a seguire le loro idee sul sistema elettorale». Ma bisogna fare in fretta. Il tempo è limitato. «Non è un mistero – chiarisce a un certo punto Alfano – che ci stiamo muovendo nella logica dell’ora o mai più». Per il Paese o per il Popolo della libertà?