La prima domenica senza Delio Rossi, ma con molta ipocrisia in più

La prima domenica senza Delio Rossi, ma con molta ipocrisia in più

Il toro cade al suolo trafitto, l’ultimo colpo, in genere in testa, è quello fatale, il corpo gronda di sangue. La fine di una corrida fa inorridire molti spettatori e imbufalire tutti gli animalisti. Vecchia come la nostra civiltà, sopravvissuta solo nella penisola iberica e nel sud della Francia, cantata da Hemingway e dipinta da Goya, la tauromachia dice molto sulla nostra reazione all’alterco fra Delio Rossi, ora ex allenatore della Fiorentina, e il calciatore serbo Adem Ljajić. Una storia di per sé interpretabile con diverse categorie: da quella del padre che perde la calma col figlio discolo, alla lotta di classe fra spettatori sempre più poveri e arrabbiati e calciatori sempre più viziati e remunerati, alla difesa dell’onore ferito ma si potrebbe anche andare avanti. Tuttavia quello che interessa qui non è nessuno di questi aspetti. È quel pugno alzato e poi, a giudicare dalle immagini, tirato con rabbia e determinazione, quell’aggressione fisica nel mezzo di un’arena, è questo il motivo del nostro interesse.

Di botte sugli spalti, dentro e fuori dallo stadio, se ne danno parecchie. Si dirà, sono botte fra gente comune, questo invece è un episodio di violenza fra personaggi pubblici. Già, ma non basta. In fin dei conti il calcio appartiene alla sfera del mondo dello spettacolo cui si applicano leggi diverse da quelle che regolano la nostra quotidianità, come diversi autori in passato hanno sottolineato: fino alla Rivoluzione francese gli attori spesso non potevano essere sepolti in città perché considerati alla stregua di prostitute. Ma ancora oggi le leggi sono diverse. Se un manager sfascia la sua stanza di albergo viene licenziato, se lo fa una rock star non accade nulla. Se un manager viene beccato nel mezzo di un’orgia, la sua azienda lo mette fuori. In fondo è stato l’errore di Lapo: comportarsi come il Mike Jagger degli anni d’oro senza rendersi conto di essere un dirigente di un’azienda privata. Se la stessa cosa capita ad una rockstar o a un calciatore, infatti, di norma, la loro aura brilla ancora più luminosamente. Insomma, i comportamenti fuori dalle righe dei calciatori tendono a essere giudicati più con l’ottica della zona franca che si applica alla società dello spettacolo che con quella più normativa che si applica al resto di noi mortali. Lo spettacolo, sospende le categorie della quotidianità e il calcio, sembra spesso aver diritto alla stessa tipologia di “sconto”.

Eppure. Eppure Rossi è stato licenziato. Anche qui, non è nostro interesse discutere le decisioni della società. Semmai ci appassiona l’apparente contraddizione. Insomma, si potrà dire, se si è appena finito di argomentare che i calciatori godono di un criterio del giudizio diverso da quello che affligge la nostra quotidianità, il caso di Rossi, forse perché è un allenatore, smentisce questo assunto. E chi argomenta in questo modo ha ragione. Non fosse che per un fatto. Storicamente la violenza è stata per lo più interpretata nella sua relazione con il potere. Un concetto che, quella lingua meravigliosa che è il tedesco, esprime nella parola «Gewalt» che infatti significa contemporaneamente «potere» e «violenza». Un binomio che nella storia del pensiero ha trovato diversi osservatori che vanno da Agostino a Foucault passando per Hobbes.

Meno direttamente analizzato, anche se Foucault resta qui molto utile, è stato invece il binomio violenza-sport. Quest’ultima parola è inglese e non la si traduce in quasi nessuna lingua del mondo. Il suo essere figlia della terra di Albione si realizza nel fatto che lo sport agonistico lo si può sintetizzare in questo modo: date un certo set di regole, come fare a battere l’avversario? Stando attenti a una cosa: se la vittoria viene ottenuta senza rispettare queste regole, il risultato viene annullato. In fondo non è molto diverso da quello che accade nella trama di un film di Hollywood. Per esperienza personale in un’università inglese si insegna che, se, ad esempio mentre stai montando un servizio radiofonico, lasci le cuffie sull’apparecchio di montaggio e qualcuno manomette il servizio, il responsabile del misfatto deve essere redarguito. Se invece le cuffie vengono abbandonate sulla sedia, o in qualsiasi altro luogo, e non vengono appoggiate sull’apparecchio di montaggio, allora, se arriva qualcuno a manomettere il servizio, l’autore  avrà torto di lamentarsi e al responsabile del misfatto non si potrà dire nulla. 

Ecco, in questo senso sport significa allora sapersi affermare all’interno di un dato perimetro di regole. Solo che queste regole cambiano. Quando i romani istituzionalizzarono la lotta con animali e gladiatori, la morte stava al centro dell’arena. Poi, in quella che definiamo “la nostra civilizzazione”, la morte e la violenza l’abbiamo tolta dal centro dell’arena. Ma non per sradicarla in un vero impeto che permetta agli uomini di superare la dimensione di questa violenza. La società continua infatti ad avere bisogno di una valvola di sfogo, solo che non può più accettare che essa consista nella rappresentazione fisica della violenza al centro dello stadio. L’abbiamo, quindi, solo spostata sugli spalti. Il suo luogo resta l’arena, ma non più nel centro. Ecco perché la violenza nella corrida, nel suo arcaismo, sembra squarciare quel rimosso di morte per cui l’abbiamo confinata sugli spalti. Ecco perché si è potuto cacciare Delio Rossi, perché ha infranto una delle regole su cui è basato lo sport, quella della nostra ipocrisia.
 

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